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Intervista a Roman Burdenko, astro nascente della scuola baritonale russa

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La carta d’identità artistica del baritono Roman Burdenko, nato nel 1984 a Barnaul, città della Siberia, è ricca di importanti riconoscimenti. La lista dei premi vinti in diversi prestigiosi concorsi è davvero lunga, fra i quali l’Opera International Competition di Mosca (1° premio, 2011), Concours de Chant Lyrique Long-Thibaud-Crespin di Parigi (2° premio, 2011), Operalia di Plácido Domingo a Pechino (3° premio, 2012) e Concorso Internazionale di Canto Hans Gabor Belvedere ad Amsterdam (2° premio, 2013).
In Italia, dopo aver cantato Nabucco al Massimo di Palermo, ha vestito i panni di Jago nell’Otello che ha inaugurato, il 4 novembre scorso, la stagione del Teatro Verdi di Trieste con la direzione di Daniel Oren. Il nuovo anno vedrà anche il suo ritorno sulle scene scaligere, come Guido di Monforte ne I vespri siciliani, dopo essere già stato apprezzato nel 2022 come Conte Tomskij in Pikovaya Dama (La dama di picche) di Čajkovskij. Ha recentemente debuttato all’Opéra National di Parigi come Scarpia in Tosca, sarà presto Rodrigo in Don Carlo al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino e, nel nuovo anno, vestirà ancora i panni del titolo nel Nabucco in scena al Grand Théâtre di Ginevra.
Voce robusta e compatta, ma non per questo priva di attenzioni al dettato espressivo, Burdenko ha fino a oggi affrontato, oltre ai già citati e ad altri ruoli verdiani, anche il repertorio russo e quello wagneriano, quest’ultimo con molte prove al Mariinskij di San Pietroburgo, teatro che ha segnato suoi importanti debutti. Lo abbiamo incontrato tentando di scoprire di più sulla sua voce e sul suo già significativo percorso artistico.

Può raccontarci in breve con chi si è formato e degli inizi della sua carriera?
Ho iniziato a parlare e cantare nello stesso tempo. Da bambino cantavo sempre con mia nonna prima di andare a letto. Abbiamo una tradizione di canto nella nostra famiglia: cantiamo tutti insieme, io e i miei fratelli, sorelle e cugini. Quindi, in pratica, canto da tutta la vita. Da adolescente, ho anche avvicinato il pop e il folk. Mi sono trasferito dalla mia città natale di Barnaul a Novosibirsk, dove ho imparato il canto lirico al Novosibirsk Musical College con il maestro Lev Bandman. Lui era stato allievo del famoso Leonid Dmitriev, che scrisse i libri di tecnica vocale per i bassi. Bandman mi disse che avrei dovuto imparare a insegnare a cantare. La sua idea era che se sei in grado di insegnare a qualcuno, allora hai modo di migliorare te stesso. Con questo in mente, ho frequentato tutte le classi di canto del Collegio e del Conservatorio. Alla fine, ho deciso di lavorare con Vladimir Prudnik al Conservatorio di Novorsibirsk. Prudnik era ucraino, ha studiato in Ucraina e mi ha parlato molto della loro cultura. Abbiamo cantato molte canzoni popolari ucraine e del suo repertorio operistico. La mia tecnica vocale si basa quindi sulla tecnica del canto ucraino, che è molto vicina a quella italiana. L’Ucraina è nota per la sua tecnica vocale e per le sue voci eccellenti.

La sua formazione è avvenuta solo in Russia?
Durante i miei studi con Prudnik a Novosibirsk, ho ottenuto il posto di solista al teatro, ma decisi di andare a Mosca e a San Pietroburgo per essere più vicino ai grandi teatri russi e approfondire la mia formazione musicale. Ho concluso il percorso di studi vocali nella classe di Vladimir Vaneev al Conservatorio di San Pietroburgo. L’anno successivo, ho ottenuto un posto al Teatro Michajlovskij di Mosca e da lì le cose hanno preso il via. Ho partecipato a molti concorsi e ho avuto la fortuna di vincere alcuni premi prestigiosi.

La Russia è sempre stata una terra fertile per le voci di baritono. Fra quelle del passato, anche più recente, ha dei modelli ai quali fa personalmente riferimento?
Ci sono tante ottime voci baritonali, io ho avuto la fortuna di conoscerne diverse e anche di imparare da alcune di loro. Il mio insegnante Lev Bandman era un eccellente basso-baritono che durante la sua carriera ha cantato in ruoli di protagonista in Italia e in Russia. Ai suoi studenti insegnava la lingua italiana, il repertorio e lo stile musicale. A questo proposito, ci ha anche raccontato molte storie e anedotti sui grandi cantanti italiani. Ho imparato molto di questa tradizione da lui. Durante il periodo trascorso a Novosibirsk, ho ascoltato alcune delle più grandi voci, poi quelle di molti baritoni eccellenti al teatro Mariinskij. Ancora oggi, il gruppo di baritoni che operano all’interno del teatro vanno molto d’accordo, c’è una buona atmosfera tra di loro. Uno dei miei cantanti preferiti è Piero Cappuccilli, nato e morto a Trieste, dove qualche settimana fa ho anche visitato la sua tomba. Il primo Jago che ho ascoltato è stata una sua registrazione all’Arena di Verona, insieme a Kiri Te Kanawa e Vladimir Atlantov. Mi ha profondamente impressionato!

Quando veste in panni di Jago quali valori interpretativi e vocali desidera mettere in luce nell’approccio alla parte che ha appena affrontato a Trieste?
Avevo già interpretato Jago al Mariinskij, ma in quell’occasione ho avuto solo dieci giorni per prepararmi alla parte. Questa volta mi sono preso il tempo necessario per approfondire il personaggio e per fare un confronto con la tragedia di Shakespeare. Il ruolo di Jago va oltre al canto; si deve essere un attore e diventare un maestro di scacchi. Devi essere in grado di capire una situazione complessa e sapere come pensa ogni singolo personaggio in scena. Jago è molto intelligente, capisce esattamente chi ha davanti. Finge di essere amichevole, per esempio Desdemona non potrebbe mai credere che in realtà è il suo peggior nemico. Riesce a nascondere ciò che pensa davvero e fa credere a tutti di essere buono. Approfondendo Shakespeare ho iniziato a pensare al personaggio di Desdemona, che è gentile, umile e indulgente. Ma non abbiamo tutti, dentro di noi, del buono e del cattivo? Forse nel suo nome Shakespeare ci dà un indizio: Desdemona contiene “demone”. Forse il modello di Jago è dentro tutti noi. La differenza è che lui sa perfettamente come nascondere i suoi sentimenti più profondi, anche nei confronti delle persone più vicine alla sua vita.

Prendendo in esame il percorso della sua carriera, si nota una particolare predilezione per il repertorio verdiano, affrontato anche in ruoli dei cosiddetti “anni di galera”, come Stankar in Stiffelio. Che cosa l’affascina di più di questo compositore e di come utilizza la corda di baritono?
Verdi ha scritto molti grandi ruoli per baritono. Non si tratta solo della linea vocale verdiana, per interpretarlo bisogna aver acquisito una certa maturità ed esperienze di vita. Ha pensato molti ruoli per la figura paterna. Più di chiunque altro, Verdi ha compreso la più grande tragedia umana: la morte dei propri figli. Una volta diventato padre, si può capire ancora meglio cosa intendeva Verdi. Per il proprio figlio si desidera solo il meglio della vita. Verdi mette in musica il conflitto tra genitori e figli, la differenza tra le due generazioni. In tutto questo, Verdi scrisse anche un forte messaggio al popolo italiano. È riuscito a unire e a mettere in guardia dai pericoli della vendetta. Rigoletto perde la figlia perché vuole vendicarsi. Fiesco perde la figlia per la rabbia. Quando si augura il male a qualcuno, finisce per ritorcersi contro se stessi. C’è una morale profonda in ogni sua opera.

Quali sono le principali caratteristiche vocali e interpretative che deve possedere un baritono che si avvicina a Verdi?
Secondo me, si tratta soprattutto di capire l’aspetto umano dei ruoli. È un elemento che si può comprendere solo attraverso la propria esperienza personale. Tutto ciò che facciamo è lasciato nelle mani dei nostri figli e si rifletterà nel loro futuro.

L’attenzione alla parola, sulla quale oggi molto si insiste, è la più importante o è solo una delle tanti componenti dell’alfabeto vocale verdiano?
Come ho detto, penso che sia importantissima la parola.

Il passaggio da Verdi al verismo – lei ha interpretato anche Alfio in Cavalleria rusticana e Tonio nei Pagliacci e, dopo aver sostenuto diverse volte Scarpia in Tosca, interpreterà nel nuovo anno a Las Palmas un altro ruolo simbolo di cattivo dell’opera, come Barnaba nella Gioconda – cosa comporta per una voce come la sua?
Mi trovo molto a mio agio a cantare Verdi, ma amo tanto anche questi ruoli più veristi. Amo avvicinare parti dove si può recitare per interpretare di più e fare diventare veri i personaggi.

Per temperamento e voce si sente più a suo agio in ruoli vilain o da baritono nobile?
Tutti e due, perchè “il teatro e la vita non sono la stessa cosa” dunque nella vita uno ha ideali e vuole cose buone (si spera), mentre il palcoscenico è finzione, quindi possiamo portare al massimo i sentimenti buoni e anche quelli più cattivi.

Quali ruoli non ha ancora affrontato sulle scene, ma attirano la sua attenzione in vista dell’allargamento di un repertorio già vasto e composito?
Ho già cantato Falstaff alcune volte, ma in forma semiscenica da concerto. Mi piacerebbe approfondire ancora di più la parte. Ancora oggi ammiro alcuni dei migliori interpreti del ruolo: Ambrogio Maestri e Bryn Terfel. Uno dei miei baritoni preferiti, che eccelle sia vocalmente che teatralmente in questo personaggio, è Giuseppe Taddei; utilizza le sue specificità fisiche in modo brillante nel ruolo. Mi piacerebbe lavorarci di nuovo e riunire questa ispirazione in una mia visione. Inoltre, ci sono ancora altri ruoli che vorrei esplorare. Soprattutto nel repertorio russo, tedesco e francese. A volte penso che mi piacerebbe debuttare come Figaro nel Barbiere di Siviglia, Telramund o Amfortas…Ma anche interpretare più opere e canzoni russe come quelle di Musorgskij e Čajkovskij. Il celebre baritono Dmitry Hvorostovsky aveva già condiviso gran parte della musica russa con un pubblico internazionale.

Ha un valore aggiunto per lei cantare in Italia, o ormai crede che il livello del pubblico si sia globalizzato?
In Italia è nata l’opera, per me è un Paese meraviglioso e mi piace molto questo pubblico. In dieci anni di carriera, ho avuto poche occasioni di cantare in Italia. Sono venuto qualche volta in tournée con il Mariinskij, ma mai come solista invitato. Negli ultimi due anni ho cantato qui più spesso ed è davvero una grande felicità per me essere in Italia. Ogni città è una nuova scoperta per me, amo la passione che c’è qui per l’opera e tutta la sua tradizione. Ma devo dire che penso che sia un peccato che Trieste non abbia un monumento per i suoi grandi interpreti, come Piero Cappuccilli e Fedora Barbieri.

Chi è Roman Burdenko nella vita privata? Quali sono i suoi hobby extramusicali?
Un papà, un ragazzo, viaggio tanto, mi piace la buona cucina. Per questo anche amo l’Italia e sono molto curioso e felice per il mio lavoro. Mi piace viaggiare, scoprire posti nuovi. Amo la cucina italiana e visitare ogni città italiana: è sempre una grande sorpresa per me. Nella mia vita privata, sono felice quando riesco a trascorrere il tempo con i miei cari, con la mia famiglia e gli amici. Durante i freddi inverni, vado spesso in sauna e poi mi tuffo nel lago ghiacciato. Mi porta molta salute e belle emozioni. I cantanti dovrebbero godersi la vita “normale”, non concentrarsi solo sulla musica o sulla vita sul palco. Dobbiamo esplorare la vita, per diventare migliori e crescere ancora di più artisticamente.

In che modo un artista come lei si è posto nel difficile rapporto di equilibrio che spesso ha messo inopportunamente gli artisti del suo Paese in difficoltà?
Sono russo con un nome di famiglia ucraino: i nomi che finiscono con la “o” significano che le radici sono ucraine. Tutti i lati della mia famiglia hanno parenti ucraini. Siamo “nazioni sorelle” e ho un grande rispetto per ogni nazione e la cultura di tutti i paesi. Naturalmente, desidero pace e amicizia per tutti. Speriamo che tutto si risolva bene e presto.

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