Erano anni che Zubin Mehta tentava di fare un Don Carlo a Firenze. Dopo le recite del 2004, nelle quali furono eseguite alternate la versione di Modena e quella di Milano, ci provò nel 2013, ma la situazione finanziaria del teatro fece sì che quel progetto andasse in scena in forma di concerto senza la prevista regia di Luca Ronconi. Dopo quattro anni il direttore indiano riesce a portare a casa un Don Carlo in quattro atti completo di regia e, come sempre a Firenze, gli applausi finali lo osannano come direttore massimo.
Ma fu vera gloria? In questi trionfi fiorentini conta più l’affetto o l’effettivo merito? Mehta predilige tempi tendenzialmente lenti e sonorità roboanti, spesso eccessive. Si potrebbe pensare che dietro ci sia la voglia di fare un grand-opéra in stile pompier, maestoso ed esteriore, una lettura che potrebbe starci, per quanto possa escludere un gran numero di problematiche. In realtà dietro le bordate di suono si percepisce poco. Si sente una inconsistenza di fondo imperdonabile per un direttore di tale calibro. Solo alcuni quadri sembrano vivere davvero, come la scena del giardino del primo atto resa con sonorità languide e decadenti, o l’accompagnamento al “Tu che le vanità” reso con sonorità ora aeree, ora funebri. Il resto sembra routine ben eseguita da un’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino che restituisce il suono corposo e vigoroso richiesto dal direttore. Anche il coro, preparato come sempre da Lorenzo Fratini, si adegua con un suono tonante e compatto nei suoi lodevoli interventi.
Ma se Mehta almeno riesce a non scadere nell’insufficienza, lo stesso non si può dire della regia di Giancarlo Del Monaco, già vista a Siviglia, Oviedo e Bilbao. Si potrebbe discutere più o meno a lungo sull’opportunità di presentare in un festival tale allestimento, che nulla aggiunge a ciò che è stato detto finora su Don Carlo. La vicenda è ambientata in una scatola scenica su cui è riportata una mappa dell’impero spagnolo al tempo di Filippo II. Questo cubo si apre di volta in volta per sfondare nei giardini, nelle piazze e nei vari ambienti descritti nel libretto, tra soluzioni canoniche e altre più suggestive, come il finale con la statua di Carlo V svettante in fondo al palco contro un cielo minaccioso. I personaggi sono caratterizzati in modo canonico e si esprimono con gesti convenzionali, quando addirittura non stanno fermi al proscenio a snocciolare le arie. Pochi i veri guizzi registici in questo mare di convenzionalità: il coro di popolani che durante l’autodafé tocca l’enorme crocifisso come se fosse una reliquia miracolosa in un deliquio religioso quasi morboso, Filippo II che alla fine del duetto con l’Inquisitore prova a sferrargli un colpo con una grande croce dorata, oppure il finale con Carlo che viene ucciso dal suo stesso padre in un eccesso di ragion di Stato.
Anche il cast si assesta su un livello di routine più o meno buona e non poche volte sembra in difficoltà a reggere le bordate di suono provenienti dalla buca dell’orchestra. Dmitry Beloselskiy tratteggia un Filippo II un po’ generico ed epidermico. La linea vocale si dimostra salda e sicura, la voce è ampia, ben emessa e gode di un bel timbro. Ma questo e qualche buon fraseggio non bastano a restituire un personaggio complesso come quello del re spagnolo, che avrebbe bisogno di ben altre personalità.
Roberto Aronica, chiamato a sostituire Fabio Sartori, costruisce un Don Carlo molto esteriore e poco arrovellato. La voce ampia e la linea salda permettono al tenore di lanciarsi negli acuti, squillanti e ben emessi, con spavalderia e relativa facilità. Si registrano tuttavia qualche problema di intonazione e un acuto non precisissimo nella scena dell’autodafé. In compenso raggiunge i suoi momenti migliori nel duetto iniziale con Rodrigo e in quello finale con Elisabetta, dove dispiega smorzature e finezze molto interessanti.
Massimo Cavalletti risulta un buon Rodrigo con notevoli intuizioni di fraseggio. Nonostante sembri quello a soffrire maggiormente del suono fin troppo turgido deciso dal podio, dispiega il suo canto in un buon gioco di colori e intenzioni cercando di rivelare la complessità del personaggio. Il timbro caldo e baritonale e la linea sicura e omogenea accrescono il fascino di questo Posa, che risulta il personaggio più riuscito di questa serata.
Eric Halfvarson è un Grande Inquisitore poco credibile a causa dei problemi di intonazione e di una pronuncia peregrina, ed esegue tutta la parte sul forte cercando di risolvere il personaggio soprattutto con le note grosse.
Molto buono risulta il Frate di Oleg Tsybulko, basso dalla voce estesa e ben proiettata. Funzionale il Conte di Lerma di Enrico Cossutta, mentre l’araldo reale di Saverio Fiore non si distingue per il volume. Discreto l’intervento al terzo atto dei deputati fiamminghi interpretati da Tommaso Barea, Benjamin Cho, Quanming Dou, Min Kim, Chanyoung Lee e Dario Shikmiri.
Sul fronte femminile, Julianna Di Giacomo disegna una Elisabetta molto funzionale e non molto partecipe. La vocalità è buona soprattutto nel registro acuto, sempre corposo, e non difetta di volume. Se il “Non pianger, mia compagna” risulta un po’ generico, l’interprete si riprende a partire dal duetto con Eboli del terzo atto ed esegue discretamente la grande scena e aria finale “Tu che le vanità” con buone intenzioni di fraseggio.
Colpisce di più l’Eboli di Ekaterina Gubanova, che costruisce un personaggio completo supportato da una linea vocale sicura e interessante. Il timbro è scuro al punto giusto, gli acuti sono sempre ben emessi e potenti. Il mezzosoprano si distingue fin dalla canzone del velo nel primo atto eseguita con proprietà di fraseggio, coloratura calibrata e buone dinamiche, e raggiunge il suo momento migliore nel terzetto del secondo atto.
Ottimi gli interventi di Simona Di Capua nei panni di Tebaldo e di Laura Giordano come Voce dal Cielo.
Opera di Firenze – 80° Maggio Musicale Fiorentino – Festival 2017
DON CARLO
Opera in quattro atti di François-Joseph Méry e Camille du Locle
da Friedrich Schiller
Traduzione italiana di Achille de Lauzières e Angelo Zanardini
Musica di Giuseppe Verdi
Filippo II Dmitry Beloselskiy
Don Carlo Roberto Aronica
Rodrigo Massimo Cavalletti
Il Grande Inquisitore Eric Halfvarson
Un frate Oleg Tsybulko
Elisabetta di Valois Julianna Di Giacomo
Principessa Eboli Ekaterina Gubanova
Tebaldo Simona Di Capua
Il Conte di Lerma Enrico Cossutta
Un araldo reale Saverio Fiore
Una voce dal cielo Laura Giordano
Deputati Fiamminghi Tommaso Barea, Benjamin Cho, Quanming Dou, Min Kim, Chanyoung Lee, Dario Shikmiri
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Zubin Mehta
Maestro del Coro Lorenzo Fratini
Regia Giancarlo Del Monaco
Scene Carlo Centolavigna
Costumi Jesús Ruiz
Luci Wolfgang von Zoubek
Allestimento ABAO-OLBE di Bilbao, Fundacion Ópera de Oviedo,
Teatro de la Maestranza de Sevilla, Festival Ópera de Tenerife
Firenze, 5 maggio 2017