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I fantasmi del passato: la Scala presenta per la prima volta Die tote Stadt di Korngold

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Quando un’opera riaffiora dal dimenticatoio, si tende regolarmente a sottolineare l’ingiustizia – da imputare non si sa bene se al pubblico, alla critica, alla storia – che avrebbe condannato il presunto capolavoro all’oblio. In realtà, se un titolo scompare o resta ai margini del repertorio, il più delle volte non è un capolavoro. E, se lo è, si possono sempre individuare i motivi precisi che ne hanno causato la scomparsa.
Prendiamo Die tote Stadt (La città morta) di Erich Wolfgang Korngold, che il Teatro alla Scala propone per la prima volta dal 28 maggio al 17 giugno nel nuovo allestimento di Graham Vick e per la direzione di Alan Gilbert. Si tratta di un’opera sconosciuta alla maggior parte degli odierni melomani (come pure il suo autore, mai rappresentato al Piermarini), ma che tra l’epoca del doppio debutto ad Amburgo e Colonia, nel 1920, e l’inizio degli anni Trenta ha avuto un successo e una diffusione rilevanti.
Che cosa ne ha determinato la sparizione? Anzitutto, il fatto di essere un lavoro con sparsi tratti di modernità ma nel complesso retrospettivo e passatista, ancorato a un romanticismo tardo ottocentesco fedele alle forme tradizionali. Come dire: un’opera datata al suo stesso apparire, che non partecipa al processo che porterà il teatro musicale a trasformare nella sostanza il rapporto fra drammaturgia e musica. La sua circolazione, poi, si arresta con l’avvento del nazismo e la conseguente condanna della produzione di Korngold come arte degenerata. Costretto alla fuga, il compositore austriaco riuscirà a crearsi negli Stati Uniti una seconda carriera come autore di colonne sonore (vincerà due Oscar), perdendo tuttavia ogni legame con l’ambiente musicale e culturale europeo.
Di fatto, Die tote Stadt è un giacimento di citazioni e rimandi. A parte i riferimenti espliciti a Robert le diable o Das Rheingold, troviamo una strumentazione debitrice nei confronti di Strauss e Mahler, mentre la vena melodica risente dell’influenza di Puccini. E se l’armonia guarda a Debussy, certe tensioni espressioniste e dissonanze rinviano a Schönberg. Non mancano nemmeno gli omaggi all’operetta e al melodismo di consumo.
Insomma, Korngold – ventitreenne all’epoca della composizione – usa un linguaggio che riflette il panorama musicale del suo tempo, non pretende di essere originale e moderno a tutti i costi (il che è legittimo), ma non rinunciando ad alcuna strada e accumulando invece di filtrare, si pone inevitabilmente in una posizione che offre il destro alle accuse di eclettismo ed epigonismo.

Detto questo, Die tote Stadt resta un documento interessante della cultura europea nel periodo compreso tra la fine dell’impero asburgico e gli anni Venti. Un’opera che si ascolta con interesse, anche perché impregnata di suggestioni letterarie. Alla base c’è un romanzo simbolista di Georges Rodenbach, Bruges-la-Morte (1892), una specie di cult della mitologia fin de siècle delle città morte, che naturalmente vede in primo piano Venezia, ma a cui si aggiunge appunto Bruges. In questo luogo simbolo di una disposizione d’animo decadente, abitato dai fantasmi del passato, sospeso tra realtà e sogno, si colloca la vicenda di Paul, che vive sepolto in una casa-museo dedicata al culto di Marie, la moglie morta in giovane età. L’incontro con Marietta, una ballerina straordinariamente somigliante alla defunta, scatena l’illusione che il passato possa tornare resuscitando un’unione ideale. Ma dopo un sogno-incubo, che si conclude con l’uccisione della sensuale e provocante danzatrice, Paul guarisce: decide di non vedere più Marietta e di lasciare Bruges. L’utopia del sogno dell’eterno ritorno si scontra con la coscienza che rivivere il passato significa perderlo, annullarlo nel presente.

Dal punto di vista teatrale, non è facile tenere in piedi una drammaturgia che alla prova del palcoscenico può rivelarsi abbastanza statica e monotona (penso all’edizione firmata anni fa da Pizzi per la Fenice). Alla Scala ci prova Graham Vick, che nell’opera di Korngold vede numerosi punti di contatto con il film di Alfred Hitchcock, La donna che visse due volte. Il suo nuovo allestimento (con scene e costumi di Stuart Nunn, luci di Giuseppe di Iorio e coreografia di Ron Howell) elimina ogni riferimento alla città di Bruges, spostando l’azione negli anni Trenta in un’Europa segnata dai regimi dittatoriali e dalla minaccia dell’Olocausto.
Sotto la direzione di Alan Gilbert, cantano Asmik Grigorian (Marietta), Klaus Florian Vogt (Paul), Markus Werba (Frank/Fritz) e Cristina Damian (Brigitta), mentre altri ruoli sono sostenuti da allievi dell’Accademia Teatro alla Scala.

L’opera sarà diffusa in diretta radiofonica da RAI-Radio 3 in Italia, e nel circuito Euroradio da parte della radio tedesca (DENDR), della radio serba e da quella danese. Sarà inoltre trasmessa in differita radiofonica in Spagna, Germania (DEBR), Bulgaria, Svezia, Slovenia, Turchia, Croazia, Svizzera francese e Lettonia.

Ulteriori informazioni: Teatro alla Scala

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