Si apre con un accattivante e variegato programma la Stagione sinfonica organizzata dal Teatro dell’Opera di Roma: partendo dalla voce umana, pura ed essenziale, e tornando a essa in chiave drammatica e non puramente sonora, si attraversa un intenso tratto della contemporaneità musicale. L’introduzione di Stefano Catucci, inoltre, si rivela assai utile per godere di un ascolto più consapevole.
Di grande effetto è l’inizio della serata che vede protagonista la sezione femminile del coro, mirabilmente diretta da Roberto Gabbiani. Disposte in platea, con un semplice abito nero in stile impero, le artiste del coro eseguono il primo numero da Hegyi éjszakàk (Notti montane) del compositore ungherese Zoltàn Kodàly con una levità e una dolcezza da incantare, proprio come suggerisce il gesto misurato e ampio del loro direttore.
La parte centrale del programma è poi costituita da due brani rispettivamente di Thomas Adès e Luciano Berio, vitalizzati ed energicamente concertati da Maxime Pascal. Direttore giovane e già introdotto al repertorio contemporaneo, Pascal ha alle spalle numerose première mondiali e la co-fondazione dell’orchestra Le Balcon, nonché un interesse per l’esecuzione musicale integrata alle più avanzate tecniche di riproduzione del suono. Queste caratteristiche, assieme a una giovinezza esuberante che si esprime in un vitalismo coinvolgente nel rapporto con l’orchestra, lo rendono perfettamente idoneo al programma. Di Adès e delle sue danze da Powder her Face sottolinea tutti i passi più incisivi, in cui i ritmi più disparati – soprattutto di tango e di habanera – o le figurazioni melodiche, o anche semplicemente delle frasi isolate e seducenti, appaiono e si manifestano nel fitto tessuto strumentale, con decisione ed eleganza. Pascal ha il pregio, infatti, di sottolineare ogni guizzo non solo con il gesto smisurato delle mani, ma con il braccio, le spalle, la testa e il cuore: la sua esecuzione è colma di trasporto, totale e pervasiva, tanto da apparire lui stesso quasi in procinto di eseguire una piroetta ogni volta che l’orchestra ha un forte o un fortissimo. Questo atteggiamento è giustamente attenuato in Rendering di Berio, dove il polo di interesse in campo esecutivo è la nitidezza di resa del materiale originario, contrapposto e integrato a quello ri-creato da Berio. Abbandonata in larga parte l’esuberanza, l’attenzione si concentra sulle dinamiche opposte e convergenti del brano, ma più ancora sulla straordinaria bipolarità della composizione che richiama alla memoria, da un lato, la tradizione romantica, dall’altro, la ricerca musicale della prima metà del Novecento, confermata dalla costante presenza della celesta che Berio utilizza come una sorta di “cemento” timbrico.
La serata si conclude infine con La voix humaine di Francis Poulenc, la cui protagonista è incarnata da quella poliedrica e straordinaria artista che è Anna Caterina Antonacci. Al suo cospetto anche il talentuoso direttore si eclissa e gli occhi e le orecchie del pubblico sono solo per lei. Relegata in uno spazio ristretto del palcoscenico, delimitato dall’orchestra e arricchito, come scena, soltanto di un cubo grigio scuro e di un telefono rosso, “Elle” riesce comunque a dare l’illusione di essere altrove: in una casa del 1930, anno del testo di Cocteau, o del 1948, quello del film omonimo con la Magnani, o ancora del 1959, data della prima parigina dell’opera di Poulenc con Denis Duval, e così a seguire fino all’ultima operazione cinematografica con la Loren e De Luca. La voix humaine è stata, insomma, il banco di prova di numerose interpreti che si sono accaparrate, negli anni, prestigiose prime, per questo resta una tappa essenziale nella carriera soprattutto di quelle “cantatrici” che considerano essenziale il rapporto con la scena e che ne hanno fatto, spesso, il punto di forza della loro identità. Non stupisce quindi che anche la Antonacci sia approdata con successo a questo titolo, in cui l’elemento vocale – che pure è altro pregio di questa interprete per colore e spessore – non è preponderante, come invece lo è la parola, la frase, il profilo psicologico del personaggio: ce lo confermano i numerosi passaggi vocali privi dell’accompagnamento strumentale che sono eseguiti con una naturalezza commovente, quasi parlati, e con una profonda indagine emotiva. Appare chiaro, ad esempio, verso il finale quando la donna chiede all’amante di non tornare nello stesso hotel di Marsiglia e si attarda nella richiesta, cambiando soltanto il verbo, come per addolcirla, mentre il viso mira a trasmettere quella sofferenza di una presa di coscienza dolorosa che l’uomo, dall’altro capo del telefono, non può vedere: “je voudrais… enfin j’aimerais… j’aimerais que tu ne descendes pas à l’hôtel où nous descendons d’habitude”.
Nei momenti più intensi, poi, l’orchestra la sostiene, grazie alla particolare attenzione di Pascal verso l’interprete, e ne amplifica il dolore trattenuto, la consapevolezza della fine, che esplodono nelle frasi ascendenti con una pienezza vocale e una rotondità di rara bellezza. I gesti sono sempre essenziali, ma naturali, solo a volte appaiono come filtrati da un ideale di astrazione al limite dell’intellettualismo, come se fossero dettati più da una costruzione della mente piuttosto che da un sentire emotivo, creando uno strano, ma elettrizzante cortocircuito con quanto la voce esprime. Il guizzo dell’artista, che scava nell’esistenza e ne purifica i sentimenti innalzandoli a linguaggio universale, ha trovato voce e corpo in Anna Caterina Antonacci e Maxime Pascal, dando vita a una esecuzione ammirevole anche grazie alla profonda compenetrazione, sensibilità e partecipazione dell’Orchestra del Teatro dell’Opera.
Photo credit: Pierre Grosbois
Teatro dell’Opera di Roma – Concerti Sinfonici 2017/2018
Zoltàn Kodàly primo numero da Hegyi éjszakàk
Thomas Adès danze da Powder her face
Luciano Berio Rendering
Francis Poulenc La voix humaine
Soprano Anna Caterina Antonacci
Orchestra e coro del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Maxime Pascal
Direttore del coro Roberto Gabbiani
Introduzione di Stefano Catucci
Roma, 22 dicembre 2017