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La Scala mette in scena “Fedora” con la regia di Martone. Nel cast, Yoncheva e Alagna

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Fedora di Umberto Giordano, su libretto di Antonio Colautti dal dramma di Victorien Sardou, torna alla Scala per 7 rappresentazioni dal 15 ottobre al 3 novembre. L’opera vede impegnato sul podio Marco Armiliato, direttore apprezzato nei grandi teatri per la sua profonda conoscenza del repertorio italiano, e segna il ritorno di Mario Martone, al suo terzo titolo di Giordano alla Scala. Opera di grandi passioni e grandi interpreti, Fedora sarà interpretata da Sonya Yoncheva (Fedora), Serena Gamberoni (Olga) e George Petean (De Sirieux), mentre nella parte di Loris Ipanoff si succederanno Roberto Alagna (15, 18 e 21 ottobre) e Fabio Sartori (24, 27, 30 ottobre e 3 novembre).

Era il 2011 quando Mario Martone, che in questi giorni rappresenta l’Italia agli Oscar con il suo film Nostalgia, proponeva al pubblico scaligero la sua scabra lettura di Pagliacci e Cavalleria rusticana avanzando, tra realismo ed essenzialità scenica, una nuova linea interpretativa per questo repertorio. Da allora Martone ha continuato a leggere i titoli che si raccolgono convenzionalmente sotto l’etichetta verista come esperienze legittimamente inserite nella drammaturgia novecentesca. Una particolare consonanza il regista ha sviluppato con la libertà a tratti sperimentale del teatro di Umberto Giordano: del 2016 è La cena delle beffe, la cui catena di eccessi sanguinari è trasportata tra le famiglie della mafia italoamericana. Resta invece nella Francia del Terrore Andrea Chénier, che Riccardo Chailly sceglie di riportare ai fasti della serata inaugurale il 7 dicembre 2017 e che ritroveremo nel corso di questa Stagione (protagonista ancora Sonya Yoncheva). Con Fedora Martone giunge al suo terzo Giordano (e al suo nono spettacolo) alla Scala, ancora una volta con le scene di Margherita Palli e i costumi di Ursula Patzak.

Il dramma di Victorien Sardou, tagliato su misura su Sarah Bernhardt, andò in scena al Théatre du Vaudeville di Parigi nel dicembre 1882 e registrò subito 135 recite e un impatto con pochi precedenti sulla cultura e la vita sociale del tempo (tra i numerosi oggetti ispirati alla pièce anche un cappello da uomo). La riduzione di Colautti, realizzata dopo che Sardou era stato impressionato dal successo scaligero di Andrea Chénier e aveva finalmente ceduto i diritti, disegna un’idea nuova di teatro d’azione, di argomento poliziesco prima ancora che amoroso, collocato in ambienti fastosi e contemporanei, con uno sfondo di cronaca assolutamente sconvolgente per l’epoca: il terrorismo e l’assassinio dello Zar Alessandro II nel marzo 1881. La prima avviene nel 1898 al Teatro Lirico di Milano. La Scala, forse diffidente di fronte alla trama spionistica, alla drammaturgia innovativa o alla partitura scaltra e fin troppo seducente, ne ignora il successo fino al 1932. Da allora il successo scaligero di Fedora continua, illuminato dalle prove di storiche primedonne impegnate a vestire i panni della diva per eccellenza, Sarah Bernhardt. Quello che può stupire tuttavia è quanto il cammino dell’opera alla Scala sia una storia di grandi direttori: il battesimo, ripreso nel 1935, avviene con Victor de Sabata, con Giuseppina Cobelli e Aureliano Pertile; segue Gino Marinuzzi nel 1939 con Gianna Pederzini e Beniamino Gigli, di nuovo De Sabata con la Caniglia e Giacinto Prandelli, Gavazzeni con la Callas e Franco Corelli nel 1956 nella sontuosa regia di Tatiana Pavlova su scene e costumi di Benois, e di nuovo nel 1993 con Mirella Freni e Plácido Domingo nell’affettuoso allestimento di Lamberto Puggelli poi ripreso nel 1996 da Armando Gatto e agli Arcimboldi nel 2004 da Stefano Ranzani.

Ulteriori informazioni: www.teatroallascala.org

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