Non saprei introdurre l’intervista a Fiorenza Cedolins in altro modo che non sia la sensazione di profondo fascino che da subito ha suscitato in me la sua voce, meglio ancora, il suo eloquio, così intriso di musica, che ogni sua frase restituisce il respiro di una frase di Bellini o Puccini. Non si pensi ad alcunché di artefatto, tuttavia. C’è in esso una naturalezza che trascende la techne e lo eleva ad Arte, una consapevolezza umile del proprio ruolo che soggioga. In quest’anno denso di anniversari, Fiorenza Cedolins ne intercetta alcuni (Puccini e Callas), festeggiando i trent’anni di carriera: un traguardo che dischiude per lei importanti novità, prima fra tutte l’incarico di Direttrice artistica – Musica e Danza del Teatro Nuovo Giovanni da Udine.
Ricopro con grande piacere questo incarico – ci spiega – perché mi ha permesso di ritornare alle mie origini. Amo i luoghi dove c’è cura e dedizione per le cose come a Udine, perché, essendo originaria di Anduins, sono abituata ai grandi spazi e alla pace, elementi che ritrovo ora in questa città. Quest’anno compio trent’anni di carriera nei grandi ruoli di soprano: debuttavo, infatti, nel 1993 nel ruolo di Santuzza al Carlo Felice di Genova. Questi anni di densa attività mi hanno assorbito molto, per cui, all’alba di questo importante anniversario, mi piace che si sia aperta per me la prospettiva di una carriera di manager teatrale, prospettiva che mi interessa e mi sta dando soddisfazione perché significa, in qualche modo, fare la regia di tutto quello che accade in scena e che raccoglie, pertanto, il sunto della mia vita professionale incominciata, in verità, già nel 1987, quando calcai per la prima volta le tavole del palco del Verdi di Trieste, come corista. Ho rubato il mestiere a tutti, ai colleghi ma anche ai tecnici: mi è stato utile per capire il mondo del teatro e come nasce e funziona uno spettacolo. Ora, dal momento che noi cantanti lirici, come tutti coloro che hanno un’arte basata sul corpo e la fisicità, che è, quindi, soggetta alle leggi dell’anagrafe, se vogliamo dirla così, oltre a occuparmi dell’insegnamento – a Barcellona dove insegno ai “Conservatori del Liceu”, nella mia struttura di Milano SOI Scuola dell’Opera Italiana Fiorenza Cedolins e nell’ambito del concorso di canto SOI – questo incarico mi permette di mettere tutta la mia esperienza al servizio degli altri, della mia regione, della città di Udine e del pubblico.
Qual è la prospettiva più difficile di questo ruolo?
Dopo la pandemia e la diminuzione delle risorse, si è registrato un calo di pubblico e l’attuale crisi generale che attraversa l’Europa non aiuta la ripartenza del settore. Per me, la cultura è un cibo necessario, tuttavia è indubbio che spesse volte essa costituisce un costo importante per famiglie che spesso già faticano. Ma non vi possiamo rinunciare: non possiamo limitarci a stupirci se i giovani le si allontanano. La sfida, dunque, è riportare queste persone a teatro.
Come pensa di affrontarla?
Ho pensato a una stagione strutturata per grandi temi. Il Teatro Giovanni da Udine si è imposto per la sua programmazione sinfonica, portando in regione le grandi orchestre. Voglio continuare su questa strada, ma cambiando un po’ orientamento per contenere, appunto, le risorse che oggi sono meno abbondanti. Avremo, ad esempio, un’orchestra di grande prestigio come la Filarmonica della Scala diretta da Riccardo Chailly con un giovane pianista come Aleksander Malofeev (16 Maggio); ma, accanto a eventi come questo, ho cercato di costruire un programma diverso da quello consolidato, aprendo molto ai giovani, al territorio, a qualche idea più originale, prestando una particolare attenzione al mondo femminile. Mi è piaciuto ad esempio lavorare a una Messa da Requiem di Giuseppe Verdi, unendo alcuni i fra i migliori solisti di questo repertorio (Roberta Mantegna, Annalisa Stroppa, Gregory Kunde e Alessio Cacciamani, diretti da Roberto Abbado) alla compagnia della nostra regione, la FVG Orchestra, al Coro del Friuli-Venezia Giulia e al Coro della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste, proprio per dare stimolo alle realtà del territorio.
Per quanto concerne l’opera, ci saranno novità?
Il teatro, in virtù di accordi regionali, porterà a Udine due titoli prodotti dal Teatro Verdi di Trieste: Manon Lescaut di Puccini, in occasione anche del Centenario pucciniano, e La Cenerentola di Rossini, titolo, quest’ultimo, che per attirare l’attenzione dei giovani, una dell
e sfide che mi sono preposta, verrà offerto anche alle scuole e che vedrà Annalisa Stroppa nel ruolo eponimo. E sempre, parlando di voci, voglio ricordare il recital di Francesco Demuro accompagnato al pianoforte da Roberta Paroletti incentrato sulle celebri pagine operistiche, da Gounod e Donizetti fino a Puccini, Cilea, Massenet, quelle che hanno contribuito a renderlo famoso nel mondo. Ma vorrei anche ricordare il balletto che, a fianco di un titolo della grande tradizione, Giselle, ne vedrà uno fortemente contemporaneo, Igra, con la coreografia di Mattia Russo e Antonio de Rosa, che porta in scena una partita di tennis. Avremo, inoltre, la finale del Concorso di Canto lirico Virtuale SOI dell’Opera Italiana Fiorenza Cedolins e a seguire il gala dei vincitori.
Vuole parlarci del concorso?
Il concorso SOI è nato durante l’emergenza sanitaria da un’idea che alcuni hanno definito “criminale”, altri geniale: scoprire i nuovi talenti e usare i social media per diffondere le performance dei giovani, facendoli cantare per un pubblico diverso da quello che frequenta il teatro lirico. Abbiamo selezionato oltre 500 cantanti in 4 anni e quasi tutti i vincitori stanno facendo bellissime esperienze nel mondo. Juliana Grigoryan, ad esempio, che ha inviato i materiali quando aveva 22 anni, ha debuttato a Bologna a 24 anni e ha già cantato alla Scala, a New York, il Maestro Muti l’ha voluta nella Messa da Requiem: quando vidi il video rimasi sorpresa nell’udire la voce di una Freni e una Tebaldi uscire da una donna che aveva l’aspetto di una modella; ma penso anche a Valerio Borgioni, Eleonora Filipponi, Caterina Dellaere o a un altro armeno, Navasard Hakobyan, tra i vincitori della prima edizione e subito inserito al Grand Opera House di Huston. Dal punto di vista del successo sui social il risultato è eccezionale: i partecipanti devono realizzare dei piccoli video, curando anche aspetti di regia, che sono stati visti da 3 milioni di persone nel mondo, con 120.000 commenti. Facciamo dunque anche una grande opera di divulgazione con uno strumento estremamente semplice.
Diceva che uno dei temi che più le sta a cuore è quello femminile.
Senz’altro: l’emblema ne è il concerto della Female Symphonic Orchestra Austria, durante il quale mi esibirò anche io per beneficenza a favore di un’organizzazione che sto ancora selezionando, che si occupi di donne o bambini sopravvissuti ai femminicidi. Eseguirò sette songs di Amy Marcy Cheney Beach orchestrate da un’altra donna, Valentina Casesa. Amy Marcy Cheney Beach è stata la prima compositrice americana ad avere scritto una sinfonia che fu eseguita dalla Boston Symphonic Orchestra: si tratta della Gaelic Symphony che sarà eseguita anche a Udine e che l’autrice fu, però, costretta a firmare con il nome del marito, perché era disdicevole che l’opera fosse siglata da una donna. Questo concerto sarà preceduto, nel pomeriggio, da un’importante conferenza dal titolo Gender Gap: consideri che le donne che suonavano, ad esempio, nelle orchestre nel 2020 erano il 39.6%, ma se si considerano le grandi orchestre la percentuale scende al 21,9%. Il numero delle direttrici d’orchestra è ancora inferiore, circa il 10%, ed anche peggiore è la situazione se si considerano le donne che rivestono il ruolo di direttore artistico o direttore musicale. Questi numeri non sono giustificabili, ovviamente, dal momento che la qualità artistica e la preparazione delle donne è pari a quella dei colleghi uomini.
Questo incarico è una parte importante del suo futuro, ma vogliamo ricordare la sua carriera e la sua attività di cantante lirica? Quali ruoli nuovi vorrebbe affrontare?
Nella mia carriera mi sono tolta tutte le soddisfazioni, cantando tutti i ruoli adatti alla mia voce. Io penso che nel momento in cui si sente di potere esprimere qualcosa come artista, non ci si può risparmiare: non si può misurare con il bilancino quello che si dà al pubblico e all’autore. Le vie di mezzo non mi interessano; quando si accettano ruoli come Norma, Maria Stuarda, Aida si è consapevoli che si pagano: se dovessi pensare di risparmiare la voce per fare durare a lungo le mie corde vocali, allora tradirei l’arte. Dopo trent’anni la mia tessitura è cambiata, ma ogni dieci anni circa la voce ha un cambiamento, per cui il repertorio va adattato ad essa. Lady Macbeth non è ruolo che si possa affrontare a vent’anni, bisogna aspettare i quaranta, con le dovute eccezioni ovviamente, come la grande Maria Callas. Dopo avere cantato ruoli che sono fra i più importanti e belli fra quelli scritti per soprano e che impegnano molto anche per il tempo in cui si è chiamati a restare in scena, considerando la mia maturità interpretativa, oggi vorrei affrontare ruoli nuovi, soprattutto in campo sinfonico, o autori come Berlioz e i nostri contemporanei. Tuttavia, dopo il recente debutto come Eboli, che mi ha dato grandi soddisfazioni, vorrei cantare ruoli falcon, ad esempio Amneris. Questo 2023, infine, mi ha regalato un altro importante traguardo: il debutto alla Carnegie Hall per il Callas 100; sono stata invitata, infatti, ad esibirmi in un gala con altre star internazionali e la NYC Opera Orchestra diretta dal Oleg Caetani il 3 dicembre, in occasione del centenario di Maria Callas.
In una carriera così lunga e importante, ci sono forse episodi meno felici da cui trarre, tuttavia, un insegnamento da lasciare ai giovani cantanti con cui oggi lavora?
Per quanto mi riguarda, ci sono certo alcuni rimpianti per essere stata al di sotto delle mie aspettative, ma ho la consapevolezza che sono stati episodi sempre legati a particolari problemi di salute, mai a scarsa preparazione. La voce ha questa peculiare trasparenza, che risente di difficoltà anche banali, legate allo stato di salute: una lieve indisposizione dovuta a stanchezza, al cibo può, ad esempio, influenzare una prestazione. Io consiglio ai cantanti di evitare il ricorso a farmaci, e comunque di ricordarsi che bisogna sempre andare avanti, mettersi in gioco dando il massimo. A volte mi è capitato di non essere in sintonia perfetta con parte del cast, ma questo senza mai arrivare al punto di abbandonare uno spettacolo o una recita: dobbiamo ricordarci che è un lavoro, dobbiamo farlo seriamente, ma dobbiamo anche divertirci e divertire.
Quali sono i momenti che le sono più cari di questi 30 anni?
In questi giorni ricordo le grandi personalità con cui ho lavorato: in particolare Giuliano Montaldo, Ettore Scola, Mario Monicelli, Graham Vick che mi ha diretto in una splendida edizione di La Rondine a Venezia e in Otello; era un regista che lasciava mano libera all’artista. E poi Hugo De Ana con cui feci la mia prima Norma: alla vigilia della prima mi chiamò in camerino e mi porse una foto di Maria Callas dicendomi “su dai, così la esorcizziamo”. Mi fece molto sorridere! E ancora, Pier Luigi Pizzi, grande memoria storica del teatro italiano, con cui feci Il trovatore a Firenze… tante persone da cui ho ricevuto molti preziosi consigli e che hanno contribuito a formare l’artista che sono. Se devo, però, ricordare alcuni episodi specifici, penso, ad esempio, al 10 agosto del 2013 quando, a 100 anni dalla prima Aida areniana, fui chiamata a interpretare il ruolo della protagonista a Verona, con l’allestimento originale. Mi sono sentita molto commossa in quell’occasione: in momenti come quello ti rendi conto di come l’opera possa essere uno spettacolo capace di sedurre anche persone che non hanno particolari competenze musicali, perché la musica non l’hanno studiata. Eppure, ne subiscono il fascino. Un episodio simile è il concerto per un’altra commemorazione di Maria Callas, ancora una volta, quando fui invitata a cantare al Teatro di Erode Attico di Atene: cantare in uno spazio così, in una notte in cui il tempo sembra non esistere più, mi ha dato la sensazione di sentirmi immersa nell’Universo, di essere l’anello di qualcosa di straordinario che arrivava dall’antichità: il percorso dell’Umanità e dell’Arte è un fenomeno toccante, un potere che giunge a colpire nel profondo. Siamo tanti Orfei e possiamo, nel nostro piccolo, domare, con l’Arte, le belve che vivono nell’animo umano.
Forse risiede in questa immagine il fascino che esercita la voce di Fiorenza Cedolins: nella consapevolezza di rivestire con umile onore il proprio ruolo in un Tutto che trascende la nostra esistenza e a cui, ciascuno di noi, a modo proprio, è chiamato a prendere parte. Il luogo in cui l’arte, la mera tecnica, diviene Arte, in cui “zum Raum wird hier die Zeit”, “lo spazio diventa tempo”.