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Padova, al Teatro Verdi va in scena Turandot

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«Una Turandot attraverso il cervello moderno», si legge in una lettera scritta da Puccini durante il sofferto lavoro di composizione della sua ultima opera lirica. Tale era l’ambizione del compositore nell’accostarsi a questo libretto tratto da un’enigmatica fiaba settecentesca di Carlo Gozzi. Un testo teatrale il cui nodo centrale è proprio la psicologia di Turandot, la principessa cinese dal cuore di pietra, personaggio complesso e contraddittorio per il quale Puccini sviluppò una vera e propria ossessione fino a volerne letteralmente «vivisezionare l’anima». È proprio da questo spunto che prende le mosse la regia di Filippo Tonon, allestimento del Teatro Nazionale di Maribor, con la quale Turandot va in scena venerdì 25 ottobre 2019, ore 20.45, e domenica 27 ottobre 2019, ore 16.00, al Teatro Verdi di Padova.

In scena sul palcoscenico padovano nomi affermati della lirica internazionale e giovani talenti: nel ruolo della “principessa di gelo” figura il giovane soprano australiano Rebeca Nash; l’imperatore Altoum è interpretato dal tenore Antonello Ceron, il vecchio cieco Timur dal basso Abramo Rosalen. Nel ruolo del principe Calaf, scioglitore degli enigmi di Turandot, canta il tenore americano-uruguaiano Gaston Rivero, mentre Liù, la schiava innamorata che sacrifica la vita per lui è interpretata dalla giovane piemontese Erika Grimaldi. Completano il cast Leonardo Galeazzi, Ping, Emanuele Giannino, Pang, Carlos Natale, Pong, Cristian Saitta, Mandarino, Tiberiu Marta, Il principe di Persia. Orchestra coro e ballo del Teatro Nazionale di Maribor sono diretti da Alvise Casellati.

Turandot è il primo titolo del cartellone autunno-inverno della Stagione Lirica di Padova 2019, organizzata e prodotta dal Comune di Padova – Assessorato alla Cultura, in collaborazione con il Teatro Stabile del Veneto e la Fondazione Orchestra di Padova e del Veneto e che si avvale del contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo e della Regione del Veneto.

Nello spettacolo di Filippo Tonon, l’ambientazione originale dell’opera, in una Cina lontana e «al tempo delle favole», viene rispettata: ma la scena è come trasfigurata da un velo di sogno, i contrasti risultano più aguzzi e gli elementi di scenografia sono rimescolati in un gioco combinatorio che rispecchia il macchinare continuo dell’animo della protagonista. La sensazione è quella di essere dentro la mente di Turandot: una mente oscura in cui luccicano le insegne del potere e gli ornamenti della ricchezza, ma anche le lame della spada con cui la crudele principessa fa decapitare i suoi pretendenti dopo averli sottoposti a prove impossibili da superare. E infatti, come Tonon, il tema centrale di questa regia è proprio «il grande meccanismo della mente umana». O forse l’inconscio, visto un po’ come una fabbrica buia e piena di macchine che producono, distruggono, si guastano e si connettono a formare macchine più grandi. Come tutto l’apparato sociale composto da editti imperiali, riunioni di saggi, enigmi impossibili e patiboli d’esecuzione che Turandot ha messo in piedi per distruggere qualunque uomo desideri sposarla. Un gioco inesorabile e triste che s’inceppa solo quando il giovane Calaf, principe in incognito, riesce a superare le prove, ma continua a funzionare a termini invertiti grazie alla «rivincita» voluta da Turandot, a cui Calaf chiede di scoprire la sua vera identità, sicuro che non le verrà rivelata: «il mio mistero è chiuso in me / il nome mio nessun saprà!» come recita il testo di Nessun dorma, l’aria più famosa dell’opera.
Solo quando Turandot scopre il nome del principe, e quindi ha di nuovo in mano il destino del giovane, si aprirà un varco negli ingranaggi mortiferi della sua mente. Si creerà uno spazio di libertà e di indeterminatezza che consentirà alla principessa di uscire dalla sua fissazione: la sua mente – come lo spazio scenico – si rischiarerà e si aprirà una via verso la conclusione dell’opera. È solo in questi attimi di libertà, afferma Tonon, «che l’essere umano può vincere e superare il meccanismo, dicendo “basta, non più”. E la mente si apre alla luce e al mondo».
Turandot è l’opera incompiuta di Puccini: il finale che si ascolta anche in questa produzione, infatti, è quello di Franco Alfano, inserito sin dalle prime rappresentazioni del 1926. E forse non è un caso che un’opera che indaga così a fondo nell’animo umano sia rimasta incompiuta: Puccini, infatti, aveva esitato a lungo nello scrivere le sezioni conclusive, fino al punto di ipotizzare di sciogliere il contratto con l’editore e lasciare da parte l’opera. Una reticenza che si può comprendere se si pensa alla difficoltà di rendere la metamorfosi di Turandot e la sua improvvisa apertura alla vita.

Ulteriori informazioni: Stagione Lirica di Padova

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