È noto che il teatro in musica di Wolfgang Amadeus Mozart e Lorenzo Da Ponte, forse più di ogni altro, si presta a messinscene che soltanto dieci o quindici anni fa venivano definite stravaganti e rivoluzionarie, mentre oggi passano semplicemente per contemporanee e attuali. La vicenda narrata nel Così fan tutte porta in sé una moralità, o immoralità a seconda dei punti di vista, che nel suo essere “senza tempo” risulta universalmente applicabile. Su questo assioma si muove Francesco Micheli. Il regista bergamasco sceglie di ambientare la storia ai nostri giorni, sul set di un reality il cui autore/regista è un Don Alfonso che, supportato dalla zelante assistente Despina, guida da navigato burattinaio le due coppie alla scoperta di sé e dell’altro, attraverso un percorso di feroce disillusione. I format televisivi che ispirano l’idea alla base dello spettacolo sono almeno tre: un cooking show, il programma che vede uno stuolo di acutissime fanciulle smaniare per due o più giovanotti altrettanto sagaci (detti “tronisti”, per intenderci) e, a far da contenitore, la casa più spiata d’Italia. Le scene, gli elementi d’arredo in bilico tra lo stile settecentesco e la pop art di Andy Warhol, e le luci realizzate da Nicolas Bovey sono semplicemente strepitosi, al pari dei costumi cromaticamente coordinati firmati da Giada Masi. Micheli, ad ogni diversa tappa dello spettacolo presso i vari teatri del circuito OperaLombardia, si avvale della collaborazione di Eleonora Moro per istruire un gruppo sempre diverso di giovani, ragazze e ragazzi, a far da “pubblico partecipante” alla storia. All’interno di questa cornice narrativa, le trovate che il regista escogita non si contano, ma hanno tutte il merito di rendere la narrazione appassionante e divertentissima, scacciando in ogni momento perfino il più remoto sentore di noia. Fra tutte, non posso non citare le invenzioni cui Micheli ricorre durante le due arie di Fiordiligi. Nella prima, la ragazza riafferma la propria inattaccabile fedeltà all’amato cantando “come scoglio immoto resta” incespicando e inciampando, però, su un paio di tacchi vertiginosi, mentre le ragazze “del pubblico” tifano per lei, cercando invano di sorreggerla. Al secondo atto, Fiordiligi si abbandona all’estenuante cantilena con la quale esprime il proprio smarrimento, sdraiandosi completamente vestita in una vasca da bagno e inondando il proprio corpo con il tiepido getto che fuoriesce dalla doccia, sortendo così un effetto che amplifica all’inverosimile la sensualità del brano. Altrove, Micheli strizza l’occhio a una sessualità più evidente e scherzosa (tutto lo scatenamento orgiastico del finale primo, ad esempio), all’ambiguità sessuale e all’inversione dei ruoli, così come non manca di esporre il fisico seminudo di tutti i protagonisti a beneficio del voyeurismo di noi spettatori. Una vera festa, insomma.
Sono sicuro di non venire meno ai miei princìpi, se dico che, nonostante una pasta vocale che odora di soprano leggero, la venticinquenne Gioia Crepaldi è una Fiordiligi quasi coi fiocchi. Quel “quasi” va imputato a un’esecuzione ancora acerba delle agilità che infiorettano la scrittura vocale – segnatamente le rapide terzine conclusive della prima aria, che andrebbero ben altrimenti sbalzate – e a un registro grave che, al momento, non riesce a soddisfare completamente il lato carnale e voluttuoso che Fiordiligi svela man mano, nel corso dell’opera. Per il resto, la Crepaldi domina assai bene il personaggio, e lo fa esibendo un’emissione pressoché ineccepibile (sia in alto che in basso), con una voce che, in gergo, amo definire tutta avanti e tutta fuori. Inoltre il piglio audace con cui il soprano sostiene la temibile “Come scoglio” e la morbidezza che pervade l’interminabile e sublime “Per pietà ben mio” (che, in pratica, è “un’opera nell’opera”) concorrono a siglare quelli che probabilmente sono i migliori momenti musicali di tutto lo spettacolo. D’altro canto, Victoria Yarovaya (Dorabella) possiede una vocalità molto più tornita, il cui timbro autenticamente mezzosopranile si ascolta con enorme piacere. Come tutte le voci russe, la cantante di Mosca esibisce un’emissione rotonda e un volume che la scrittura mozartiana fatica talvolta a contenere; le “smanie implacabili” fanno scintille, mentre nell’aria “È amore un ladroncello” le acciaccature schioccano non male. Ed è così che, per una volta, Dorabella riesce ad emergere, ritagliandosi uno spazio del tutto inusitato. Barbara Massaro (22 anni) è una Despina eccezionale: la voce brillante, la dizione chiarissima e la pungente verve scenica sono i punti di forza del giovanissimo soprano, capace di prodursi in una delle caratterizzazioni più riuscite e divertenti di questo personaggio cui io abbia mai assistito.
Il Guglielmo di Pablo Gálvez, annunciato come indisposto prima dello spettacolo, parte in sordina per riprendersi alla grande al secondo atto. La voce fresca di baritono chiaro si sposa benissimo all’aspetto giovane e al fisico smilzo, quasi di ragazzino. A fargli compagnia, il Ferrando sonoro e dal timbro graffiante di Matteo Mezzaro, tenore cui solo nuoce – mi spiace dirlo – una musicalità a tratti approssimativa e una certa difficoltà nella gestione del passaggio di registro, così come evidenziano alcuni suoni indietro e ovattati nella fascia mi-sol. Andrea Porta è un Alfonso di grande appeal scenico, tanto disinvolto e ammiccante nella recitazione, quanto fastidiosamente grossolano e vociante nel canto.
A tirare le fila di questo capolavoro, Gianluca Capuano che, innanzitutto, integra felicemente il clavicembalo nell’orchestrazione (soluzione a mio avviso adorabile) e che opta per sonorità prevalentemente secche e sferzanti e dinamiche vorticose, piene di energia, particolarmente adatte all’esuberante gioventù e alla modernità che caratterizza questo allestimento. “Pollice su” per la cura profusa nella preparazione dei recitativi, “pollice giu” per la quantità esagerata di abbellimenti e variazioni in acuto aggiunte…less is more. Il mio plauso speciale va, poi, ai Pomeriggi Musicali che da qualche anno – e grazie alla mano di alcuni direttori competenti e ispirati che si sono recentemente avvicendati alla loro direzione – dimostrano di essersi elevati a compagine strumentale di rango. Bene ma non benissimo il Coro OperaLombardia preparato da Giuseppe Califano.
Teatro Ponchielli – Stagione Opera 2016
COSÌ FAN TUTTE
ossia La scuola degli amanti
Dramma giocoso in due atti KV 588. Libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Fiordiligi Gioia Crepaldi
Dorabella Victoria Yarovaya
Guglielmo Pablo Gálvez*
Ferrando Matteo Mezzaro
Despina Barbara Massaro*
Don Alfonso Andrea Porta
*Vincitori Concorso As.Li.Co. 2016
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano
Coro OperaLombardia
Direttore Gianluca Capuano
Maestro del coro Giuseppe Califano
Regia Francesco Micheli
Scene e luci Nicolas Bovey
Costumi Giada Masi
Training e laboratori teatrali Eleonora Moro
Progetto laboratorio teatrale “La scuola degli amanti”
Nuovo allestimento
Coproduzione dei Teatri di OperaLombardia
Cremona, 30 ottobre 2016