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A Vicenza in Lirica, lavoriamo per il futuro dei giovani – Intervista ad Andrea Castello

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Andrea Castello, direttore artistico del Festival Vicenza in Lirica, ha le idee ben chiare e le espone con tanta speranza per il futuro dei giovani. Con lui abbiamo dialogato non tanto per delineare gli appuntamenti del cartellone di quest’anno (qui il link al programma completo), bensì per comprendere il successo di una rassegna che ha toccato un importante giro di boa. I progetti sviluppatisi nel tempo hanno perseguito l’ideale intenzione che sta a cuore a un’Associazione che, per festeggiare il suo decennale, ha già avuto una ricca anteprima concertistica lo scorso giugno (per la settimana della Festa della Musica Europea), in attesa dei tanti appuntamenti di settembre, che culmineranno con l’esecuzione della Messa in do minore K427 e con l’andata in scena del Don Giovanni di Mozart nel magnifico Teatro Olimpico, per concludersi con lo Stabat Mater di Luigi Boccherini.

Partiamo soffermandoci sulla filosofia che ha sempre animato le scelte del Festival, fin dagli anni della sua fondazione.
Con franchezza, quasi non mi ero reso conto che fossero passati tanti anni da quando ebbi l’idea di fondare questo Festival. Partimmo con una serie di iniziative circoscritte a masterclass e a qualche concerto, sotto consiglio di Daniela Dessì, che non finirò mai di ringraziare per i preziosi suggerimenti offertimi quando iniziai il percorso privo ancora di esperienza. Poco per volta si aggiunsero l’opera-studio e poi l’opera. Sono stati dieci anni coraggiosi, impegnativi ma belli.

Il progetto nacque dunque da subito con finalità didattico-formative prima ancora che concertistiche e operistiche?
Non mi ponevo dei limiti, ma non pensavo che il progetto si potesse ampliare così tanto, soprattutto da quando nel 2015, dopo il successo ottenuto con Orfeo ed Euridice di Gluck, capii che si poteva rischiare qualcosa di più. La mia forza credo sia stata quella di lavorare con l’Associazione senza accumulare debiti e realizzando tutto quello che si è fatto con le sole nostre forze, prima di poter accedere ai fondi del FUS, che dall’anno passato ci sostiene. Se i grandi nomi ci hanno onorato della loro presenza – e per questo li ringrazio – sempre lo hanno fatto lavorando a favore dei giovani, impegnandosi per loro crescita, senza cercare passerelle per se stessi.

La presenza del grande nome è quindi legata alla specifica finalità formativa che anima il Festival?
Anche questo, ma non solo. Tutte le masterclass che si sono organizzate hanno avuto una finalità specifica: quella di individuare voci adatte per concerti o opere. Per trovarle, in base al titolo operistico che si è deciso di mettere in scena, abbiamo anche indetto il Concorso Lirico Tullio Serafin, al quale abbiamo affiancato stage non limitati a un percorso che conduce, come spesso capita, al concerto conclusivo dei partecipanti e basta. Tengo molto a precisare che per me una masterclass non è una scuola, ma un corso di perfezionamento condotto da persone che hanno avuto un importante percorso sulle scene e, pertanto, sono in grado di trasmettere ai giovani la loro esperienza. È facile riempirsi la bocca dicendo che si devono aiutare i giovani, ma per farlo veramente bene è necessario offrir loro una valida offerta formativa, uscendo dalle dinamiche che spesso animano i concorsi, talvolta ridotti a sfilate di agenti e critici musicali. Non vorrei farmi nemici nel dire questo, ma nelle giurie, perché siano valide e produttive, ci vogliono personaggi in grado di far lavorare gli elementi meritevoli di maggior interesse che si sottopongono alla nostra attenzione. Vincere un concorso non è necessariamente la porta aperta per la carriera futura. Anche chi viene eliminato potrebbe destare l’interesse di chi ha gli strumenti per seguirne lo sviluppo. Solo così si aiuta veramente un giovane. Il concorso deve sempre creare occasioni di lavoro, non limitarsi a dispensare premi in denaro, per quanto importanti essi siano. Il giovane va accompagnato.

Questa premessa ci fa capire molto dell’anima giovane del Vicenza in Lirica.
Per me è fondamentale e da anni lotto perché questo avvenga. I cantanti migliori devono avere occasioni concrete per sviluppare il proprio percorso; diversamente, tutto quello che facciamo per i giovani, non avrebbe senso.

Perché si è voluto dare il titolo “La Musica unisce” al Festival di quest’anno?
La musica unisce sempre, non erge mai muri. Se si lavora solo per se stessi e non si cercano collaborazioni tutto è vano. In un momento difficile come questo, la musica tiene sveglio il dialogo fra i popoli, anche attraverso la solidarietà. Non siamo un Festival ricco, ma pensiamo sempre a un concerto benefico dove l’intero incasso della serata va a favore di chi soffre. Nel caso di quest’anno a favore della Assi Gulliver – Associazione Sindrome di Sotos Italia, malattia infantile molto rara. Ma non basta. La musica unisce il grande artista con l’artista più giovane, ma anche dimostra come l’essere umano abbia bisogno di vivere la magia dell’esperienza musicale dal vivo. Il grande flop dello streaming ha dimostrato come il mezzo di diffusione artificiale uccida il legame di condivisione col pubblico. Perché, nonostante pestilenze e guerre, la musica ha sempre avvicinato il pubblico al palcoscenico passando per la buca dell’orchestra.

Soffermiamoci un attimo sul Don Giovanni di Mozart, che andrà in scena al Teatro Olimpico l’8 e 10 settembre.
Da tre anni, prima con L’elisir d’amore di Donizetti e poi con Mitridate, re di Ponto di Mozart, abbiamo selezionato i giovani per mettere in scena un’opera attingendo dalla fila dei vincitori del Concorso Lirico Tullio Serafin, un concorso a ruolo dedicato al grande direttore d’orchestra che fu fra i più grandi scopritori di talenti in anni in cui le cosiddette agenzie non c’erano e la macchina teatrale era affidata agli impresari. Accompagniamo poi i giovani all’andata in scena dell’opera con una masterclass di alta formazione in canto lirico e un Opera-Studio che vede grandi nomi direttamente impegnati nel prepararli e seguirli dietro le quinte con amorevolezza e attenzione, perché possano offrire il loro meglio. Un vero laboratorio che aiuta i giovani a migliorare le proprie potenzialità. Ringrazio tutti i docenti – i nomi sarebbero davvero tanti, a partire da Sara Mingardo (nostro socio onorario), Barbara Frittoli e da molti altri ancora – e le istituzioni che, credendo in noi, hanno contribuito a creare quelle opportunità a giovani artisti penalizzati in questi due ultimi anni dalla pandemia, troppo spesso esclusi dalle produzioni e ostacolati da un “modello teatrale” che oggi più di ieri deve essere cambiato e vigilato. Questa è la motivazione principale che mi spinge, ancora di più in questa decima edizione, a lasciare loro ancora maggior spazio, sempre affiancati dai grandi nomi della lirica, presenza costante del Festival.

 

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