Mimì sta sul tetto: al San Carlo di Napoli, la nuova Bohème con la regia di Emma Dante
Non una soffitta, per Mimì, Rodolfo e gli altri bohémien. Bensì un condominio, visto da fuori e vissuto all’esterno. Un posto dove i personaggi-famiglia sono, nonostante la loro miseria e i loro disagi, in qualche maniera romanticamente vicini al cielo e alle stelle, fra tetti, comignoli e un’umanità colorata, promiscua e senza tempo, fatta di innamorati e vecchi ubriachi, bambole meccaniche, due ballerini che si sposano, di suore che pregano e prostitute che battono, con una di loro che balla con le religiose, così come un trans farà con un prete. «Una specie di torre di Babele dove tutti parlano però la stessa lingua, agendo a contatto con la realtà circostante entro una grande fiaba sospesa nella quale s’innesta, viva, la componente teatrale»: la vede così, Emma Dante, la sua nuovissima Bohème, spiegata in conferenza stampa per piccole rivelazioni sulla regia inedita da lei ideata e realizzata per un’opera di Puccini che va a siglare la sua prima volta al Teatro San Carlo di Napoli. Una prima inaugurale in realtà già in locandina dalla scorsa stagione, poi annullata causa Covid e ora finalmente recuperata in scena dal 12 al 19 ottobre per la ripartenza degli allestimenti in sala con un totale di cinque recite confortate dalla buona notizia, giunta ieri pomeriggio dal Ministero e oggi resa pubblicamente nota, del via libera alla capienza al cento per cento. «Neanche a farlo apposta – ha aggiunto il sovrintendente e direttore artistico Stéphane Lissner, felice di poter riprendere le produzioni del Lirico a un regime “quasi normale” – a partire dal prossimo lunedì 11». A firmare le scene è Carmine Maringola, i costumi bellissimi e persino inquietanti sono di Vanessa Sannino, le luci a cura di Cristian Zucaro mentre la coreografia è di Sandro Maria Campagna. Tutti al loro esordio sancarliano. Sul podio, Juraj Valčuha, guida stabile a fine mandato e al suo quinto titolo pucciniano per la Fondazione.
Il mondo di Mimì secondo Emma Dante resta, naturalmente, quello idealmente romantico dei giovani studenti, vestiti di pezze vecchie a più colori. Dunque a mancare, rispetto al libretto del tandem Illica-Giacosa tratto da Murger, e forse a risposta dei tanti, troppi mesi di lockdown, sarà il luogo dell’interno al centro dei due quadri posti a cornice, laddove la tradizionale mansarda troverà invece un richiamo solo con tre grandi finestre ad arco, da cui si scorgono schegge di vita varia, come quella di un trans che si trucca allo specchio. Si gioca pertanto tutto in esterna e in chiave mondana, con un Marcello pittore in stile Toulouse-Lautrec, non di tele ma di murales sulle malconce pareti di mattoni, una folla di duecento persone sul palco fra cantanti solisti, coro, voci bianche, attori e fantocci meccanici con effetti sorpresa (un précipité di giocattoli emblematici) garantiti al Cafè Momus e una crepa a stella che rinvia dritta alla street art della cometa-squarcio di granata nella Betlemme del britannico Bansky. «Dentro la soffitta fa troppo freddo. Ecco perché i quattro amici bohémien, squattrinati e senza legna per alimentare il camino – prosegue la regista palermitana chiamata proprio da Lissner per la prima volta alla lirica nel 2009, con la Carmen inaugurale alla Scala, e ora anche a Napoli per la prima delle due aperture in programma tra vecchia e nuova stagione accanto all’Otello di Verdi firmato Martone da novembre a dicembre – sono costretti a scavalcare dalla finestra per cercare un po’ di calore vicino ai comignoli fumanti delle altre case, che invece hanno la legna. Un po’ come fanno i clochard che si riscaldano facendosi il giaciglio sulle grate della metropolitana. È lì, sulle terrazze dai muri screpolati, che i bohémien consumano le giornate, cercano il caldo, dipingono, scrivono, filosofeggiano. E, attraverso le finestre della loro mansarda, porteranno fuori tavolini, sedie, materassi, forchette, fogli, colori, versi di poesie, per fare baldoria, per onorare la festa della vita, entro e oltre la dicotomia fra la miseria più nera e la forza di un amore che è anche solidarietà. In pratica, non ho tolto loro la casa, ma li ho solo messi in contatto con il mondo».
Quanto al suo incontro con il San Carlo, non esita a definirlo “folgorante”: «Ringrazio ancora una volta Stéphane – ribadisce Emma Dante – perché, quando entro in un nuovo teatro, è come se tornassi bambina. I miei occhi si aprono e comincio a sognare. Forte. Ed è così che è nato e ho immaginato questa Bohème: non un allestimento di rottura, perché Bohème è come un grande giocattolo sonoro che non può rompersi mai. Piuttosto, come una fiaba onirica sospesa su una nuvola e da osservare con occhiali magici, aprendo le porticine di un mondo in miniatura al cui interno vive un intero condominio, pronto a stringersi attorno alla storia dolorosa di una giovane donna. Sono certa – conclude – che il pubblico amerà lo spettacolo perché, in fondo, siamo tutti un po’ bohémien. E anche perché il cast scelto a darvi voce e forma parla a meraviglia questa lingua, compreso Stephen Costello, la cui frattura al braccio destro, provocata da una brutta scivolata nei giorni scorsi sui marmi della Galleria di fronte al Teatro, non ha inciso minimamente sulla regia per la sua parte».
Intorno, gli interventi di Juraj Valčuha sulla modernità delle tante immagini poetiche e pittoriche in partitura, sottolineandone il colpo di genio nel far morire Mimì sulle stesse note intonate al principio da Rodolfo per una manina che resterà gelida per sempre; del vertice Lissner che ha voluto rivolgere un pensiero al Direttore di palcoscenico Salvatore Giannini, prematuramente scomparso, del Direttore generale Emmanuela Spedaliere sulla sorprendente risposta di botteghino, del Maestro del Coro José Luis Basso, dei due interpreti principali, Selene Zanetti (Mimì) e Stephen Costello (Rodolfo). Completeranno il cast Benedetta Torre (Musetta), Andrzej Filonczyk (Marcello), Pietro Di Bianco (Schaunard), Alessandro Spina (Colline), Matteo Peirone (Benoit/Alcindoro), Daniele Lettieri (Parpignol), più il Coro (dotato di mascherine sperimentali a branchie) e il Coro di Voci Bianche della Fondazione rispettivamente diretti da José Luis Basso e da Stefania Rinaldi.
Ulteriori informazioni. www.teatrosancarlo.it
Photo: Vito Lorusso