È prassi insolita il mettere in scena i Pagliacci privandoli della loro storica gemella Cavalleria rusticana. La scelta, invero poco frequentata, del Teatro Regio di Torino non deve però far gridare allo scandalo, giacché la compiutezza e il valore, musicale e teatrale, della composizione firmata da Ruggero Leoncavallo bastano a giustificarne una rappresentazione in solitaria e completa autonomia.
Lo spettacolo che Gabriele Lavia ha pensato per il Regio è un chiaro omaggio alla cinematografia neorealista. La narrazione, trasposta al secondo dopoguerra, si sviluppa in piena conformità alla vicenda originale. Il regista mostra una periferia rurale devastata dai bombardamenti; sui ruderi di un muro di cinta si intravede una grande scritta, il motto “VINCERE”; sullo sfondo, a stagliarsi su un cielo plumbeo, quasi ancora offuscato dalla polvere generatasi dal crollo degli edifici, un alto casamento, completamente dissestato. Sulla scena, illuminata dai bagliori di un tiepidissimo tramonto, teatranti e circensi si avvicendano in un girotondo disordinato: saltimbanchi, giocolieri, acrobati, trampolieri. C’è pure un somarello a tirare il carretto. Lavia integra con solido mestiere scene di vita nello stile di Rossellini, Visconti, De Sica, all’immaginario più onirico di un Fellini omaggiato dagli evidenti richiami a La strada. Le scene e i costumi di Paolo Ventura sono realizzati con un’ineccepibile attenzione ai dettagli, come pure le luci firmate da Andrea Anfossi, abilissimo nell’incupire, progressivamente e inesorabilmente, cromatismi e tonalità durante la scena finale in cui si consuma il doppio omicidio.
Nicola Luisotti, alla guida dell’Orchestra del Teatro Regio, tiene a bada la ben nota propensione verso sonorità dense e magnifiche, privilegiando stavolta il fraseggio dello strumentale e dando forma, pagina dopo pagina, a una lettura della partitura che si rivela spiccatamente teatrale.
Pochi istanti prima dell’inizio dello spettacolo, una voce in sala annuncia la sostituzione, a causa di un improvviso malore, di Fabio Sartori da parte di Francesco Anile. Il tenore – già sopraggiunto in extremis per subentrare a Kristian Benedikt quale Canio in tutte le recite del cast alternativo – dopo aver sostenuto la recita serale di sabato 14, si ritrova così sul palco del Regio a meno di ventiquattro ore dalla precedente performance. Le quasi impercettibili durezze occorse in un paio di momenti, non inficiano quella che in definitiva risulta una grande prova. Anile esibisce un canto presente e sicuro, addirittura spavaldo nei primi acuti che sono ampi e pieni di armonici, e un’emissione pulita e controllata. In un ruolo tanto a rischio di esagerazione, il tenore riesce a comporre un ritratto sofferente e dignitoso del personaggio. Bandito qualsivoglia birignao da orco, l’artista lavora invece su un’espressività meno plateale e perciò più interiorizzata: la risata che tradizionalmente segue il “sei tu forse un uom?”, ad esempio, non risuona isterica e disperata, ma viene piuttosto soffocata in una smorfia di dolore dall’efficacia impressionante.
La sottigliezza di certi sguardi corrucciati, l’enfasi con la quale accenta le frasi più ingiuriose e vendicative, la cura nei confronti della postura e dell’andatura claudicante fanno di Roberto Frontali uno strepitoso Tonio. Il baritono, poi, sopperisce a una certa mancanza di fibra sfruttando a pieno la risonanza alta che da sempre contraddistingue il suo canto, e che permette alla voce di diffondersi liberamente per la sala del Regio. Dopo aver aperto l’opera con un ottimo Prologo (siglato da un sol acuto di tutto rispetto, peraltro) spetta a Frontali concluderla, facendo sì che Tonio si riappropri della frase “la commedia è finita!”, solitamente affidata a Canio da una tradizione esecutiva vittima di “tenorismo”.
Andrzej Filończyk è un Silvio eccellente. Il giovanissimo baritono polacco (è nato nel 1994) colpisce per la chiarezza della dizione – ed è deprimente per me rilevare che, in questo contesto, sono i membri stranieri del cast a detenere tale primato – e per una linea vocale di rara limpidezza. Alto e prestante, Filończyk realizza un innamorato che mutua la sua gestualità dall’eroe romantico più tipico, un atteggiamento scenico in netta contrapposizione con la sensualità vissuta, quasi sfatta, che caratterizza Nedda.
Erika Grimaldi possiede una voce di soprano morbida e molto ben emessa in acuto, dove il timbro diviene perlaceo e seducente. Di contro, il registro centrale è meno affascinante e, per di più, qualcosa in termini di volume e presenza sonora si perde nei panneggi dell’orchestrazione leoncavalliana. Inoltre, la pronuncia blanda e poco intelligibile costituisce una mancanza, tanto più grave laddove si consideri l’importanza che il “farsi capire” assume nel repertorio verista; ed è un peccato, visto che fraseggio e intenzioni sono convincenti. Ciò detto, la Grimaldi sa indubbiamente cantare e lo dimostra già a partire dall’aria. Dopo una prima parte piuttosto debole, la cantante si riscatta ampiamente nel vivace della ballatella; alla frase “e vanno, e vanno sugli abissi e i mar” sostiene mirabilmente un interminabile sol diesis, mentre l’orchestra opera un suggestivo rallentando, per poi chiudere il brano con un rotondissimo si bemolle. Inappuntabile, viceversa, la resa scenica complessiva del suo personaggio che, come si diceva, si muove con fare svagato e provocante, senza mai scadere nella volgarità.
Molto buono il Peppe di Juan José de León (doppiato da un mimo nelle evoluzioni e acrobazie da saltimbanco) che si produce in una serenata impeccabile.
Splendida la performance, musicale ma anche attoriale, del Coro del Teatro Regio e del Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio “G. Verdi”, entrambi preparati dall’impagabile Claudio Fenoglio.
Teatro Regio – Stagione Opera e Balletto 2016/2017
PAGLIACCI
Dramma in un prologo e due atti
Libretto di Ruggero Leoncavallo
Musica di Ruggero Leoncavallo
Nedda Erika Grimaldi
Canio Francesco Anile
Tonio Roberto Frontali
Peppe Juan José de León
Silvio Andrzej Filończyk
Primo contadino Vladimir Jurlin
Secondo contadino Sabino Gaita
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Direttore Nicola Luisotti
Maestro dei Cori Claudio Fenoglio
Regia Gabriele Lavia
Scene, costumi e video Paolo Ventura
Luci Andrea Anfossi
Nuovo allestimento
Torino, 15 gennaio 2017