Nella vulgata del buon melomane, è l’opera della sconfitta di Verdi, quella il cui fiasco lo spinge addirittura a pensare di abbandonare definitivamente il melodramma e tornare a Busseto per dirigervi la banda. Un giorno di regno o il finto Stanislao è invece un lavoro di pregevole qualità, che rivela un compositore già consapevole dei propri mezzi, certo alle prese con una vicenda che probabilmente non lo entusiasma, ma nella quale riversa molto più che un onesto mestiere. E questo, Verdi lo fa riuscendo convincente anche nei pezzi comici, perché – come tutti i buoni melomani sanno – Un giorno di regno è un’opera comica. Sui generis, in verità, ma pur sempre comica. Ora, che il temperamento verdiano fosse eminentemente drammatico è altra cosa che i già citati buoni melomani sanno bene, ma ricordano ancor meglio che il suo addio alle scene operistiche avviene proprio con un titolo comico. Come a dire: un genio del teatro musicale riesce bene e nel comico e nel drammatico. Non per nulla, il modello di Verdi fu Shakespeare. Ciò detto, per fare sintesi, soprattutto in merito alla musica di questo lavoro, citeremo il celebre adagio tanto caro ai parmigiani: “Verdi è come il maiale, non si butta via niente!”.
Dunque, bene ha fatto il Festival della Valle d’Itria a mettere in scena Un giorno di regno, affidandone la direzione a un giovane e promettente maestro che ha reso giustizia a questa partitura non avara di finezze e di colori senza incappare nel rischio, sempre in agguato quando ci si accosta al Verdi giovane, di produrre un fastidioso effetto bandistico o di limitarsi a fare il battisolfa. Sesto Quatrini ha invece impresso un notevole ritmo all’incedere musicale, ottenendo dall’orchestra un suono sempre adeguato alle situazioni, smorzando e ammorbidendo dove il canto lo richiedeva, risultando brillante nelle pagine buffe e valorizzando sempre lo strumentale, grazie anche all’ottimo apporto dell’Orchestra Internazionale d’Italia. Soprattutto, mi pare perfettamente riuscito l’intento di evidenziare il debito belcantista, più che esclusivamente rossiniano, della partitura, mettendo contemporaneamente in luce le nascenti peculiarità dell’istinto verdiano.
Complessivamente all’altezza e ben amalgamato il cast vocale. A cominciare dal Cavalier Belfiore del baritono Vito Priante, a suo agio nelle vesti regali del Finto Stanislao, con una bella voce chiara ed estesa; molto bravo anche il giovane baritono slovacco Pavol Kuban, convincente Barone di Kelbar. Il soprano lituano Viktorija Miškunaite è dotata di notevoli mezzi vocali – oltre che di indiscutibile fascino scenico – e affronta con sicurezza il ruolo della Marchesa del Poggio, mentre il soprano albanese Dioklea Hoxha disegna una graziosa e vivace Giulietta di Kelbar. Davvero interessante la voce del tenore peruviano Ivan Ayon Rivas, scura, duttile, ampia e timbrata; l’impressione è che possa fare una bella carriera, ma debba curare un po’ meglio la tecnica, per non compromettere una tale dovizia di mezzi. Bravi gli altri: Luca Vianello, Nico Franchini e Domenico Pellicola, tutti impegnati nell’Accademia “Rodolfo Celletti”. Apprezzabile il contributo del Coro del Teatro Municipale di Piacenza guidato da Corrado Casati.
La regia dello spettacolo era affidata a Stefania Bonfadelli, di casa a Martina Franca sia come cantante, sia come docente dell’Accademia del Belcanto. A lei il compito di reinventare lo spazio del palcoscenico di Palazzo Ducale senza il “conforto” di un vero e proprio apparato scenografico. Per questo, la sua regia ha deciso di fare leva su tale vincolo, richiamando esplicitamente un tema purtroppo noto ed attuale: le peripezie di una compagnia teatrale in un momento di grave crisi di fondi. Così, la vicenda si svolge oggi in un teatro occupato (di questo informa il pubblico il lungo striscione che campeggia sul fondale), con un palco su cui sono affastellati oggetti di scena e, in grande evidenza, troneggia una riproduzione del celebre ritratto di Verdi dipinto da Giovanni Boldini. Lo stesso palco è poi diviso in due parti: quella di pertinenza della compagnia, con i suoi problemi di sopravvivenza, e quello invece dove si svolgono le prove dello spettacolo a cui la compagnia stessa sta lavorando. Un’idea interessante, suggerita anche dal doppio titolo dell’opera, che tuttavia non trova compiuta realizzazione semplicemente perché non è esplicitata in modo chiaro dai personaggi e dai loro movimenti, con una demarcazione non sufficientemente evidente, anche a livello scenografico, dei due ambiti.
43° Festival della Valle d’Itria
UN GIORNO DI REGNO
Melodramma giocoso di Felice Romani
Musica di Giuseppe Verdi
Edizione critica edita da Chicago University Press e Casa Ricordi di Milano a cura di Francesco Izzo – Editore Ricordi, Milano
Il Cavalier Belfiore Vito Priante
Il Barone di Kelbar Pavol Kuban
La Marchesa del Poggio Viktorija Miškunaite*
Giulietta di Kelbar Dioklea Hoxha
Edoardo di Sanval Ivan Ayon Rivas
Il Signore della Rocca Luca Vianello*
Il Conte Ivrea Nico Franchini*
Delmonte Domenico Pellicola*
Orchestra Internazionale d’Italia
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Direttore Sesto Quatrini
Maestro del coro Corrado Casati
Regia, scene e costumi Stefania Bonfadelli
Disegno scenico Chiara Trancossi
Elementi di scenografia Raffaele Montesano
Disegno luci Giuseppe Calabrò
Nuovo allestimento del Festival della Valle d’Itria in collaborazione con *l’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti”
Coproduzione con la Fondazione Paolo Grassi di Martina Franca in collaborazione con l’Accademia delle Belle Arti di Bari e il contributo della Fondazione Puglia
Martina Franca, Cortile di Palazzo Ducale, 30 luglio 2017