Trecento volte Pinkerton. Il tenore Vincenzo Costanzo, trent’anni appena, si appresta a interpretare il protagonista di Madama Butterfly nel nuovo allestimento del capolavoro che apre il 68° Festival Puccini di Torre del Lago il prossimo 15 luglio, con la direzione di Alberto Veronesi e l’allestimento firmato da Manu Lalli. E sarà a quota quasi trecento repliche: “La prima volta che cantai Pinkerton avevo vent’anni – dice – e fu Gianni Tangucci a farmi debuttare. Facendo un rapido calcolo, è come se, in dieci anni, avessi cantato questo ruolo tre o quattro volte al mese. E non considero le prove!”. Napoletano, dotato di una bella voce tenorile scura e morbida, Costanzo canta prevalentemente ruoli pucciniani e del primo Verdi, ma non disdegna il Belcanto e, nel suo futuro (non prossimo), vede anche il Verismo.
Non è stanco di cantare Pinkerton?
Al contrario: vorrei portare quanto più possibile questo personaggio con me e non vorrei mai lasciarlo perché mi ha aperto i teatri importanti, mi ha dato tante possibilità anche internazionali, ed è perfetto per le mie corde perché non mi stanca. Indubbiamente, è un ruolo difficile a livello interpretativo: è molto semplice accattivarsi il pubblico con Rodolfo o Mario, ma molto più difficile farlo con Pinkerton. E poi a me piacciono le sfide: la mia vita è stata piena di sfide e le ho sempre combattute a testa alta.
Come interpreta questo ruolo?
Pinkerton è certamente maschilista ed egoista, ma penso che all’inizio non si renda conto di ciò che succederà, perché si presenta con questo spirito da yankee vagabondo: il contratto di matrimonio che firma gli dà addirittura il diritto di rescinderlo dopo un mese. Tanto è vero che Puccini scrive il primo atto nel segno della leggerezza: l’aria “Dovunque al mondo” ha come indicazione sullo spartito “con freschezza”. A differenza di altri, Puccini sullo spartito scrive tutto, anche le note registiche, e questo ci aiuta a capire come volesse il personaggio.
Come vive questo personaggio?
Nel primo atto con freschezza, esattamente come scrive Puccini. Nel terzo cerco quanto più possibile, anche sotto la direzione dei vari registi che incontro, di far trasparire quanto più pentimento possibile. Vero è che il primo atto è più lungo e difficile, con uno dei più bei duetti d’amore della storia dell’opera, ma ho dovuto studiare bene il terzo atto: nel primo, in fondo, ti puoi permettere di cantare e non interpretare perché c’è tutto scritto, ma nel terzo atto devi studiare bene perché il pubblico, in un certo senso, già ti odia.
Come sarà questo allestimento che inaugura il Festival?
La regista Manu Lalli è stata pe me una scoperta incredibile. Ho avuto già modo di lavorare con lei a Belgrado, in novembre, ma qui a Torre del Lago abbiamo molto approfondito l’introspezione del personaggio. La sua visione registica è molto particolare perché, utilizzando come scenografia dei bellissimi alberi che man mano che l’opera procede si spogliano, ha voluto sottolineare due temi: il disastro ambientale al quale stiamo andando incontro e il tema della violenza sulle donne. Si tratta insomma di una lettura in difesa del pianeta e delle donne e tutto è coerente con il libretto.
Dal momento che ha cantato in tante produzioni di Madama Butterfly, ce n’é qualcuna o una collega che ricorda in particolare?
Ogni volta che canto Butterfly è una situazione a sé. Tra quelle che mi sono piaciute molto, una produzione a San Francisco con Lianna Haroutounian, oppure quella diretta da Chung alla Fenice con Vittoria Yeo. Dal punto di vista registico, forse lo spettacolo di Pier Luigi Pizzi perché era veramente magico: lo abbiamo messo in scena nel circuito marchigiano con l’Opera di Roma e direttore Francesco Ivan Ciampa. Poi, non perché la sto facendo, ma in questa produzione di Torre del Lago io mi trovo davvero a mio agio, anche perché fatta di tanti dettagli importanti ed è bella da vedere.
Lei ha anche partecipato a due produzioni molto particolari: il Gianni Schicchi televisivo con la regia di Damiano Michieletto e Traviata vr. La prima opera del metaverso, curata invece da Luca Micheletti. Come si è trovato in queste due esperienze?
L’opera deve essere fatta anzitutto in teatro, ma se abbiamo più opzioni, perché non utilizzarle? Soprattutto se sono realizzate a un livello alto e con tecnologie importanti, il successo è certo. Proprio come accaduto con queste due produzioni. Entrare nel cinema opera mi è stato proposto da Michieletto e Paolo Rossi Pisu di Genoma Film: abbiamo visto che con la telecamera il mio viso funzionava molto bene. A quel punto, ho capito che questa opportunità era da tenere in considerazione. Infatti, subito dopo Schicchi, è arrivata Traviata, una bellissima esperienza con colleghi meravigliosi, con i quali ho stretto una forte amicizia. Per me è fondamentale il rapporto umano, anche sul lavoro, altrimenti non riesco a essere me stesso. A differenza dello Schicchi, con Traviata c’era una ulteriore sfida perché eravamo sempre in presa diretta con una telecamera 3d che ti riprendeva da tutti le angolazioni. Dovevamo quindi avere un controllo del corpo a 360 gradi, non solo della voce!.
A proposito di voce, lei si può definire un tenore dalla vocalità italiana. Cosa significa ciò?
Sarà perché sono napoletano, ma quando una persona parla dell’Italia, le prime cose che mi vengono in mente sono il sole, il mare, il clima bello. Così deve essere la voce: solare, squillante e con la dizione chiara. L’Italia è la culla dell’opera e ne ha fatto la storia: per questo, abbiamo avuto grandi maestri che ci hanno lasciato un’eredità incredibile che ci fa capire come deve essere un tenore. Ne cito cinque: Gigli, Lauri Volpi, Pertile, Merli, Schipa. Sono l’esempio lampante di come deve essere la vocalità tenorile. Ho avuto la fortuna di vincere, nel 2013, il primo premio al concorso voci verdiane di Busseto e ricordo che Leo Nucci, a cui devo tanto e che per me è come un nonno artistico, diceva a noi tenori: ascoltate i dischi di Gigli. Poi ognuno nasce con un tipo di vocalità e canta con il proprio colore.
Quali sono i suoi prossimi impegni?
Tornerò alla Fenice, al Massimo di Palermo e al San Carlo di Napoli. Sono molto emozionato e felice perché sono teatri nei quali ho iniziato la mia carriera: torno con una maggiore maturità e consapevolezza interpretativa. Debutterò poi Ernani ad Anversa in dicembre.
Nel suo repertorio ci sono tanto Puccini e tanto Verdi. C’è qualche ruolo che vorrebbe interpretare?
Mi piacerebbe molto cantare Idomeneo, e poi Il Pirata… Nel mio futuro, non prossimo, vedo Andrea Chénier, un ruolo che mi piace moltissimo.