Ricordo molto bene una Alcina data, circa dieci anni fa, in forma di concerto, presso la Sala Verdi del Conservatorio di Milano. Joyce DiDonato, che all’epoca non aveva ancora fatto il grande salto nella carriera, cantava la parte della protagonista. Il timbro argenteo di soprano e l’emissione fluida mi avevano impressionato assai positivamente, facendomi sperare in un roseo futuro artistico. Di quella cantante, oggi non esiste più alcuna traccia. Anni fatti di scelte di repertorio scellerate, dettate dalle case discografiche e da direttori artistici ben poco competenti in fatto di voci, hanno prodotto nella DiDonato un risultato imbarazzante. E difatti, la sua Semiramide alla Royal Opera House di Londra, è probabilmente uno dei peggiori orrori vocali che mia sia mai capitato di udire in teatro. L’emissione è continuamente spinta da sotto, tutta “a punta di coltello”, afflitta da un vibrato velocissimo e penetrante (per usare un eufemismo), di quelli che hanno la non invidiabile capacità di risultare fastidiosi, quando non proprio insopportabili. Il colore, oggi, risulta perfino più chiaro di allora, in barba alla moltitudine di ruoli anfibi affrontati. Le smorzature nel piano e nel pianissimo sortiscono il classico “effetto sirena”, fisse e calanti come sono. Ma ancora più grottesche della prestazione vocale ascoltata qui – che a tutti gli effetti perde qualsiasi connotazione “lirica” per diventare qualcosa che sfugge ai generi musicali conosciuti – sono le ovazioni che il pubblico le tributa al termine dell’opera.
Con Daniela Barcellona nei panni di Arsace siamo per fortuna su di un altro pianeta, distante, a occhio e croce, un paio di galassie. Pur avendo perso qualcosa in termini di smalto vocale e di uniformità fra i registri, la sua è una prova ammirevole, soprattutto se rapportata alla difficoltà e all’estensione del ruolo. Convince in particolar modo sotto l’aspetto interpretativo, sempre pertinente, e per il dominio della scrittura, maturato in anni di proficua frequentazione dei ruoli scritti per contralto rossiniano.
Lo stesso discorso vale per Michele Pertusi, un Assur ben delineato nel carattere vocale e scenico, anche se appena indurito nell’emissione. Da ricordare la sua scena della pazzia, sorvegliata nella linea, ma nondimeno efficace nella resa.
Lawrence Brownlee, simpatico Idreno, è forse il cantante che meno mostra il fianco a eventuali appunti, con una voce che magari manca di immediata riconoscibilità nel suo vago assomigliare a quella di un Flórez, ma con la quale riesce a portare a termine il compito affidatogli nel migliore dei modi. Il canto di agilità è sciolto e sicuro, come le puntature all’acuto, sempre impeccabili.
Nel ruolo secondario di Oroe, Bálint Szabó emerge con prepotenza, grazie a una voce di basso di ottimo spessore, e a un canto rifinito e misurato. Precisa la Azema di Jacquelyn Stucker e censurabile il Mitrane di Konu Kim.
Antonio Pappano – ovvero uno dei migliori direttori esistenti oggi – alle prese con Rossini non si smentisce nemmeno in questo contesto. L’ouverture è una meraviglia di suoni leggeri, che levitano dalla buca e si avvitano sempre più vorticosamente nella sala. L’orchestra della ROH non è una compagine che suona sempre alla perfezione (come dimostra, per esempio, un ottavino abbastanza indisciplinato), ma conosce bene il gesto del maestro, e lo asseconda con timbriche morbide e definite. Ottimi i corni, tra i più intonati mai sentiti. Quanto al rapporto con le voci, Pappano sa accompagnare senza prevaricare, e questo è uno dei tratti che meglio ne identificano l’approccio ai cantanti.
Lo spettacolo firmato da David Alden è una coproduzione che nasce lo scorso febbraio sul palco della Bayerische Staatsoper, luogo da sempre deputato ai peggiori scempi del Regietheater.
La cifra di lettura dell’opera adottata in questo allestimento sta tutta nel titolo della presentazione contenuta nel libretto di sala: A semi-serious Semiramide. Come a dire: la vicenda è ridicola e improbabile, tanto vale farsi una risata. Ed è così che si assiste a un’infilata di assurdità atte a suscitare ilarità negli spettatori, a cominciare da un Assur in versione Saddam Hussein, per passare ad Azema, agghindata come mummia egizia e in preda alle convulsioni, per continuare con Nino, copia carbone di Onassis, che risorge dalla bara con effetto fumogeno in pieno stile Bela Lugosi. Si salvano i costumi di Buki Shiff, ricercatissimi, ma pure alcuni pannelli e decorazioni optical di derivazione marocchina adottate da Paul Steinberg per le scenografie. Ottimo invece il lavoro svolto su tutti gli interpreti dal punto di vista della recitazione: in questo, gli anglosassoni possono a buon titolo impartire lezione.
Royal Opera House – Stagione invernale 2017/2018
SEMIRAMIDE
Melodramma tragico in due atti
Libretto di Gaetano Rossi
Musica di Gioachino Rossini
Semiramide Joyce DiDonato
Assur Michele Pertusi
Arsace Daniela Barcellona
Idreno Lawrence Brownlee
Azema Jacquelyn Stucker
Oroe Bálint Szabó
Mitrane Konu Kim
Nino Simon Shibambu
Orchestra e Coro della Royal Opera House
Direttore Antonio Pappano
Maestro del coro Peter Manning
Regia David Alden
Scene Paul Steinberg
Costumi Buki Shiff
Luci Michael Bauer
Coreografie Beate Vollack
Nuovo allestimento in coproduzione con la Bayerische Staatsoper
Londra, 8 dicembre 2017