La stagione 2016/2017 del Teatro Regio di Torino si conclude con la messa in scena del Macbeth di Giuseppe Verdi, diretto da Gianandrea Noseda, nell’allestimento firmato da Emma Dante, una coproduzione con il Massimo di Palermo (dove con altra bacchetta ha debuttato lo scorso gennaio) e lo Sferisterio di Macerata.
Gianandrea Noseda imprime da subito ritmi serratissimi alla narrazione che in alcuni momenti diviene addirittura forsennata. Le pagine corali delle streghe, ad esempio, vengono condotte con una furia travolgente che personalmente considero azzeccata e galvanizzante. D’altro canto, la pressione che il direttore esercita sull’orchestra e sui cantanti non manca di ripercuotersi sulla concertazione dell’insieme. Gli artisti sul palco, impegnati come sono a non cedere il passo alle agogiche vorticose, tendono loro malgrado all’approssimazione musicale e al qualunquismo espressivo. Nemmeno il Coro, preparato da Claudio Fenoglio, riesce a imporre costantemente il proprio impeccabile livello, come dimostrano alcune sbavature occorse durante le pagine di cui si diceva. Fortunatamente, si tratta di una prova in crescendo che culmina in un quarto atto dove Noseda, ora maggiormente focalizzato rispetto a quanto avviene sul palco, evidenzia con cura la progressione drammatica della vicenda, fino al ripristinato finale della versione del 1847, che prevede la morte del protagonista sulla scena.
Il baritono Dalibor Jenis avrebbe anche uno strumento sonoro e un timbro interessante, se solo non pensasse di risolvere Macbeth cantando perennemente a voce spiegata, sacrificando qualsiasi sfumatura in favore di un’interpretazione molto esteriore e, alla fine dei conti, grossolana. Per meglio comprendere, basterebbe ascoltare come, nel duetto coniugale, questo protagonista replica rozzamente alle suggestive indicazioni di Lady Macbeth, la quale ha la voce di Anna Pirozzi. La sua è una vocalità di soprano lirico, di timbro chiaro alla base, ben sfogata nella fascia più alta del pentagramma. La malìa di questa voce sta difatti in acuti che, quando sono da emettersi nel forte, risultano facili, voluminosi e brillanti. La cantante esegue l’aria “Vieni t’affretta” e la seguente cabaletta con sicurezza e slancio, sfoggiando si naturali e do oggettivamente splendidi, che le procurano uno spontaneo e prolungato applauso a scena aperta. Nonostante un tale biglietto da visita, dopo una “luce langue” faticosa nel legato, poco coinvolgente, e un brindisi al contrario guizzante e discretamente sgranato nelle agilità, nel prosieguo dell’opera si ha come l’idea che la voce cessi di rispondere a dovere. Giunta alla scena del sonnambulismo, per l’appunto, la Pirozzi, forse calcando troppo sull’effetto dello smarrimento e della allucinazione, esibisce un canto completamente incolore, mentre l’emissione si appiattisce pericolosamente, stirandosi oltremisura: come inevitabile conseguenza, inciampa nel re bemolle sovracuto in pianissimo. Se la vocalista in questo contesto non può dirsi ineccepibile, l’interprete, ad onta di qualche genericità, appare quantomeno partecipe.
Il Banco di Vitalij Kowaljow si esprime con una voce tonitruante che sul principio impressiona. Tuttavia, l’emissione qua e là ingolfata produce il classico effetto “caverna” che, volendo esagerare con una battuta, tramuta il nobile Generale dall’infausto destino in un Fafner capitato qui per caso. Piero Pretti sembra trovarsi in una forma non ottimale, considerata una certa carenza di quello squillo che solitamente caratterizza la sua voce di tenore. La linea del canto è però molto bella, così come emerge nell’aria “Ah, la paterna mano”.
Il medico e la dama sono rispettivamente Nicolò Ceriani e Alexandra Zabala. Il primo affossa il personaggio nel suo pur breve intervento a causa di paurosi sbandamenti nell’intonazione, mentre la seconda si distingue per il timbro limpido e per l’emissione corretta e piacevole. Solo funzionale il Malcolm di Cullen Gandy.
Emma Dante, a mio avviso, pecca di eccessivo protagonismo nel volere inserire, a ogni costo e in ogni sua regia, elementi fortemente riconducibili alla mediterraneità. I soldati di Re Duncano che fanno il loro ingresso con armature e movenze da pupi siciliani, o la foresta di Birnam composta da fichi d’India, sono vezzi che stridono non poco con Shakespeare e con la Scozia. Nemmeno gli sparuti elementi scenici giocano un ruolo determinante nella riuscita di un allestimento reso ancora meno affascinante da un disegno luci piatto e monotono. Sono però gli attori e i danzatori della Compagnia di Emma Dante, su coreografie di Manuela Lo Sicco, a salvare in qualche modo lo spettacolo.
Teatro Regio – Stagione d’Opera 2016/2017
MACBETH
Melodramma in quattro atti di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Macbeth Dalibor Jenis
Banco Vitalij Kowaljow
Lady Macbeth Anna Pirozzi
Dama di Lady Macbeth Alexandra Zabala
Macduff Piero Pretti
Malcolm Cullen Gandy
Medico Nicolò Ceriani
Domestico di Macbeth/Araldo Giuseppe Capoferri
Sicario Marco Sportelli
Attori della Compagnia di Emma Dante e Allievi della Scuola dei mestieri dello spettacolo del Teatro Biondo di Palermo
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Direttore Gianandrea Noseda
Maestro del coro Claudio Fenoglio
Regia Emma Dante
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Luci Cristian Zucaro
Coreografia Manuela Lo Sicco
Maestro d’armi Sandro Maria Campagna
Nuovo allestimento in coproduzione con Teatro Massimo di Palermo e Associazione Arena Sferisterio – Macerata Opera Festival
Torino, 21 giugno 2017