Dal 27 febbraio al 29 marzo va in scena al Teatro alla Scala Chovanščina, ultimo capolavoro di Modest Musorgskij, a vent’anni dall’ultimo allestimento a Milano: un evento culturale per cui il Teatro mobilita le sue forze migliori, un affresco inquietante e grandioso che interroga i meccanismi della politica e del sentimento di ieri e di oggi. Per l’occasione torna sul podio Valery Gergiev, oggi massimo interprete di questo repertorio e già direttore dell’ultima versione scaligera del 1998, che manca alla Scala in un’opera dal 2013. La regia è di Mario Martone, reduce dal successo dell’inaugurazione della Stagione 2017/2018 con Andrea Chénier e, al cinema, del recente Capri Revolution, e le scene sono di Margherita Palli, al suo dodicesimo spettacolo scaligero, che nelle scorse settimane ha nuovamente conquistato il pubblico con Lo schiaccianoci.
In palcoscenico Mikhail Petrenko e Vladimir Vaneev nella parte di Ivan Chovanskij, Sergej Skorokhodov (Andrej Chovanskij), Ekaterina Semenchuk (Marfa), Evgenia Muraveva (Emma), Evgeny Akimov (Golicyn), Alexey Markov (Šaklovityj), Stanislav Trofimov (Dosifej), Maxim Paster (scrivano), mentre i numerosi ruoli di contorno sono ricoperti da allievi dell’Accademia Teatro alla Scala. Il Coro della Scala e il Coro di Voci Bianche sono preparati da Bruno Casoni.
Il 27 febbraio l’opera sarà diffusa in diretta radiofonica da RAI-Radio 3 in Italia e dal circuito Euroradio in Serbia e Slovacchia. Sarà inoltre trasmessa in differita radiofonica in Spagna, Russia, Bulgaria, Lettonia, Slovenia, Francia, Turchia e Repubblica Ceca.
Valery Gergiev
Valery Gergiev è tra i principali protagonisti del panorama musicale del nostro tempo. Nato a Mosca, dopo l’infanzia trascorsa in Ossezia si forma a San Pietroburgo, prima nella classe di Il’ja Musin e dal 1978 come assistente di Yuri Temirkanov al Teatro Mariinskij, dove debutta con Guerra e pace di Prokof’ev. Dal 1988 è Direttore artistico e dal 1996 Direttore generale del Mariinskij che sotto la sua guida si arricchisce di una seconda sala e di una sala da concerti. Dal 1995 al 2008 dirige la Filarmonica di Rotterdam. Dal 2007 al 2015 è Direttore Principale della London Symphony Orchestra. Dall’autunno 2015 è alla guida dei Münchner Philharmoniker. Innumerevoli le collaborazioni con tutte le principali orchestre del mondo e intensissimo il rapporto con la Scala: dopo il debutto nel 1990 con la Filarmonica, nelle cui stagioni tornerà regolarmente, e La leggenda della città invisibile di Kitez con i complessi del Mariinskij nel 1994, nel 1995 dirige Il giocatore, nel 1998 Čhovanščina, nel 2000 Vojna i Mir (Guerra e pace), nel 2001 La forza del destino, nel 2002 Boris Godunov, nel 2013 Macbeth.
Mario Martone
Regista cinematografico e teatrale, Mario Martone ha avuto un rapporto fecondo con la Scala. Il debutto avviene nel 2011 con l’accoppiata verista per eccellenza, Pagliacci e Cavalleria rusticana con la direzione di Daniel Harding: uno spettacolo fortunato ripreso più volte negli anni successivi. Seguono due titoli verdiani: Luisa Miller diretta da Gianandrea Noseda nel 2012 e Oberto conte di San Bonifacio diretta da Riccardo Frizza nel 2013. Nel 2016 Martone incontra Margherita Palli per La cena delle beffe di Giordano: ne nasce un allestimento originale ed efficacissimo il cui successo è ribadito da Andrea Chénier diretto da Riccardo Chailly in apertura della Stagione 2017/2018. Mario Martone è di nuovo nelle sale cinematografiche in queste settimane con Capri Revolution, ambientato nei circoli progressisti che animavano l’isola negli anni precedenti la Grande Guerra.
Margherita Palli
Margherita Palli è un punto di riferimento per la scenografia italiana. Il suo nome è strettamente legato a quello di Luca Ronconi, con cui ha firmato alla Scala Oberon (1989), Lodoïska (1991), La damnation de Faust (1995), Tosca (1997), Ariadne auf Naxos (2000), Il trittico (2008), L’affare Makropoulos (2009). Ha firmato due inaugurazioni di Stagione: La vestale con Liliana Cavani e Andrea Chénier con Mario Martone, con cui ha realizzato anche La cena delle beffe nel 2015. Nello scorso dicembre ha firmato le sue prime scenografie per un balletto: Lo schiaccianoci nella versione Balanchine. Alla Scala ha realizzato anche la mostra su Luca Ronconi all’Ansaldo nel 2015 e quella su Maria Callas al Museo nel 2017.
Gli interpreti
Chovanščina, colossale dramma storico-politico, è anche un’opera dai personaggi complessi e umanissimi: Musorgskij dipinge con lo stesso realismo disincantato eppure sempre partecipe le psicologie dei singoli e le convulsioni della Storia. Ivan Chovanskij, il protervo autore della rivolta, è interpretato alla Scala da Mikhail Petrenko, tra i bassi più richiesti dai teatri di tutto il mondo nel repertorio wagneriano e russo, ma che alla Scala è stato anche Zaccaria in Nabucco. Suo figlio Andrej è il tenore Sergey Skorokhodov, una star del Mariinskij molto presente anche nei maggiori teatri europei in ruoli verdiani. Personaggio originale e inquietante, delatore e assassino dalla psicologia tormentata, Šaklovityj è interpretato dal baritono Alexey Markov, anche lui ospite frequente del Mariinskij ma anche di teatri come il Metropolitan di New York. A Stanislav Trofimov la parte dell’ex principe, ora monaco Dosifej, cavallo di battaglia di Šaljapin e prototipo del basso nobile nella tradizione musicale russa. Marfa, personaggio incandescente in cui convivono sensualità, ascesi e desiderio di martirio, segna il ritorno alla Scala di Ekaterina Semenchuk, mentre debutto attesissimo è quello, nella parte di Emma, di Evgenia Muraveva, che ha attirato su di sé l’attenzione internazionale sostituendo Nina Stemme in Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk diretta da Mariss Jansons al Festival di Salisburgo nel 2017. Nel cast anche Irina Vashchenko come Susanna e Maxim Paster come Scrivano, mentre alcuni dei migliori allievi dell’Accademia sono chiamati a sostenere i molti ruoli, talvolta brevi ma mai minori, che completano il grande affresco di Musorgskij.
Chovanščina alla Scala
La fortuna europea di Chovanščina segue le rappresentazioni di San Pietroburgo del 1911 e la produzione di Diaghilev a Parigi nel 1913, dominate da Šaljapin nella parte di Dosifej. Un altro grande basso, Marcel Journet, fa parte della compagnia della prima scaligera del 1926 in italiano diretta da Ettore Panizza con la regia di Alessandro Sanine. Nel 1933 dirige Vittorio Gui e Mario Frigerio firma la regia, mentre nel 1949 e 1950 direzione e regia sono concentrate nelle mani di Issay Dobrowen: Chovanskij è Nicola Rossi Lemeni, come Marfa si ascoltano prima Fedora Barbieri poi Giulietta Simionato. Primo paladino dell’opera nel dopoguerra è Gianandrea Gavazzeni che la dirige nel 1967 e 1971 con la regia di Josif Tumanov e Nicolai Ghiaurov come Chovanskij e Irina Arkhipova come Marfa. Nel 1973 il Teatro Bol’šoj porta la sua produzione diretta da Boris Chajkin con la regia di Oleg Moroliov e Elena Obratzsova nei panni di Marfa. Nel 1981 il Musorgskij Festival voluto da Claudio Abbado include una memorabile messa in scena di Jurij Ljubimov diretta da Ruslan Raicev. L’ultima apparizione del titolo alla Scala risale al 1998 con la regia di Leonid Baratov e una locandina d’eccezione: sul podio Valery Gergiev, in scena Paata Burchuladze, Vladimir Galouzine, Nicolai Putilin, Larissa Diadkova e Hasmik Papian.
Genesi e peripezie di un capolavoro
Scritta a partire dal 1872, Chovanščina era stata immaginata da Musorgskij come la seconda opera di una trilogia epica sulla storia russa: il primo titolo è Boris Godunov (andato in scena nel 1874), basato sul dramma di Puškin e dedicato alla cosiddetta epoca dei torbidi (1584-1613), il terzo – mai realizzato – sarebbe stato ancora ispirato da Puškin e avrebbe dovuto avere come oggetto la rivolta di Pugacëv (1773-1774). Chovanščina (a volte tradotto come La congiura dei principi Chovanskij, ma la parola ha una sfumatura sarcastica e spregiativa: “una roba da Chovanskij”), su libretto dello stesso Musorgskij, che si era personalmente impegnato in approfondite indagini storiche, è la storia delle congiure che tra il 1682 e il 1689 portarono alla sconfitta dei “vecchi credenti” e all’ascesa al trono di Pietro il Grande. Alla morte di Musorgskij, nel 1881, dell’opera era pronta solo la versione per canto e pianoforte, con scarni abbozzi di orchestrazione e ampie lacune, in particolare nel finale. L’impegno a rendere rappresentabile l’opera fu generosamente assunto da Rimskij-Korsakov, che da un lato orchestrò da par suo, sia pure accentuando gli aspetti fiabeschi, dall’altro volle correggere arcaismi e asprezze di scrittura che dal suo punto di vista erano semplicemente errori, e tagliò circa un quarto della musica. La sua versione fu eseguita a San Pietroburgo in forma amatoriale nel 1886 e pubblicamente solo nel 1911; Djagilev promosse una rappresentazione a Parigi nel 1913, con integrazioni orchestrate da Ravel e Stravinskij. Fu però Dmitrij Šostakovič, che dal 1931 aveva a disposizione l’edizione critica curata da Pavel Lamm, a riprendere l’opera nella sua interezza e a realizzare nel 1961 un’orchestrazione che rispettava l’originalità visionaria del dettato di Musorgskij e il suo drammatico, spietato realismo.
Ulteriori informazioni: Teatro alla Scala
Photo credit: Brescia/Amisano Teatro alla Scala