Da Händel a Janáček, elogio del canto versatile – Intervista a Mark S. Doss
Si fa presto a dire basso–baritono. Mark S. Doss, cantante statunitense in carriera da quasi 35 anni, vanta oltre 100 titoli in repertorio, in almeno 6 lingue diverse. Certamente, la parola versatilità si adatta molto bene a un artista come lui, che passa con disinvoltura dal registro di basso a quello di baritono: nel suo repertorio ci sono sia Zaccaria che Nabucco, dall’omonimo capolavoro verdiano, ma anche Rigoletto e Sparafucile. Doss – che ha pure ricevuto il prestigioso Entertainment Award from Planet Africa, in riconoscimento del suo successo sia come artista che come role model positivo per i giovani in Canada e negli Stati Uniti – si appresta a cantare il ruolo del protagonista Alexandr Petrovič Gorjančikov nella nuova produzione di Da una casa di morti di Leoš Janáček che debutta domani, 23 maggio, al Teatro dell’Opera di Roma.
Lei si appresta a interpretare la parte di Alexandr Petrovič Gorjančikov – il protagonista – in un nuovo allestimento di Da una casa di morti di Janáček al Teatro dell’Opera di Roma. Ci racconta il suo personaggio?
L’allestimento di Roma è in realtà un rifacimento di quello andato in scena a La Monnaie a Bruxelles e poi al Covent Garden alcuni anni fa, quindi non è proprio nuovo. Nel romanzo di Dostoevskij c’è una descrizione molto chiara e esauriente di Alexandr Petrovič, che ce lo racconta in pratica come un uomo estremamente pallido, magro e dall’aspetto fragile, e che non arriva nemmeno a 35 anni di età. È vestito in modo molto ordinato e all’europea. Se qualcuno gli parla, lo fissa in maniera molto intensa, ascoltando con estrema cortesia ogni parola che gli viene rivolta, come se vi stesse riflettendo, e alla fine risponde in modo chiaro e breve, dando il giusto peso a ogni parola che gli viene detta. È irreprensibilmente morale, ma anche tremendamente asociale ed evita tutti. È coltissimo, legge molto ma parla poco. Tutti in città conoscono la sua storia, sanno che ha ucciso sua moglie in un impeto di gelosia durante il loro primo anno di matrimonio ma che si è arreso alle autorità (il che ha contribuito a mitigare non poco la sua sentenza). Si tiene a distanza da tutti, avvicinandosi agli altri solo per dare le sue lezioni di lettura e scrittura. Janáček ha scritto il libretto basandosi sul romanzo di Dostoevskij, ma ha dovuto ovviamente rimuovere molto materiale per trasformarlo in un’opera. Io ho messo il testo di entrambi l’uno a fianco all’altro per capire quali sentimenti, emozioni e possibili gesti potevo aggiungere al materiale che ho dalla fonte, e naturalmente mi lascio guidare in tal senso dall’incredibile musica di Janaček.
Nel suo caso il definirsi basso-baritono significa esattamente cantare sia parti da puro baritono, come Rigoletto e Nabucco o Alfio, sia ruoli da vero basso, come Méphistophélès in Faust, il Mefistofele boitiano e Zaccaria in Nabucco. Come definirebbe la sua vocalità e come si trova a passare da un ruolo all’altro?
All’inizio mi sono ispirato (al pari di tanti cantanti) alla voce di Mario Lanza, e quindi nei primissimi tempi cantavo alcune delle sue canzoni con l’impostazione da tenore e riuscivo anche a produrre dei bei suoni, ma durante il mio secondo anno di studi un insegnante baritono, che ha riconosciuto la mia vera posizione vocale naturale, che era più vicina a un’estensione da baritono, mi ha convinto appunto a passare alla corda baritonale. L’anno seguente ho preso lezioni dalla maestra di quest’ultimo, che mi ha fatto conoscere “O Isis und Osiris” di Sarastro dal Flauto magico, e che era molto contenta del fatto che riuscivo ad emettere un fa grave molto sonoro sulla note finale. L’anno dopo ho iniziato a studiare con un insegnante baritono che era stato in precedenza un tenore, e che mi ha fatto cantare “Il lacerato spirito” dal Simon Boccanegra, rimanendo soddisfatto della mia emissione vocale in quell’aria. Sono sempre stato un grande ammiratore di Cesare Siepi, che ho incontrato alla Lyric Opera of Chicago, di George London ed Ettore Bastianini, che aveva iniziato anche lui la carriera da basso. Bastianini impiegò un po’ di tempo per riposizionare la voce su una tessitura più acuta da baritono, mentre io sono andato avanti e indietro sin dall’inizio, per cui non è mai stato per me un problema passare da un registro all’altro. Inoltre, durante la pandemia ho creato un segmento online intitolato “Factually Correct” in cui ho cantato arie da sei “Fach” diversi del repertorio del basso e del baritono.
Vanta una lunga carriera. Quali sono i titoli nei quali si trova più a suo agio e perché? Ci sono momenti particolari di questa carriera che vorrebbe ricordare?
Ho quasi 35 anni di carriera alle spalle, ma usando il “Fach System” sono giunto alla conclusione che ci sono certi ruoli che sembrano starmi meglio di altri, che mettono in risalto la mia gamma vocale, linguistica e drammatica più agevolmente. Il protagonista dell’Olandese volante di Wagner è uno di questi, e quindi il Fach Heldenbariton (o baritono drammatico) sembra funzionare bene per me, e questo include anche i ruoli di Balstrode, Carlo Gérard, Tonio, Scarpia, Jochanaan, Amnonasro, per non parlare dei Wotan wagneriani, Amfortas e persino Hans Sachs. Molti dei miei momenti più memorabili sono stati i debutti in questi grandi ruoli, ma anche nei secondi allestimenti, in cui di solito rifletto su quel che ho fatto la prima volta. Cantare Jochanaan per la prima volta alla Scala è stata un’esperienza molto intensa. Scarpia per una serie di 16 recite alla Welsh National Opera mi ha procurato moltissimi momenti che ricordo con enorme piacere e mi ha permesso di esplorare davvero la profondità del ruolo, e la stessa cosa si è verificata con le 13 recite di Rigoletto che ho cantato con la stessa compagnia.
Lei si è esibito in tutto il mondo, con una parte importante della sua carriera in Nord America. Ci sono differenze nell’approccio all’opera da parte del pubblico americano rispetto a quello europeo?
Direi che la prima parte della mia carriera si è svolta soprattutto in Nord America, e la seconda più che altro in Europa. Penso che in generale il pubblico europeo tende a restare seduto (o in piedi) più a lungo alla fine della recita se l’hanno apprezzata veramente.
Lei ha anche preso parte ad alcune prime mondiali assolute, come The Time of Our Singing, un’opera contro il razzismo che ha vinto il titolo “World Premiere of the Year” negli International Opera Awards di quest’anno (la prima mondiale è stata a Bruxelles nel 2021 e quest’anno viene eseguita dall’Opera di St Gallen). Debutta poi al David Geffen Hall al Lincoln Center con “Here I Stand: Paul Robeson’s 125th Birthday”, omaggio musicale all’arte del celebre bassobaritono afro-americano. Ci racconta come sono questi due lavori?
Il romanzo di Richard Powers è stata la base per The Time of Our Singing, e la partitura di Chris Defoort è un’eccellente descrizione dei generi musicali che l’opera racchiude, a partire dallo storico concerto di Marian Anderson nel 1939 al Lincoln Memorial per finire con le rivolte seguite al pestaggio di Rodney King da parte della polizia a Los Angeles. Io interpreto il ruolo del Dr. William Daley, il padre di Delia Daley. Delia va al concerto di Marian Anderson e incontra un fisico tedesco, David Strom, si innamorano, si sposano e hanno tre bambini bi-razziali, il più grande dei quali è Jonah (Joey e Ruth sono gli altri due) che diviene un cantante lirico di prima grandezza. La musica e il canto li lega insieme e in qualche modo fa sì che la razza non distrugga completamente né loro né il loro amore reciproco, anche se hanno dei problemi di comunicazione, e ciò fa sì che l’opera non abbia un lieto fine totale. Il mio personaggio è contrario a questo matrimonio, ma alla fine è molto vicino ai suoi tre nipoti. Con il concerto “Here I Stand” alla Geffen Hall sono stato veramente onorato di mettere insieme una serie di canzoni, spiritual e arie d’opera per cui Paul Robeson era diventato molto noto, come “Ol’ Man River”, “All God’s Chillin’ Got Wings”, e “There is a Balm in Gilead”. Cantare di fronte a una sala tutta esaurita nel Sidewalk Studio della Geffen Hall è stata un’esperienza straordinaria, cui è seguito il giorno dopo lo stesso concerto nella Chiesa Mother Zion a Harlem, dove Robeson cantava regolarmente dopo che gli fu tolto il passaporto e non poteva viaggiare e fare concerti negli Stati Uniti.
Qual è la sua opinione sul tema della “cancel culture”? È d’accordo con i registi che decidono di non truccare di nero i personaggi di Aida o di Otello?
L’opera è prevalentemente una forma artistica europea, e quindi è comprensibile che possa esser difficile aprire il casting a tutte le diverse popolazioni del mondo. C’è una ricchezza che si verifica quando si includono tutte le culture nell’opera, creando nuove versioni di opere più vecchie o creando nuove opere che siano inclusive sin dall’inizio. Molti oggi cadono nella trappola del razzismo quando si limitano a inserire individui di culture diverse in ruoli d’opera molto noti, ma non si adoperano per rendere comprensibile come queste persone possano trovarsi in questi ruoli. Ma può esser fatto e i risultati sono di solito molto produttivi e illuminanti.
Penso che coloro che “promuovono credenze socialmente inaccettabili” dovrebbero esser dapprima educati, invece di esser “cancellati” ma se si rifiutano di cercare di ascoltare le prove concrete che la promozione delle loro idee è dannosa, allora si può ricorrere a delle sanzioni come ultima risorsa. Le fondamenta di opere come Aida o Otello sono basate sulle differenze razziali tra egizi ed etiopi, veneziani e mori, quindi se si rimuove questa dinamica da quelle opere e si decide di non usarla come momento di insegnamento estremamente potente sul perché non ha senso discriminare, si perde un’opportunità che la base dell’opera si è già prefissata: mettere in evidenza le differenze fisiche nel colore della pelle come se non fossimo in grado di imparare quanto siamo tutti uguali. Nonostante le differenze fisiche esteriori, è stato dimostrato che gli esseri umani sono uguali al 99,9%. Le opere in questione, mostrando esteriormente lo 0,1% di differenza legato al colore della pelle, volevano contribuire a far capire questo punto.
Ha ricevuto il prestigioso Entertainment Award from Planet Africa, in riconoscimento del suo successo sia come artista che come role model positivo per i giovani in Canada e negli Stati Uniti. Cosa significa per lei questo premio?
È un grande onore essere guardato dai giovani in Canada e negli Stati Uniti come un modello, quindi per me significa molto aver ricevuto questo premio. Ogni volta che ho potuto donare il mio tempo e i miei talenti a un’organizzazione come Planet Africa, ho tratto immensi benefici dall’esperienza. Mi sono offerto di cantare solo per la cerimonia di premiazione, in cui molti settori dell’economia e dell’imprenditoria venivano riconosciuti con i premi che venivano assegnati, e quando hanno visto tutto quel che avevo conseguito nella mia carriera, hanno detto con entusiasmo che avevano capito che avrebbero dovuto assegnare un premio a me.