Chiudi

Venezia, Teatro La Fenice – Aquagranda

Condivisioni

È stata una vera sfida per La Fenice. C’è voluto coraggio, infatti, a inaugurare la stagione lirica con una novità assoluta come Aquagranda, un’opera commissionata per di più a un autore come Filippo Perocco, senz’altro interessante e già noto ai frequentatori della Biennale Musica, ma che non appartiene ancora al Gotha dei compositori contemporanei. C’è voluto coraggio a maggior ragione perché Perocco – trevigiano, classe 1972 – aveva in precedenza composto per il teatro solo due pocket opera, una intitolata Occhi, nur noch, l’altra Panorama: opere “tascabili” della durata di una ventina minuti, i cui testi però non raccontano storie vere e proprie.
Con Aquagranda, invece, Perocco si è dovuto confrontare con una narrazione importante, un evento tragico che ha segnato la storia di Venezia: l’alluvione che cinquant’anni fa, il 4 novembre 1966, sommerse la città per più di 40 ore, causando non solo sofferenze alla popolazione ma anche danni enormi al patrimonio artistico. Una storia dove, oltre al dramma collettivo, c’è anche una quotidianità da raccontare, con situazioni realistiche e protagonisti per i quali mettere a punto la dimensione vocale più adatta. Una bella impresa per un compositore dall’indole un po’ criptica come Perocco.

Il suo gusto per il gesto musicale introverso, del resto, emerge anche nel rapporto con il testo di questa nuova opera. Ricavato da Luigi Cerantola e Roberto Bianchin da un libro dello stesso Bianchin, Acqua Granda. Il romanzo dell’alluvione (1996), il libretto ambienta la vicenda a Pellestrina, l’isola che per prima ha subìto l’irrompere del mare dopo lo sfondamento dei murazzi, gli antichi baluardi della laguna che avevano resistito per secoli.
Il protagonista è Fortunato, il pescatore che per primo si rende conto della minaccia rappresentata dall’acqua alta. Nessuno gli crede, ma con il passare delle ore le sue preoccupazioni si rivelano fondate. Dopo la rottura dei murazzi, gli abitanti sono costretti a sfollare: a presidiare l’isola restano Fortunato insieme con il figlio Ernesto, il farmacista Luciano e il maresciallo Cester. Prima del disastro totale, quasi per miracolo, il vento si ferma, l’acqua si ritira e, finalmente, si può tornare a vivere e a sorridere.
L’idea musicale su cui si strutturano le dodici scene (più il finale) in cui è divisa l’opera è quella della “precarietà”, che è tipica delle composizioni di Perocco, nelle quali l’oggetto sonoro non è mai evidente e reso in modo esplicito. Una caratteristica che si coglie soprattutto nel trattamento dei cori, importantissimi in quanto “voce della laguna”, e che sono a mio avviso le pagine più alte della partitura. Quello iniziale è in pratica un brulicare di suoni, mentre i cori successivi possono dare la sensazione di una maggiore intelligibilità, specie quando si accompagnano a citazioni melodiche di canti lagunari. In realtà, il testo non viene utilizzato da Perocco per il significato intrinseco delle parole, ma per le suggestioni timbriche dei fonemi e delle sillabe, delle singole vocali.
I versi del libretto hanno ovviamente un significato, ma al compositore non interessa evidenziarlo, al contrario sembra volerlo nascondere. Un procedimento antidrammaturgico e antiteatrale, se vogliamo, ma che arriva nondimeno a esiti di grande potenza drammatica. L’orchestra interviene con sonorità “deteriorate”, sporche, effetti di deformazione del suono che creano in alcuni punti una vera e propria distorsione. Se il coro sta cantando una nota, nel momento del raddoppio una sezione orchestrale va ad alterare quel suono. Lo scopo è di nascondere il più possibile la parola, dalla quale emerge non il primo significato, quello letterale, ma qualcos’altro.
L’effetto di “precarietà” riguarda anche il canto e il declamato in dialetto veneziano affidato ai protagonisti, dove prevalgono spesso la frammentazione, le ripetizioni, ma dove le voci possono intrecciarsi evocando addirittura i madrigali. L’orchestra è sempre pronta a insinuarsi per esprimere ansia, desolazione, terrore, ma anche per evocare – beninteso senza intenti descrittivi – la forza del vento e del mare. Da segnalare anche l’utilizzo di leggere distorsioni elettroniche di suoni reali e la presenza del pianoforte “preparato”, con un uso insistito del pedale di risonanza: accorgimento, quest’ultimo, che serve a creare un effetto liquido, una specie di onda ininterrotta. In un’opera che dura un’ora e venti, senza soluzione di continuità, Perocco intende creare una ciclicità, un flusso continuo, così come continuo è il flusso dell’acqua, vera protagonista del dramma.

La presenza di questo elemento-personaggio capace di scandire la storia e gli eventi viene non solo tenuta presente ma addirittura esaltata nel formidabile allestimento con le scene di Paolo Fantin e la regia di Damiano Michieletto, pure loro veneti come il compositore e i librettisti. L’impatto è quello di una installazione artistica: vediamo il coro collocato ai lati del palcoscenico e al centro una grande parete di vetro, una sorta di acquario che nel corso della recita si riempie gradualmente d’acqua, suggerendo l’idea della marea che sale di livello, fino ad assumere un aspetto torbido e minaccioso. Nel momento in cui si spezzano i murazzi, il grande acquario si svuota e il palcoscenico viene invaso da una spettacolare pioggia scrosciante.
Sulla parete scorrono immagini di archivio dell’alluvione, compresi filmati amatoriali inediti, e video recenti girati appositamente a Pellestrina. Michieletto procede per allusioni e metafore, in sintonia con la musica di Perocco: se la recitazione dei protagonisti è antirealistica, le suggestive controscene affidate ai mimi-danzatori (i movimenti coreografici sono di Chiara Vecchi), oltre a evitare il rischio di tempi morti, hanno qualcosa di rituale che fa pensare alla forza di tradizioni arcaiche, ancestrali. Impreziosito dai costumi esemplari di Carla Teti, lo spettacolo non solo risulta di grande impatto, ma è in grado di imprimere una forza teatrale dirompente a un’opera di grande potenza drammatica ma la cui teatralità è molto sui generis.

La direzione è affidata a Marco Angius, interprete particolarmente sensibile al repertorio contemporaneo, che infatti si muove a suo perfetto agio: è preciso e tiene tutto sotto controllo. È analitico, mette in risalto la sottigliezza di scrittura e la ricerca sul suono che Perocco sparge a piene mani in partitura, ma riesce allo stesso tempo a mantenere viva e costante la tensione che scorre sotterranea tra le varie scene.
Tutta la compagnia di canto va elogiata per la preparazione, la precisione musicale e la disinvoltura scenica, ma spiccano in particolare due elementi: Andrea Mastroni, che tratteggia il ruolo di Fortunato con una vocalità importante, pastosa e duttile, e Giulia Bolcato, impegnata nella parte di Lilli, alla quale Perocco riserva una scrittura parecchio impegnativa per l’estensione e la presenza di passaggi vocalizzati.
William Corrò rende puntualmente la dimensione vocale ansiosa e nevrotica del farmacista Luciano, mentre Vincenzo Nizzardo delinea con buona timbratura il personaggio di Nane. Bene anche Mirko Guadagnini, nonostante qualche disagio nell’affrontare i passaggi più acuti della tessitura.
Nell’insieme funzionali i contributi di Silvia Regazzo (Leda) e Marcello Nardis (Cester) Encomiabile l’apporto del coro preparato da Claudio Marino Moretti.
Alla “prima” il successo è stato pieno e convinto per tutti i protagonisti della produzione.

Teatro La Fenice – Stagione lirica e balletto 2016/17
AQUAGRANDA
Dramma per musica in un atto su libretto
di Roberto Bianchin e Luigi Cerantola
dal libro “Acqua Granda. Il romanzo dell’alluvione” di Roberto Bianchin
 Musica di Filippo Perocco
 Prima rappresentazione assoluta
50° anniversario dell’alluvione del 4 novembre 1966

Fortunato Andrea Mastroni
Ernesto Mirko Guadagnini
Lilli Giulia Bolcato
Leda Silvia Regazzo
Nane Vincenzo Nizzardo
Luciano William Corrò
Cester Marcello Nardis

Orchestra e coro del Teatro La Fenice
Direttore Marco Angius
Maestro del coro Claudio Marino Moretti
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Light designer Alessandro Carletti
Regia del suono e live electronics Davide Tiso
Video designer Carmen Zimmermann, Roland Horvath
Movimenti coreografici Chiara Vecchi
Nuova commissione Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, 4 novembre 2016

image_print
Connessi all'Opera - Tutti i diritti riservati / Sullo sfondo: National Centre for the Performing Arts, Pechino