L’apertura di stagione del Teatro alla Scala di Milano avviene nel segno del verismo, con la messinscena dell’Andrea Chenier di Umberto Giordano.
Lo spettacolo pensato da Mario Martone è al contempo rassicurante e suggestivo. L’ambientazione e l’epoca del dramma vengono rispettati grazie alle minuziose scenografie di Margherita Palli (con un sontuoso rococò per la parete di specchi nella dimora dei Coigny al primo quadro) e ai costumi ricercatissimi di Ursula Patzak, il cui accostamento cromatico si giova dell’impeccabile disegno luci di Pasquale Mari. Tuttavia, lo spazio scenico si compone anche e soprattutto di zone nere che però non sono mai inutilmente vuote. Il regista è infatti abile nel riempire tali spazi utilizzando le masse e gli interpreti come pedine su di una gigantesca scacchiera, dove la disposizione fisica dei personaggi diviene di assoluta rilevanza. Non di rado nelle scene corali, si assiste a un decentramento dei protagonisti ai lati del proscenio, quasi a ridosso del pubblico. Così come capita che un personaggio faccia il suo ingresso durante un momento topico emergendo proprio dal buio che circonda il centro del palco. Bellissima poi l’immagine onirica dei popolani ridotti alla fame che, con un misto di rabbia, incredulità e scherno, osservano da dietro gli specchi i nobili in festa. Mentre tutta la scena del processo resta indelebile nella memoria grazie alla folla urlante sugli spalti che Martone congela, sul finale, in un magnifico tableau vivant.
Riccardo Chailly, che dirige con la consueta padronanza, ottiene dall’Orchestra del Teatro alla Scala un suono potente, ricchissimo di armonici, brillante sopra ogni cosa, rispetto al quale si insinua talvolta il dubbio di un autocompiacimento sinfonico forse eccessivo. Probabilmente, avere a disposizione tre voci “di peso” lo svincola da qualsiasi freno, permettendogli di scatenare lo strumentale in un furioso galoppo a briglie sciolte. Bruno Casoni, da parte sua, dimostra di aver preparato il Coro nel migliore dei modi: il terzo quadro si segnala difatti per la coinvolgente resa vocale, oltre che per quella prettamente visiva.
Cantante di contraddizioni in termini, Anna Netrebko. L’emissione non è ortodossa, eppure è sanissima. La voce non squilla, eppure corre benissimo. Né la dizione, per quanto migliorata rispetto al passaggio televisivo del 7 dicembre, può dirsi un modello di genere. Ma canta, accidenti se canta. La timbratura e la compattezza del suono sono ovunque impressionanti. Una voce grande e perlopiù bella: questo quando la diva non indugia, come accade in un paio di occasioni, in un registro grave dall’effetto granguignolesco (la frase “Se della vita sua tu fai prezzo il mio corpo” sentita qui farebbe sembrare un sopranino perfino la vecchia Madelon). Tolto il primo quadro, dove la sua Maddalena soffre di una pesantezza quasi ingombrante, già dal secondo si assiste a un progressivo incardinamento della prestazione su livelli degni di cotanta fama. E se “La mamma morta”, pur vocalmente riuscita, risulta generalmente sopra le righe a causa di un’interpretazione sovraesposta ed esageratamente tragica, è nell’ultimo quadro che la fuoriclasse si libera definitivamente dalla sua gabbia. Il lungo duetto con Andrea, dove lo strapotere di questa voce viene sollecitato in ripetute e sicurissime salite all’acuto sopra un’orchestra che letteralmente ribolle, fa sobbalzare sulla sedia tutto il pubblico della Scala, compreso il sottoscritto (e non è impresa di poco conto).
Yusif Eyvazov è un eccellente Chénier. Colpiscono innanzitutto la pronuncia perfetta e una linea di canto garbata, piena di gusto e sempre sfumata. Le parole si formano morbidissime sulle labbra e il fiato le fa viaggiare nella sala. Ottimo il fraseggio, inserito in un più ampio contesto di evidente e curata musicalità (“Un dì all’azzurro spazio” è tra i migliori possibili). Il registro acuto (questo sì, davvero squillante) viene sfoderato all’occorrenza con prontezza e facilità. E viene del tutto naturale entrare in empatia con il personaggio, così come Eyvazov ce lo propone sin dal principio: sognatore, idealista, qua e là goffamente imbarazzato.
Luca Salsi centra il bersaglio di un’interpretazione volta a sottolineare il lato rabbioso e coriaceo di Gérard. Fortunatamente non c’è solo la voce, che è tanta e ben emessa, ma anche l’impeto scenico che la parte richiede, con quel “di più” dato dal sentirsi perfettamente a proprio agio in uno stile e in una scrittura come quelli veristi.
In un’opera come lo Chénier, fatta per sua grande parte dal folto stuolo di personaggi che ruotano attorno ai tre protagonisti, è di fondamentale importanza l’assemblaggio di una compagnia di cantanti/attori che siano dotati di reale talento. Alla Scala va perciò tributato un convinto plauso per il lavoro svolto con le parti cosiddette secondarie. A cominciare dalla Bersi di Annalisa Stroppa, una sicurezza per quanto riguarda bravura vocale e attoriale. Perfettamente centrata Judit Kutasi nei panni di Madelon, in possesso di una sonora voce di contralto. Una garanzia di professionalità la Contessa di Mariana Pentcheva, cui non difetta certo la proiezione del suono. Proiezione che è da sempre uno dei punti di forza anche di Carlo Bosi, un Incredibile ben delineato, capace di singolari sottigliezze scenico-vocali. Roucher è il basso Gabriele Sagona, le cui prove, soprattutto qui alla Scala, definiscono di volta in volta una statura artistica a tutto tondo, peraltro in costante crescita. Ugualmente efficaci i risultati raggiunti da Costantino Finucci (Fléville), Gianluca Breda (Tinville), Francesco Verna (Mathieu), Manuel Pierattelli (Abate), Romano Dal Zovo (Schmidt), Riccardo Fassi (Maestro di Casa/Dumas).
Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2017/2018
ANDREA CHÉNIER
Dramma di ambiente storico in quattro quadri
Libretto di Luigi Illica
Musica di Umberto Giordano
Andrea Chénier Yusif Eyvazov
Maddalena di Coigny Anna Netrebko
Carlo Gérard Luca Salsi
La mulatta Bersi Annalisa Stroppa
La Contessa di Coigny Mariana Pentcheva
Madelon Judit Kutasi
Roucher Gabriele Sagona
Il romanziero, Pietro Fléville, pensionato del Re Costantino Finucci
Fouquier Tinville, accusatore pubblico Gianluca Breda
Il sanculotto Mathieu, detto “populus” Francesco Verna
Un “Incredibile” Carlo Bosi
L’Abate, poeta Manuel Pierattelli
Schmidt, carceriere a San Lazzaro Romano Dal Zovo
Il Maestro di Casa/Dumas, presidente del Tribunale di Salute Pubblica Riccardo Fassi
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Chailly
Maestro del coro Bruno Casoni
Regia Mario Martone
Scene Margherita Palli
Costumi Ursula Patzak
Luci Pasquale Mari
Coreografie Daniela Schiavone
Nuova produzione Teatro alla Scala
Milano, 16 dicembre 2017