A distanza di otto anni, quando a cantarla nei ruoli di punta furono Igor Golovatenko e Carmela Remigio, superba e applauditissima Tat’jana, per la regia del polacco Michał Znaniecki e con la direzione musicale di John Axelrod, torna dal 15 al 26 giugno per cinque recite al Teatro San Carlo l’Evgenij Onegin di Čajkovskij nella produzione – nuova per Napoli – della Komische Oper Berlin, vista in Germania dal sovrintendente Stéphane Lissner, quindi appositamente scelta per il prossimo appuntamento in stagione. La regia è di Barrie Kosky, le scene sono di Rebecca Ringst, i costumi di Klaus Bruns e le luci di Franck Evin.
Di notevole calibro il cast che, stavolta, allinea per il personaggio “bello e impossibile” del titolo il baritono polacco Artur Ruciński, Onegin di riferimento nell’ultimo ventennio ma, stando alle stesse parole dell’interprete, ruolo in uscita dal proprio repertorio a vantaggio dell’Ottocento italiano, Verdi e belcanto in primis; il soprano Elena Stikhina, in effetti al suo vero esordio italiano (escludendo il debutto scaligero avvenuto però a porte chiuse e senza pubblico nei giorni dell’emergenza pandemica) chiamata a dar forma, gesto e voce a una Tat’jana “doc” avendo messo a segno con tale sfaccettata creatura femminile i suoi primi, grandi successi a partire dalla ribalta parigina; quindi il tenore Michael Fabiano nei panni del romantico Lenskij, l’ottimo mezzosoprano Nino Surguladze per la più disinvolta Olga e la nostra Monica Bacelli per la proprietaria terriera Larina, madre delle due fanciulle. A garanzia di una direzione musicale di pregio, poi, Fabio Luisi salirà nell’occasione sul podio dell’Orchestra e del Coro del Teatro San Carlo, quest’ultimo preparato da José Luis Basso.
Tra i più significativi registi contemporanei, Barrie Kosky rilegge le scene liriche in tre atti e sette quadri di Čajkovskij ispirate all’omonimo poema di Puškin osservandone le dinamiche psicologiche e sociali, fra speranze, desideri e fallimenti sentimentali dei quattro giovani protagonisti. «Nell’Evgenij Onegin abbiamo a che fare con più storie. Dunque, non è solo la storia di una giovane ragazza che scrive una lettera – afferma Kosky – ma è lo sguardo su una ragazza che cresce, su un uomo cinico che impara in qualche modo a scendere a patti con il proprio universo emozionale ed è la storia di persone che dalla campagna si muovono in città. È una storia di snobismo, è la storia di una comunità, è una storia sul tempo. Come in tutte le grandi opere abbiamo a che fare con tante storie diverse e con molti livelli diversi dall’autore combinati brillantemente in un unico grande paesaggio teatrale e musicale».
Nel presentare lo spettacolo in apertura di conferenza stampa il sovrintendente Stéphane Lissner ha subito tenuto a precisare: «Offriremo una produzione di alta qualità sul fronte sia musicale che teatrale, attoriale e registico». Ha quindi accennato alle peculiarità dell’allestimento, all’efficacia del lavoro svolto e alle voci chiamate a raccolta dal coordinatore artistico, casting director e direttore dell’Accademia Ilias Tzempetonidis che, da par suo, ha ipotizzato una riuscita «forse addirittura migliore di come la fanno i russi». A tal merito, inevitabili i rilievi di alcuni giornalisti intorno alla polemica da settimane in piedi soprattutto fra i social sull’opportunità o meno di bandire il repertorio della terra di Putin nei giorni della guerra sferrata contro l’Ucraina. Argomento che Lissner subito blocca, indispettito, tagliando corto: «A tutti coloro che ancora esprimono discriminazioni sull’arte russa – replica – rispondo che si tratta di posizioni assolutamente ridicole. Parimenti fuori luogo è il collegamento con il Boris Godunov scelto per la nuova inaugurazione alla Scala, anche perché il nostro Onegin è uno spettacolo interno alla stagione. L’opera di Čajkovskij va considerata esattamente allo stesso modo del prossimo Barbiere di Siviglia o della successiva Traviata. L’opera d’arte appartiene a tutti, così come gli artisti chiamati a darvi voce, provenienti spesso e come in questo caso veramente da ogni nazione».
Sia Fabiano che Ruciński hanno quindi voluto sottolineare quanto la musica rappresenti un linguaggio universale. «Pensateci: quando nasce un bambino – ha detto il tenore americano Michael Fabiano – la prima cosa che fa una madre, in qualunque angolo del mondo, è cantare. Ogni compositore, sulla base di un simile codice espressivo universale, vale per la sua arte». A seguire Artur Ruciński: «Io stesso sono polacco, contro la guerra e del paese che oggi ospita più di due milioni di rifugiati. Ma sono un cantante e non un politicante, perciò separo totalmente la cultura, il mio lavoro, da ciò che sta facendo in questo momento il più grande fascista in Europa. E parimenti per la russa Elena Stikhina fra musica e politica «non può e non deve esserci alcun rapporto».
Infine il direttore Fabio Luisi che, dopo aver speso parole di apprezzamento per l’Orchestra della Fondazione, ha concluso: «La cultura, la musica e in special modo capolavori del teatro musicale come l’Evgenij Onegin sono valori che appartengono all’intera umanità. È dunque il caso di pensare piuttosto alla bellezza e alla complessità del lavoro, all’importanza data ai sentimenti e alla loro evoluzione, alla caratterizzazione drammatica e musicale di personaggi così diversi. In particolare, a un rapporto di amicizia spinto sulla lama del rasoio finanche durante il duello giocato, quasi al di là della consapevolezza, fra il dandy inaridito Onegin e il romantico poeta sopra le righe Lenskij».
Completano il cast Larissa Diadkova (Filipp’evna), Alexander Tsymbalyuk (Il principe Gremin), Roberto Covatta (Triquet), Antonio De Lisio (Un comandante di compagnia), Rosario Natale (Zareckij) e Mario Thomas (un contadino).
Ulteriori informazioni: www.teatrosancarlo.it
In copertina, da sinistra: Artur Ruciński, Elena Stikhina, Michael Fabiano