La ricca stagione del Comunale di Bologna volge ormai al termine, e guarda ai grandi classici del repertorio italiano: prima di una Tosca natalizia, ecco Aida, titolo che mancava da anni nella programmazione del teatro. Troppo spesso utilizzata come spettacolo ludico-circense per vacanzieri, l’opera di Verdi necessita forse più di ogni altra di letture atipiche, che tentino di liberarla dalle incrostazioni sedimentate in quasi un secolo e mezzo di tradizione esecutiva.
Su questo presupposto si fonda lo spettacolo firmato dal regista Francesco Micheli, un allestimento nato e cresciuto allo Sferisterio di Macerata, dove ha esordito nel 2014 ed è stato ancora riproposto nella scorsa estate. Se per consuetudine le messinscene areniane si basano sull’accumulo di attrezzeria, questa lavora per sottrazione. Il palcoscenico progettato dallo scenografo Edoardo Sanchi è nudo e asettico. Gli unici elementi che lo occupano sono due enormi pannelli: uno inclinato, a far da piattaforma per gli attori; l’altro verticale, utilizzato per proiezioni digitali. Serve un po’ per capirlo, ma si tratta di un gigantesco computer portatile, controllato dal sacerdote Ramfis, narratore o, forse, facitore dell’intera vicenda. Ecco così apparire sullo schermo emblemi egizi, parole-simbolo, immagini stilizzate, e, sulla tastiera, linee che congiungono i personaggi, li contrappongono, li dividono, li isolano. I costumi tanto minimali quanto eleganti di Silvia Aymonino e le coreografie dal gusto primitivo di Monica Casadei sradicano il dramma dall’ambientazione originale, e lo collocano in uno spazio al tempo stesso arcaico e futuristico.
In teoria, l’idea di un’Aida metateatrale e digitale ha la sua ragion d’essere, non foss’altro perché salta a piè pari una tradizione scenografica trita e ritrita fatta di palme e piramidi. Nella pratica, però, per ridondanza di contenuti (serviva davvero proiettare i nomi dei personaggi al loro primo apparire in scena?) e per l’affastellamento di livelli narrativi e di simbologie, spesso il risultato o è troppo didascalico, o quasi indecifrabile. A ciò si aggiunga che in più occasioni le scelte registiche sembrano ignorare le esigenze degli interpreti e il senso del dramma. Non si contano le volte in cui il solista è costretto a cantare spalle al pubblico, o coricato, o infossato nel palcoscenico, e resta impresso il raffazzonato finale nel sotterraneo, con Radamès che esce dalle quinte come fosse a una scampagnata e Aida che spunta dal fondo della platea fra lo sconcerto del pubblico. Vien da pensare che l’allestimento di Micheli soffra molto il trasloco dall’arena al teatro: nonostante la scenografia ridotta all’osso, lo spazio sembra mancare, e alcune delle soluzioni che qui appaiono bislacche, con tutta probabilità in un ambiente più vasto sortirebbero miglior effetto.
Nel solco antiretorico della regia si pone la direzione musicale. Frédéric Chaslin ha un approccio alla partitura analitico, sfrondato di cascami dal sapore post-romantico e, al contempo, tipicamente francese per la cura dell’effetto strumentale. La sua lettura risulta vincente nelle grandi pagine d’assieme, dove l’Orchestra e il Coro del Comunale sfoderano un vigore e una quadratura che trova piena corrispondenza sul palcoscenico, mentre non sempre valorizza la tensione drammatica che innerva scene solistiche e duetti.
Del resto, la compagine vocale, pur funzionale nel complesso, a tratti dà la sensazione di essere più impegnata ad accontentare il regista che a indagare le ragioni della musica. In luogo dell’indisposto Carlo Ventre, la parte di Radamès è affidata al tenore del secondo cast Antonello Palombi. La sua voce squilla nei centro-acuti, ma impallidisce quando scende o sale di registro, e le sfumature prescritte spesso non persuadono. Elegantissima nel suo lungo abito nero, Monica Zanettin disegna un’Aida centrata dal punto di vista drammatico, corretta per fraseggio e controllo dinamico, toccante in alcuni slanci lirici. Terzo vertice del triangolo amoroso è l’Amneris di Nino Surguladze, una principessa travolta e stravolta dall’amore non corrisposto e dal fato imperscrutabile: anche se a volte la frase manca di quell’accento che illumina il senso del dramma, il colore brunito e il volume generoso risultano ben centrati. Enrico Iori restituisce in modo efficace il Ramfis onnisciente ideato dal regista, ma spesso a livello vocale la sua parte sembra solo sbozzata. Con la sua rotonda voce baritonale Dario Solari fornisce ad Amonasro ottimo vigore drammatico, mentre Luca Dall’Amico è autorevole nel tratteggiare l’algida figura del Faraone.
Se il valore di un allestimento si misurasse con l’applausometro, in questo caso si potrebbe quasi parlare di un trionfo, con consensi generosi a tutti gli artefici dello spettacolo.
Teatro Comunale – Stagione d’opera 2017
AIDA
Opera in quattro atti
Libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Il Re Luca Dall’Amico
Amneris Nino Surguladze
Aida Monica Zanettin
Radamès Antonello Palombi
Ramfis Enrico Iori
Amonasro Dario Solari
Gran Sacerdotessa Beth Hagermann
Messaggero Cristiano Olivieri
Orchestra, coro e tecnici del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Frédéric Chaslin
Maestro del coro Andrea Faidutti
Regia Francesco Micheli
Scene Edoardo Sanchi
Costumi Silvia Aymonino
Disegni Francesca Ballarini
Luci Fabio Barettin, riprese da Daniele Naldi
Coreografie Monica Casadei
Compagnia di Ballo Artemis Danza
Allieve di Arabesque. Scuola di danza classica, contemporanea e moderna – Bologna
Produzione del Teatro Comunale di Bologna con Associazione Arena Sferisterio –
Macerata Opera Festival
Bologna, 12 novembre 2017