Trieste, Teatro Verdi – La voix humaine
Fra le varie iniziative collaterali alla stagione d’opera e balletto, il Teatro Verdi di Trieste ha ideato un breve ciclo dedicato all’Opera in un atto – che è anche il titolo della rassegna – al quale ha destinata la splendida sala neoclassica del Ridotto, dedicata a Victor de Sabata. Lo spazio rettangolare, tutto stucchi dorati, racchiuso da un peristilio posto a sostegno di un ballatoio continuo, è il luogo ideale per assistere e gustare questi titoli, che qui recuperano appieno la loro dimensione cameristica e intimistica. Dopo il debutto con La Serva Padrona di Paisiello nella versione di Respighi, ritorna dunque a distanza di un decennio, per quattro repliche, un capolavoro del teatro contemporaneo: La voix humaine di Francis Poulenc.
Scritto da Jean Cocteau nel 1932, il monologo affronta il tema della solitudine e dell’abbandono in maniera originalissima, introducendo un elemento – vorrei dire un non-personaggio, che diviene qui co-protagonista – modernissimo in quegli anni e che per lo spettatore di oggi diviene l’archetipo dei rapporti virtuali che quotidianamente si instaurano sui social: il telefono. A ben vedere la definizione stessa di monologo corrisponde solo parzialmente al vero, perché Elle – è questo il non-nome della protagonista – dialoga per tutta la durata della pièce con l’uomo a cui era legata e con altri personaggi che interferiscono nel corso della telefonata e che noi vediamo e sentiamo solo attraverso i silenzi e le risposte di Elle alla cornetta. Attraverso queste assenze e queste negazioni si delinea, prende forma e, paradossalmente, vita la dolorosa solitudine della donna.
Il telefono, l’antenato dei nostri social, diviene dunque il simbolo stesso di ciò che è lontano, che non è più e che esiste solo in un altro luogo della nostra memoria o dello spazio. Come Elle stessa ammette nella sua richiesta di non scendere nell’albergo di Marsiglia in cui erano soliti alloggiare insieme: Parce que les choses que je n’imagine pas n’existent pas, ou bien elles existent dans une espèce de lieux très vague et qui fait moins de mal…. [Perché le cose che io non immagino non esistono, o meglio esistono in una specie di luogo molto vago e che fa meno male … ]. È l’illusione di vivere (ancora) un rapporto, di non essere soli ma noi: Ce fil, c’est le dernier qui me rattache encore à nous. [Questo filo è l’ultimo che mi unisce ancora a noi ].
In tal senso Elle è figura tanto più tragica di Carmen Gloria, la protagonista di un altro atto unico, Colloquio col tango di Raffaello de Banfield, significativamente posteriore di pochi mesi soltanto alla prima rappresentazione dell’opera di Poulenc, che vive la solitudine del suo ritiro (dalle scene e sulla scena) ascoltando la voce del suo amante di molti anni addietro intonare un tango inciso su vecchio 78 giri. Carmen è carica di rancori e con sprezzante ironia si risolve a trascorre qualche ora con un giovanotto a pagamento, mentre Elle, terminata la telefonata, si dissolve in quel ripetuto Je t’aime con cui pare volere affermare, per una volta ancora prima dell’annientamento della solitudine, la propria esistenza.
Lo spazio in cui l’opera è stata allestita ha costituito forse un vantaggio per Giulio Ciabatti, scenografo, costumista e regista dello spettacolo, costringendolo a isolare quasi maggiormente la protagonista. A tre quarti della sala ha realizzato un palco quadrato dipinto in blu, su cui sono collocati una chaise longue e due cubi come arredi, sui tre lati del quale trovano posto gli spettatori – intervenuti numerosi – mentre lungo il quarto è disposta l’orchestra del Teatro Verdi, che suona dunque alle spalle della cantante. Elle, più che entrare in scena, si manifesta emergendo, in lunga sottoveste e vestaglia da camera di raso bianco, da una intensa luce blu, che resterà quella dominante per tutto il corso dello spettacolo. Sul proscenio giace, gettato a terra, un cappotto nero con una manica che pende oltre il bordo a simboleggiare quasi l’abbattimento e l’abbandono della donna, l’ombra dei suoi ricordi. A tratti lei gli si accosta e lo accarezza, lasciando la stretta con cui si aggrappa al lungo filo del telefono che, a sua volta, l’avvinghia, come del resto richiesto dalle didascalie interne al testo. Il pubblico, in questa collocazione, assume un po’ la connotazione del voyeur, diviene egli stesso personaggio, forse quella Madame, la centralinista che ascolta, a tratti divertita e incurante del dramma che si svolge, il dialogo dell’abbandono.
Daniela Mazzucato ha offerto una grande prova di teatro e un’interpretazione magistrale di Elle, salutata alla fine da prolungati applausi. Misurata e intensa, tanto nel gesto scenico che nel fraseggio, ha saputo perfettamente rendere, in simbiosi con il Maestro Longo e l’orchestra, il complesso fraseggio di Poulenc. Prova della cura con cui si è accostata e ha approfondito lo spartito è la capacità di fare cantare i numerosi silenzi del testo e le pause che sono parte integrante della melodia sapientemente e pazientemente costruita dall’autore sia nelle parti orchestrali che nel canto. La voce della Mazzucato conserva ancora un bel timbro e solo a tratti è parsa affaticata da una lieve indisposizione – la bora che ci ha dato qualche ora di tregua, ha ripreso a soffiare violenta nel pomeriggio triestino – dimostrando di sapersi adattare pienamente con grande musicalità, evidente in ogni sussurro, in ogni guizzo suscitato dall’ansia o dall’ira, alle esigenze del recitar cantando ripensato da Poulenc.
Paolo Longo, che vanta una lunga esperienza con il repertorio contemporaneo, è stato un partner ideale, che ha saputo rendere la complessa architettura della partitura senza mai lasciare cadere la tensione narrativa. Così questi 45 minuti circa di teatro sono volati via veloci, come una telefonata o una parte di vita. A Elle non resta che accasciarsi in quel cappotto nero che custodisce la sua memoria e ciò che ora lei è: una cosa abbandonata a terra. Irrimediabilmente sola. A noi che abbiamo assistito al dramma, non rimane che prendere atto, tributati i meritati omaggi agli artisti, che un telefono – o un social – non possono, infine, rendere la concretezza di una reale presenza. [Rating:4/5]
Teatro Verdi, Sala del Ridotto Victor de Sabata
Stagione lirica e di balletto 2016/2017
LA VOIX HUMAINE
Tragédie Iyrique in un atto
dalla tragedia omonima di Jean Cocteau
Musica di Francis Poulenc
Una donna Daniela Mazzucato
Orchestra e tecnici della Fondazione lirica Teatro Verdi di Trieste
Direttore Paolo Longo
Regia, scene e costumi Giulio Ciabatti
Trieste, 24 gennaio 2017