Dopo il rinvio dell’attesissima Rondine pucciniana, il Teatro Carlo Felice di Genova ha aperto la stagione d’opera 2016/2017 con la verdiana Traviata, titolo tra i più popolari e abusati dell’intero repertorio operistico.
Lo spettacolo è firmato da Giorgio Gallione, direttore artistico del Teatro dell’Archivolto, prestigiosa realtà teatrale genovese fondata negli anni Settanta del secolo scorso e votata alla divulgazione e alla scoperta di nuovi territori e nuove forme di espressione teatrale nell’ambito del teatro di prosa. Con Gallione ha collaborato Guido Fiorato per la realizzazione di scene e costumi.
Nelle note di regia contenute nel programma di sala, Gallione fa riferimento a un dato statistico, da cui si apprende che nella Milano odierna si conterebbero quotidianamente centocinquantamila incontri tra clienti e prostitute. «Verdi – aggiunge Gallione – pensò Traviata come un’opera contemporanea, uno spietato inno alla vita ambientato nel presente di allora, senza orpelli o simbolismi, di una moderna, audace, ardente interiorità». Da questo assunto deriverebbe l’idea di «ambientare l’opera in un luogo stilizzato, antirealistico, simbolico, sterile…» dove dominano il vetro e il ghiaccio, il bianco e il nero contrastati da macchie di rosso vivo che – secondo la visione di Gallione – sono il simbolo della vita e del sangue.
È una visione condivisibile, che va a parare nel concetto di Traviata come dramma senza tempo, ma francamente non è una grandissima novità nelle regie della più inflazionata opera verdiana. Come non lo è l’idea del flashback che abbiamo visto in molte altre produzioni di quest’opera e che ha decisamente il gusto del déjà vu.
È comunque uno spettacolo pensato, questo di Gallione: lo si coglie nella recitazione degli interpreti, mai lasciata al caso. Certo, non ci si deve aspettare nulla di quello che prevedono le didascalie del libretto di Francesco Maria Piave, peraltro di per sé piuttosto scarne anche se molto precise. Altrettanto sicuramente non si possono tacere alcune incongruenze nel delinearsi dell’azione: gli ospiti vengono invitati a sedersi e nessuno la fa, visto che in scena non c’è neppure una sedia. Mostrare Alfredo mentre Violetta canta “Sempre libera” è fuori dalla drammaturgia voluta da Verdi, per il quale la voce di Alfredo è nell’animo di Violetta, non nella visibilità del personaggio. Molto più interessante è l’idea di dare al Dottor Grenvil la funzione di angelo custode e angelo della morte che accompagna Violetta nei suoi momenti “ufficiali”. Ma anche in questo caso si finisce per non comprendere, nel terzo atto, perché Annina deva “andare pel dottore” visto che questi è già in scena. Scena quasi costantemente dominata da un albero bianco, glaciale, sul quale viene posta Violetta durante la festa del primo atto e che viene abbattuto nel terzo a simbolo della fine fisica e morale della protagonista. Molto suggestivo invece, nel terzo atto, lo specchio che domina la scena e crea un bell’effetto quando Violetta si volta e vede in se stessa i segni della morte ormai prossima.
Anche per quanto attiene la parte musicale, i risultati sono piuttosto alterni. Molta correttezza d’assieme e molta professionalità vanno riconosciute a Massimo Zanetti. I tempi sono piuttosto comodi, in alcuni casi un po’ troppo, e la tensione emotiva latita alquanto: “Amami Alfredo” scorre via senza scuotere gli animi più di tanto. Accettabile il coro diretto da Franco Sebastiani, anche se leggermente al di sotto del livello cui ci ha abituato il Carlo Felice (si coglie qualche scompenso nella scena della festa di Flora).
Desirée Rancatore è Violetta Valéry. La Rancatore crede moltissimo in questo personaggio, lo sente, lo vive. Rimane comunque da chiedersi se la sua sia la voce per Violetta. Nel primo atto si percepiscono alcune difficoltà. Sicuramente la regia non la aiuta, ma il personaggio cresce in corso d’opera, per arrivare a un terzo atto molto partecipato, anche se leggermente minato da un senso di stanchezza di fondo.
Una bella sorpresa è il tenore Matteo Lippi nel ruolo di Alfredo, in sostituzione dell’indisposto Giuseppe Filianoti. Voce di bel timbro, ben proiettata e sicura, tradisce un po’ di emozione in “De’ miei bollenti spiriti”, dove il suono risulta leggermente teso. Ma è sicuramente un cantante da tenere d’occhio.
Trionfatore della serata è Vladimir Stoyanov nel ruolo di Germont, baritono chiaro, di bel timbro e classe squisita. Il suo “Di Provenza” denota a tratti il gusto di un Lied.
Ottima la Annina dell’intramontabile Daniela Mazzucato, il cui fascino non viene offuscato dagli abiti maschili che è costretta a indossare. Manrico Signorini delinea un imponente e onnipresente Dottor Grenvil. Bravissimi Didier Pieri (Gastone), Paolo Orecchia (Douphol), Stefano Marchisio (uno squillante D’Obigny). Più che dignitosa la Flora Bervoix di Marta Leung, anche lei in abiti maschili che la fanno assomigliare molto al principe Orlofsky. Impeccabili mimi e danzatori nella scena della festa.
Ottimo successo di pubblico, con numerose chiamate al termine. Nota decisamente positiva: molti i giovani e giovanissimi presenti in un Teatro Carlo Felice stracolmo.
Teatro Carlo Felice – Stagione lirica 2016/2017
LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti. Libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry Desirée Rancatore
Flora Bervoix Marta Leung
Annina Daniela Mazzucato
Alfredo Germont Matteo Lippi
Giorgio Germont Vladimir Stoyanov
Gastone di Letorières Didier Pieri
Barone Douphol Paolo Orecchia
Marchese d’Obigny Stefano Marchisio
Dottor Grenvil Manrico Signorini
Giuseppe Maurizio Raffa
Domestico Filippo Balestra
Commissionario Roberto Conti
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice di Genova
Direttore Massimo Zanetti
Maestro del coro Franco Sebastiani
Regia Giorgio Gallione
Scene e Costumi Guido Fiorato
Luci Luciano Novelli
Coreografia Giovanni Di Cicco
Nuovo allestimento del Teatro Carlo Felice di Genova
Genova, 21 dicembre 2016