Due aspetti contrastanti caratterizzano il tempo in cui viviamo: la ricerca quasi ostinata di novità e stupore da un lato, il bisogno di certezze e rassicurazioni alle nostre convinzioni dall’altro. Anche l’allestimento di uno spettacolo d’opera non si sottrae a questo dualismo, allo scontro tra il bisogno di innovazione (magari supportata dalle possibilità e dagli effetti che la tecnologia può offrire) e il rispetto della tradizione: una tradizione che molti melomani – e, si badi, non è solo una questione di età anagrafica – hanno ben chiara e radicata nel proprio immaginario.
In questo scorcio del 2017, la Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova ripropone Rigoletto in quello che, leggendo il programma di sala, viene presentato come un nuovo allestimento. Il primo capolavoro della trilogia popolare verdiana, lo sappiamo, è un cult, uno di quei titoli che garantiscono a una fondazione lirica un sicuro riscontro in termini di botteghino. Da questo punto di vista, l’operazione è assolutamente riuscita, se si guarda il foltissimo pubblico presente in sala. Chi però frequenta da anni il Carlo Felice, il dubbio che si trattasse di un nuovo allestimento onestamente lo ha avuto. Con qualche modifica, l’eliminazione di qualche elemento ridondante e la restituzione di una maggiore luminosità alla scena, si tratta in buona parte della riproposta della produzione vista due volte a Genova nel 2013 e portata lo stesso anno anche sugli spalti della Fortezza del Priamar a Savona, nell’ambito della stagione estiva dell’Opera Giocosa. Considerato il periodo di crisi che attraversano le Fondazioni, l’operazione ha comunque una sua ragione di essere.
L’allestimento appaga sicuramente il bisogno di certezze e di rassicurazioni di una buona fetta di pubblico, che ha tributato un grande successo alla produzione. Non manca nulla, o quasi, di quanto previsto dalle didascalie del libretto: la magnifica sala del palazzo ducale, la via cieca con la casa del buffone – munita di cortile, di albero, di panca, di terrazzo, di uscita secondaria – la casa a due piani mezzo diroccata di Sparafucile sulla sponda del Mincio. Meno didascalica appare la scena del secondo atto in cui il salotto del Duca si apre su un grande fondale che mostra un viale alberato e vagamente ricorda una celebre poesia carducciana. Molto ben elaborati e pertinenti i costumi di Regina Schrecker. Tutto sommato un allestimento piacevole, elegante, anche nel suo apparire ed essere vagamente datato. La regia è affidata a Rolando Panerai, che mostra di ben conoscere le esigenze dei cantanti, cui non chiede movimenti e posture che possano compromettere il canto. Non potrebbe essere altrimenti, vista la lunghissima esperienza del maestro sulle scene liriche. Panerai predilige un approccio tradizionale, con gli interpreti in proscenio nei momenti più attesi, ma al medesimo tempo sa ottenere una certa sobrietà nel gesto, evitando sbracciamenti e pose da cinema muto.
Francesco Ivan Ciampa ottiene una buona prestazione dall’Orchestra del Carlo Felice, è attento alle voci, non le sovrasta e le sostiene. In questo senso si mostra consapevole del ruolo fondamentale della vocalità in un’opera come Rigoletto. Il maestro dà il meglio della sua performance in “Cortigiani, vil razza dannata”, dove l’intesa perfetta con il protagonista sulla scena regala un momento memorabile.
Leo Nucci veste ancora una volta i panni del buffone. Grande artista, il baritono propone il suo collaudatissimo personaggio per il quale, nei momenti clou, gli anni non sembrano essere trascorsi: Nucci padroneggia letteralmente “Pari siamo”, “Cortigiani”, “Sì, vendetta”, “Della vendetta alfin giunge l’istante”. Il registro acuto, da sempre suo punto di forza, è ancora sicuro, spavaldo. D’altra parte, sarebbe ingiusto e scorretto tacere che il registro grave ha oggi meno risonanza di un tempo e appare talvolta arretrato. La prova dell’interprete è comunque di altissimo livello: il pubblico lo percepisce e gli tributa una grandissima ovazione alzandosi in piedi e ottenendo a furor di popolo il bis di “Vendetta, tremenda vendetta”, così che la recita si trasforma in una sorta di celebrazione e di omaggio a un mito vivente dell’opera.
Maria Mudryak forse non ha un timbro eccelso, ma è un’ottima cantante e una splendida Gilda. Domina la parte con sicurezza vocale e gusto d’interprete: il suo personaggio non bamboleggia, non gorgheggia inutilmente, è donna verdiana come Gilda è e deve essere.
Nel ruolo del Duca di Mantova, lo spagnolo Antonio Gandía trova il suo momento migliore nella celeberrima “La donna è mobile”. Il timbro si adatta perfettamente al ruolo. Manca ancora la spavalderia, lo sprezzo che il personaggio dovrebbe avere. Si percepisce talvolta una certa fissità nel timbro e qualche fiato di troppo nella grande scena che apre il secondo atto e nel quartetto del terzo. Ma il materiale vocale è di qualità e lavorando sul personaggio dal punto di vista musicale e interpretativo, potrebbe uscire un ottimo Duca con molte frecce al suo arco.
Assolvono degnamente al compito Dario Russo, che disegna uno Sparafucile non particolarmente profondo ma insinuante al punto giusto, e Anastasia Boldyreva, una Maddalena di bel timbro e marcata sensualità; entrambi con un perfetto physique du rôle. Scenicamente credibile il Conte di Monterone di Stefano Rinaldi Milani, cantante corretto cui manca però la risonanza che il ruolo imporrebbe. Funzionali i cortigiani di Claudio Ottino (Marullo), Aldo Orsolini (Matteo Borsa), Giuseppe De Luca (Conte di Ceprano), così come Anna Venturi (Giovanna), Alla Gorobchenko (Contessa di Ceprano), Alessio Bianchini (Usciere di Corte) e Annarita Cecchini (Paggio della Duchessa).
Il coro del Teatro Carlo Felice, sotto la guida di Franco Sebastiani, si conferma una certezza consolidata.
Teatro Carlo Felice – Stagione lirica 2017/2018
RIGOLETTO
Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Il Duca di Mantova Antonio Gandía
Rigoletto Leo Nucci
Gilda Maria Mudryak
Sparafucile Dario Russo
Maddalena Anastasia Boldyreva
Giovanna Anna Venturi
Il Conte di Monterone Stefano Rinaldi Milani
Marullo Claudio Ottino
Matteo Borsa Aldo Orsolini
Il Conte di Ceprano Giuseppe De Luca
La Contessa di Ceprano Alla Gorobchenko
Paggio Annarita Cecchini
Usciere Alessio Bianchini
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice di Genova
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Maestro del coro Franco Sebastiani
Regia Rolando Panerai
Assistente alla regia Vivien Hewitt
Costumi Regina Schrecker
Luci Luciano Novelli
Coreografia Giovanni Di Cicco
Nuovo allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice
da un’idea di Rolando Panerai
Genova, 10 dicembre 2017