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Milano, Teatro alla Scala – La bohème

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Qual è l’età pensionabile di uno spettacolo d’opera? Chi lo stabilisce, se non l’affetto e l’affluenza del pubblico? Dopo oltre mezzo secolo dalla sua prima messa in scena che risale alla stagione 1962/63, ritorna al Teatro alla Scala, in tutto il suo splendore, la Bohème firmata da Franco Zeffirelli. È impossibile, a meno che non si voglia assumere di proposito la più odiosa fra le pose snob, non riconoscere la bellezza di questo allestimento. Emozionante l’apertura del sipario sul Café Momus, in cui l’azione si sdoppia su un duplice piano: l’interno del locale in proscenio, dove si muovono i protagonisti dell’opera e l’affollata passeggiata sul corso parigino, di fronte ad altissimi palazzi e ad alberi che si stagliano sullo sfondo. Il coloratissimo e scintillante carretto dei giocattoli di Parpignol tirato dal somarello e l’entrata di Musetta sul calesse trainato da un cavallo bianco sono tocchi fortemente connotati che, oggi come allora, divertono gli spettatori, catturando la loro attenzione. E poi la Barriera d’Enfer, in prospettiva, sovrastata da un cielo plumbeo e nevoso che costituisce un colpo d’occhio indimenticabile. Gli altri ingredienti principali dello spettacolo vanno ricercati nei dettagliati costumi di Piero Tosi, ripresi da Alberto Spiazzi, e nel magistrale disegno luci di Marco Filibeck. Pesa qualche perplessità sui movimenti scenici di Marco Gandini, qua e là poco efficaci, nella fattispecie durante tutto l’ultimo quadro, a causa della mancanza di interazione tra Rodolfo e Mimì.

Evelino Pidò, navigato belcantista, dirige la partitura pucciniana discostandosi dalla lettura protonovecentesca cara a molti suoi colleghi, per restituirle atmosfere e colori sospesi fra il rétro e il fané. Il taglio scelto imprime all’opera un ritmo morbido, dove il tragico trascolora nel malinconico senza soluzione di continuità. Una conduzione che lascia maggior spazio al sentimento e all’emotività, talvolta pagando lo scotto di qualche imperfezione nella tenuta dell’insieme, ma non per questo meno coinvolgente.

Di casa alla Royal Opera House di Londra e stella di consolidata fama al Metropolitan di New York, dove ha debuttato in poco tempo Mimì, Violetta e Desdemona (e dove la aspettano a breve la Contessa delle Nozze e Luisa Miller), Sonya Yoncheva debutta alla Scala, realizzando una Mimì di gran pregio, capace nella sua caratterizzazione a tutto tondo di rinverdire i fasti che furono, a suo tempo, quelli di Mirella Freni. L’illustre modello vocale e interpretativo si fa ascoltare già a partire dalle note d’ingresso: quel “Scusi…di grazia, mi s’è spento il lume…Vorrebbe?” possiede un particolare incanto che deriva dalla totale mancanza di affettazione, in favore di un’espressività sincera. L’ampia voce di soprano lirico e il bel timbro si fondono a un’emissione in cui il flusso del fiato scorre libero e pieno, senza sovrastrutture di sorta. La vocalità della Yoncheva trova la sua forza in quella naturalezza che è il punto di arrivo di una tecnica rifinita. Ineccepibile nelle due arie, il soprano si distingue al terzo quadro anche in virtù di un registro centro-grave piacevole e sonoro (“In lui parla il rovello; lo so, ma che rispondergli, Marcello?“ “Or lo fa incollerir. Me poveretta!…”Che vuol dire?”). Nell’ultima scena, è assolutamente ammirevole il modo in cui la cantante alleggerisce, quasi svuotandola della sua polpa, l’emissione, restituendo così la catarsi del momento. A sostegno della purezza della linea, poi, sta una pronuncia che risulta sorprendentemente chiara e scandita per una cantante non italiana. Per una volta, la fama che precede un artista si conferma, alla resa dei conti, pienamente meritata.

Dire che Fabio Sartori non soccombe a una partner di tal fatta è già un grande complimento. Il suo Rodolfo non assume mai l’atteggiamento naïf e trasognato che in genere si associa al personaggio, rimanendo entro i confini di un’interpretazione concreta e lineare; né il tenore esibisce un timbro particolarmente adamantino, offuscato com’è da una certa ruvidità nella fascia grave dell’estensione. Ciononostante, Sartori canta con voce grande, acuti facili e con un’emissione ovunque solida e proiettata. Bene la “gelida manina” (pur abbassata di un semitono), e benissimo il duetto dell’”addio senza rancor”, dove esibisce, nella forma di mezzevoci e pianissimi, dolcezze e sfumature inaspettate.
Simone Piazzola è un Marcello piuttosto debole dal punto di vista vocale e abbastanza dimesso da quello scenico. Si fatica a scorgere in lui l’impeto giovanile o la passione amorosa che sarebbe più che lecito aspettarsi. Il canto è troppo sorvegliato, quasi il baritono stesse sempre ad accertarsi della bontà dell’emissione, a scapito della comunicativa. Tende inoltre a “chiudere” il medium della voce in maniera eccessiva, stavolta a scapito dell’intelligibilità della dizione.
Ottima Federica Lombardi, soprano dalla vocalità rotonda e sensuale, peculiarità, questa, che la differenzia dalla maggior parte delle cantanti solitamente impegnate nei panni di Musetta. La giovane artista si segnala anche per la notevole presenza scenica che le permette di rubare letteralmente la scena ad ogni sua entrata.
Mattia Olivieri, qui sotto-impiegato nella parte di Shaunard, avrebbe tutte le carte in regola per realizzare un Marcello convincente. Ad ogni modo, con voce fresca, omogenea, e con strepitosa verve, il baritono rende al meglio i tratti identificativi del simpatico maestro di musica.
Il Colline di Carlo Colombara non appare del tutto a suo agio nel canto “di conversazione”, dove mostra la corda in più di un momento. Tuttavia il bel timbro di basso e il colore vocale, ancora molto seducente, emergono chiaramente in “Vecchia zimarra”.
Discreto Davide Pelissero (Benoît) e sufficiente Luciano Di Pasquale (Alcindoro). Coeso e sempre professionale il Coro del Teatro alla Scala preparato da Bruno Casoni.

Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2016/2017
LA BOHÈME
Opera in quattro quadri
Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
dal romanzo Scènes de la vie de Bohème di Henry Murger
Musica di Giacomo Puccini

Mimì Sonya Yoncheva
Rodolfo Fabio Sartori
Musetta Federica Lombardi
Marcello Simone Piazzola
Schaunard Mattia Olivieri
Colline Carlo Colombara
Alcindoro Luciano Di Pasquale
Benoît Davide Pelissero
Parpignol Francesco Castoro
Sergente dei doganieri Gustavo Castillo
Un doganiere Rocco Cavalluzzi

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Coro di voci bianche dell’Accademia del Teatro alla Scala
Direttore Evelino Pidò
Maestro dei cori Bruno Casoni
Regia e scene Franco Zeffirelli ripresa da Marco Gandini
Costumi Piero Tosi ripresi da Alberto Spiazzi
Luci Marco Filibeck
Milano, 10 giugno 2017

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