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Il grande direttore James Levine si è spento a 77 anni

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James Levine, direttore musicale del Metropolitan di New York per più di 40 anni e uno dei direttori d’orchestra più influenti e ammirati al mondo fino a quando nel 2018 le accuse di molestie sessuali non hanno posto fine alla sua carriera, è morto il 9 marzo a Palm Springs, in California. Aveva 77 anni. La notizia è stata comunicata oggi dal suo medico Len Horovitz, che non ha ancora reso noto il motivo del decesso.

Nato a Cincinnati nel 1943, Levine è stato uno dei più grandi direttori del Novecento. La sua carriera si è sviluppata principalmente negli Stati Uniti. Conosciuto in Italia esclusivamente attraverso le registrazioni discografiche e video, è stato variamente giudicato dalla critica. In realtà, alcuni dei rilievi che gli venivano mossi (tendenza a premere il pedale, incostanza agogica, enfasi) derivavano da prevenzioni e anche da distorte concezioni delle funzioni del direttore d’opera. Il fatto è che, per restare al repertorio italiano, Levine era animato da una carica teatrale che mancava a gran parte delle bacchette della sua generazione e da un senso dell’effetto scenico che non temeva di trascendere il puro effetto musicale. Questo sembrava offendere la sensibilità della critica assuefatta ai direttori astratti, rigoristi e portati ad attenuare, nell’esecuzione vocale e strumentale, la poetica degli affetti e gli slanci emotivi, che sono viceversa il fondamento dell’opera italiana.

Levine poteva anche cadere nell’iperbole e talvolta incorrere in qualche squilibrio dinamico e agogico, ma il suo Verdi, per esempio, era singolarmente incandescente e aggressivo, talvolta ricondotto, in alcuni lavori giovanili, a certe matrici belliniane e donizettiane storicamente pertinenti. Così la sua Giovanna d’Arco resta probabilmente il più attendibile e suggestivo documento che il disco abbia prodotto nell’ambito del primo Verdi. A Levine era inoltre congeniale pure il clima estroverso e a suo modo infuocato di alcuni titoli veristi (Cavalleria rusticana, Pagliacci, Andrea Chénier, Adriana Lecouvreur), non senza le appropriate attenuazioni che derivavano da un’ottima tecnica direttoriale e si concretizzavano in un eccellente dominio delle sonorità attutite e in una accezione del legato strumentale che dava spicco alle vibrazioni e alle melodie. Più alterno Levine è apparso in opere come Il barbiere di Siviglia o Norma, per la difficoltà a percepirne taluni equilibri e per la tendenza ad esteriorizzarne certi effetti comici o drammatici.

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