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Milano, Teatro alla Scala – La traviata

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Parigi, Montmartre. Tra le numerose sepolture illustri del cimetière du Nord (basti citare, per esempio, il pittore Edgar Degas o la cantante Dalida) vi è anche quella di Marie Duplessis, al secolo Alphonsine Rose Plessis, celebre mantenuta parigina morta di tisi a soli ventitré anni, nel 1847, alla cui figura è ispirato il romanzo La Dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio. Lo stesso Dumas ha tratto pure una versione teatrale dal suo libro, base di partenza per una delle opere più note di Giuseppe Verdi: La traviata.
Assente dal dicembre 2013, titolo di apertura della stagione lirica e di chiusura dei festeggiamenti per il bicentenario verdiano-wagneriano, torna al Teatro alla Scala per poche recite questo melodramma tanto amato dal pubblico. Per l’occasione, si è deciso di riproporre l’allestimento del 1990, visto a Milano più e più volte nel corso degli anni, creato dalla regista Liliana Cavani. Lo spettacolo, tradizionalissimo ed estremamente curato nei minimi particolari, si avvale delle sontuose, faraoniche scene di Dante Ferretti e degli eleganti, preziosi costumi di Gabriella Pescucci (bellissimi e raffinati quelli indossati dalla protagonista durante le due feste); funzionali le luci di Marco Filibeck. Molte sono le suggestioni visive: nel fastoso primo atto, improntato principalmente a cromie chiare e a un esuberante horror vacui, si percepiscono rimandi alla scena del valzer del Gattopardo di Luchino Visconti; la bucolica veduta campestre sul fondo del primo quadro dell’atto successivo sembra uscita da un dipinto della Scuola di Barbizon; il salotto in casa di Flora, dominato da velluti, pesanti tendaggi e da varie sfumature di rosso e viola, ricorda a tratti l’interno di una casa di piacere di lusso; le inquietanti maschere animalesche indossate da alcuni invitati non stonerebbero in un quadro di Max Ernst. In sintesi, una meraviglia per gli occhi, ma che resta spesso in superficie, a causa di una gestualità d’antan e di un’assenza di scavo psicologico dei personaggi.

Sul podio dell’Orchestra del Teatro alla Scala, l’ottantacinquenne Nello Santi, che mai prima d’ora aveva diretto Verdi al Piermarini. La sua è una lettura solida, coesa, che predilige sostanzialmente sonorità brillanti e pastose, di tanto in tanto eccessivamente voluminose ma, in taluni casi, in grado di piegarsi a nuances pastellate e a un suono più morbido, cesellato. Santi sceglie tempi dilatati che, se in alcuni momenti danno luogo a fraseggi musicali e pianissimi davvero intelligenti e suggestivi (valga su tutti il duetto del secondo atto fra Violetta e Germont padre), in altri risultano eccessivamente lenti e trascinati, soprattutto nel primo atto, privo della giusta dose di brio e leggerezza. Condivisibile o meno la scelta di effettuare i tradizionali tagli alla partitura.

Nei panni di Violetta Valéry il soprano Ailyn Pérez, nata a Chicago ma di origini messicane: in possesso di una voce brunita, morbida nell’emissione, salda in acuto (omette tuttavia il mi bemolle a conclusione della cabaletta “Sempre libera”), a volte opaca nel registro grave; degni di nota i filati e le mezzevoci esibiti nei due atti conclusivi. Sebbene la dizione, in particolare nella scena della lettera, suoni un po’ acerba, l’interprete risulta credibile, accorata, emotiva, uscendo sbalzata a tuttotondo specialmente nel secondo e nel terzo atto; toccante la resa di “Dite alla giovine sì bella e pura”, cantata tutta a fior di labbra, e di “Alfredo, Alfredo, di questo core”, velata di rassegnata disperazione. Accanto a lei, il giovanile Alfredo Germont di Francesco Meli: vocalità tenorile schietta e solare, dal timbro rigoglioso di puro smalto, ben proiettata nelle note alte e corposa in quelle basse, Meli delinea un Alfredo fresco, inizialmente timido e impacciato, poi via via più passionale e irruento, fino a sfociare nel drammatico finale secondo, dove evita toni eccessivamente enfatici. Sugli scudi la resa dell’aria “De’ miei bollenti spiriti”, accolta da applausi a scena aperta. Il veterano Leo Nucci è Giorgio Germont: classe 1942, la voce del baritono è ancora piena, squillante e sicura in acuto, non sempre a fuoco nei gravi. A queste caratteristiche si aggiungano un fraseggio scolpito nella pietra, estremamente carismatico, e una presenza scenica magnetica.
Dolce e musicale l’Annina del mezzosoprano Chiara Tirotta; aristocratico e signorile il basso Alessandro Spina (Dottor Grenvil); matronale e omogenea vocalmente la Flora Bervoix del mezzosoprano Chiara Isotton; aitante e luminoso negli acuti il tenore Oreste Cosimo (Gastone); spumeggiante il Marchese d’Obigny del basso Abramo Rosalen; autoritario il basso-baritono Costantino Finucci nei panni del geloso Barone Douphol. Centrati e puntuali gli interventi del tenore svizzero Jérémie Schütz (Giuseppe) e del basso venezuelano Gustavo Castillo (Domestico di Flora/Commissionario).
Sempre incisivo e preciso il Coro del Teatro alla Scala, guidato da Bruno Casoni. Ammiccanti le zingarelle e virili i toreri a petto nudo che ballano nel secondo atto su coreografie di Micha van Hoecke, con una menzione particolare per il solista Riccardo Massimi.
Teatro esaurito e successo entusiasta, con ripetute ovazioni per Ailyn Pérez, Francesco Meli, Leo Nucci e Nello Santi.

Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2016/2017
LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi

Violetta Valery Ailyn Pérez
Flora Bervoix Chiara Isotton
Giorgio Germont Leo Nucci
Alfredo Germont Francesco Meli
Barone Douphol Costantino Finucci
Marchese d’Obigny Abramo Rosalen
Dottor Grenvil Alessandro Spina
Annina Chiara Tirotta
Gastone Oreste Cosimo
Giuseppe Jérémie Schütz
Domestico di Flora/Commissionario Gustavo Castillo

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Corpo di Ballo del Teatro alla Scala
Direttore Nello Santi
Maestro del Coro Bruno Casoni
Regia Liliana Cavani
Scene Dante Ferretti
Costumi Gabriella Pescucci
Luci Marco Filibeck
Coreografia Micha van Hoecke
Milano, 5 marzo 2017

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