Giovedì 14 maggio, alle ore 21.15, va in onda su su Rai5 il Don Carlo verdiano che inaugurò con successo contrastato la Stagione 2008/09 del Teatro alla Scala. Sul podio Daniele Gatti, attuale Direttore musicale dell’Opera di Roma. Il dramma di Schiller, snellito e ridipinto da Verdi con i colori cupi di una Spagna bigotta e bloccata nell’eterno conflitto fra potere politico e religioso, viene proposto in un allestimento astratto, quasi ascetico, con regia e scene di Stéphane Braunschweig.
L’impianto geometrico ideato dal regista-scenografo francese si articola in freddi parallelepipedi grigi, archi squadrati e lunghe teorie di pannelli rettangolari a simboleggiare delle lapidi. Ogni tanto, la dimensione funebre della scena è squarciata da visioni boschive: una natura incontaminata che evoca nostalgicamente una sorta di paradiso perduto. Più che sull’intrigo politico, Braunschweig si concentra infatti sull’interiorità dei personaggi, di cui sottolinea con taglio quasi psicanalitico i legami con l’infanzia. Di qui l’idea dei Doppelgänger. Presenti nel corso di tutta l’opera, servono a spiegare gli antefatti della vicenda presenti in Schiller ed eliminati da Verdi, ma anche a sottolineare le origini del legame affettivo fra i protagonisti. Mentre il fragile Don Carlo e la malinconica Elisabetta (costretta a sposare Filippo II, padre di lui) duettano in primo piano, sul fondo si vedono le loro controfigure infantili che giocano felici nel bosco di Fontainebleau. La presenza di un piccolo doppio di Rodrigo, inseparabile amico dell’Infante di Spagna, offre invece l’occasione per rievocare i giuramenti ingenui di due bambini che si promettono fedeltà eterna prima di scoprire la durezza di un potere che opprime e divide.
Per il resto, lo spettacolo procede tra alti e bassi. Nel quadro dell’autodafé, colpiscono i cardinali seduti su alti scranni, con le vesti lunghe fino a terra, ma l’ascesa al cielo del doppio di Carlo sfiora il ridicolo. Discutibile anche la scelta di vestire il popolo con costumi da guerra civile anni ’30, giusto per ricordare che di oppressi nella storia ce ne sono sempre stati. Molto suggestivo, invece, il doloroso soliloquio di Filippo II, immerso in una galleria lunga e spoglia che riesce a ingigantire il senso di solitudine e vuoto esistenziale del protagonista.
DON CARLO di Giuseppe Verdi
Direttore Daniele Gatti, regia e scene di Stéphane Braunschweig, costumi di Thibault van Craenenbroeck. Con Stuart Neill (Don Carlo), Ferruccio Furlanetto (Filippo II), Fiorenza Cedolins (Elisabetta di Valois), Dalibor Jenis (Rodrigo, Marchese di Posa), Dolora Zajick (Principessa di Eboli), Anatolij Kotscherga (Grande Inquisitore). Orchestra e Coro del Teatro alla Scala.
Photo credit: Marco Brescia