È anche lui un “frutto” dell’Accademia rossiniana e, dopo averla frequentata nel 2009, è tornato al Rossini Opera Festival da protagonista. Il tenore siciliano Enea Scala, applaudito nel ruolo di Carlo in Edoardo e Cristina, l’opera che ha inaugurato la 44° edizione della kermesse, canterà anche in un recital il 21 agosto. Lo abbiamo intervistato.
Quest’anno è al Rossini Opera Festival per cantare in un’opera in un recital. Si tratta di un ritorno dopo avervi mietuto importanti affermazioni negli anni scorsi. Qual è il suo rapporto con Rossini e con questa manifestazione?
Al Rossini Opera Festival di Pesaro sono approdato con l’Accademia Rossiniana del 2009, ho avuto la fortuna di debuttare nel Viaggio a Reims con il ruolo di Libenskof assorbendo, già all’epoca, le lezioni di prassi esecutiva e interpretazione suggerite dal maestro Alberto Zedda, con la sua ricerca spasmodica nell’ottenimento di colori e fraseggio stilistico più vicino possibile a quello richiesto da Rossini. Poi, negli anni a venire, ma non ancora maturo abbastanza per poter cantare ruoli considerati da baritenore, ho accettato con grande piacere di prendere parte a due produzioni storiche del Rossini Opera Festival: Sigismondo e Mosé in Egitto. Quelli che interpretavo, erano ruoli di tenore comprimario ma mi hanno dato ampia visibilità. Nel 2013, poi, sono stato il Conte Alberto nella farsa L’occasione fa il ladro. Lo sviluppo vocale per affrontare il Rossini serio, raggiunto anche grazie alla frequentazione di altri repertori, si è fatto strada a partire dalla stagione 2015-2016 con il personaggio di Rinaldo in Armida all’Opera di Gent e, l’anno dopo, con Pirro nell’Ermione a Mosca: entrambe esperienze indimenticabili, con la direzione del Maestro Alberto Zedda. Dopo sono arrivati Argirio nel Tancredi al Bozar di Bruxelles, Osiride nel Mosé in Egitto al San Carlo di Napoli, Idreno in Semiramide alla Fenice e Rodrigo ne La Donna del lago a Marsiglia. Ognuno di questi personaggi ha posto le basi per affrontare il repertorio rossiniano serio e, in particolare, i ruoli cosiddetti Nozzari.
Parliamo dell’opera che interpreta quest’anno, il centone Edoardo e Cristina, per la prima volta al Rof. Come descriverebbe questo lavoro?Eduardo e Cristina rappresenta una summa di vari capolavori tra i quali, per quanto riguarda la mia vocalità, spiccano per consistenza e grado di difficolta i numeri più ardui dell’Ermione : l’aria di Pirro, il finale primo e il duetto Pirro-Ermione.
Come si è trovato con il direttore, il regista e gli altri interpreti?
Le prove per Eduardo e Cristina si sono svolte con estrema serenità sebbene molto faticose anche perché accompagnate dal solito caldo estivo. Ideale è stato il rapporto con i bravissimi colleghi. Con il maestro Bignamini, sin da subito, ho trovato una grande sintonia mentre con il regista Stefano Poda oserei dire che è stato un incontro idilliaco, come raramente avviene nel nostro lavoro.
Il suo ruolo, re Carlo di Svezia, fu cantato, tra gli altri, da Domenico Donzelli. Come ne descrive la vocalità e la scrittura?
La scrittura per il re Carlo non è sempre coerente poiché abbraccia diverse tipologie di voci. In Carlo, non c’è solo la presenza delle parti da tenore Nozzari (relativa ai brani tratti dall’Ermione) ma si trovano parti e sistemi nettamente più contraltini. Si evince, sin da subito, un’insistenza dei recitativi in una tessitura acuta e scomoda, sempre sul passaggio rispetto ai ruoli Nozzari che restano più centrali. Questo tipo di scrittura penso si confacesse perfettamente a Domenico Donzelli, che ne è stato appunto uno dei massimi interpreti. Con le sue caratteristiche di voce bronzea e di tenore protoromantico, da ciò che si legge, Donzelli poteva cantare Otello di Rossini e poi essere il primo Pollione in Norma di Bellini.
Ha interpretato diversi ruoli rossiniani molto impegnativi per la voce: com’è cambiata la tecnica da allora a oggi?
La tecnica se è salda fortunatamente non cambia! Si può sempre perfezionare, anno dopo anno, esperienza dopo esperienza, si forgia e migliora, si adegua ai cambiamenti fisici dovuti all’età e alla maturità. Da quando non canto più il Rossini buffo, più adatto a voci più leggere, ho trovato molta più armonia e compattezza nell’uso dei diversi registri; a questo si unisce un’uniformità che parte dal medio grave ed arriva alle note sotto il rigo sulle quali si appoggiano le ottave soprastanti.
Il 21 agosto terrà un recital a Pesaro. Come ha scelto il repertorio in programma?
Il programma per il recital di belcanto l’ho scelto, assieme al Maestro Michele D’Elia che mi accompagnerà al pianoforte, in modo molto naturale pensando ad alcuni dei miei maggiori successi tratti da opere incise (come Adelson e Salvini di Bellini o Medea di Mayr) ma anche da opere cantate di recente (come l’aria “Inutiles regrets” di Enée in Les Troyens) o che canterò prossimamente come “Eloignè pour jamais” di Giasone in Medea di Cherubini. Ho poi pensato a qualche aria da camera di Rossini, Bellini , Verdi e due grandi scene rossiniane che, finora, ho cantato solo in concerto e cioè l’aria di Argirio da Tancredi e la cavatina di Rodrigo da La Donna del lago.
Il suo repertorio si muove sostanzialmente tra il cosiddetto Belcanto e le opere francesi, con alcuni titoli verdiani e qualche incursione nel Novecento. Come ne descrive l’evoluzione? C’è un’opera che le piacerebbe debuttare e perché?
Effettivamente il mio repertorio subisce spesso incursioni nel mondo operistico francese in cui mi trovo molto comodo dal punto di vista vocale. Fra poco inizierò a sperimentarmi in opere di Verdi, già frequentato in passato con Traviata e Rigoletto, ma in futuro arriverà Riccardo de Un ballo in maschera che debutterò all’Opera de Marseille. L’evoluzione mi sembra piuttosto logica considerando che tra il Donizetti serio, specie l’ultimo, e il Verdi protoromantico c’è una soluzione di continuità. Il Belcanto finché potrò e la voce sarà ancora duttile, sarà sempre in cima alle mie scelte. Le incursioni nel repertorio francese di Massenet, Meyerbeer, Offenbach e presto, spero, Gounod, mi aiutano ad arricchire un fraseggio fatto di morbidezza e passionalità espressiva.