L’opera lirica come gesto politico, luogo figurato per costruire (o ricostruire) la dimensione identitaria di una comunità, per tesserne le fila. Così è per il regista Alessio Pizzech, impegnato in questi giorni a riportare la lirica al Teatro Solvay di Rosignano Marittimo, e che in estate metterà in scena a Como un particolare allestimento di Aida. Nella cittadina toscana, Pizzech è direttore artistico del progetto “InOpera”, per quest’anno declinato sul tema i “Modi dell’amore”. L’opera scelta è L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti, al centro di questi mesi di lavoro della comunità di Rosignano e non solo, con una serie di attività di formazione e di spettacolo. Una importante impalcatura di programmazione che ha coinvolto i bambini dai nido fino ai ragazzi delle scuole medie, abbracciando il mondo della famiglia e degli educatori nonché degli appassionati di musica, opera e teatro. Per il pubblico non si tratterà di una fruizione tradizionale perché i linguaggi artistici saranno declinati in una visione contemporanea e interdisciplinare. Il lavoro sfocerà nella messa in scena dell’Elisir d’amore in programma il 23 e 24 gennaio mattina per le scuole, la sera del 24 per il pubblico in genere.
Ci presenta il lavoro che sta portando avanti a Rosignano? Come sarà questa fruizione “alternativa” dell’opera?
A Rosignano sono partito dall’idea che non fosse necessario tanto riportare l’opera lirica sul palcoscenico del Solvay per il puro “vanto” di portare il teatro musicale come uno status sociale. Piuttosto mi interessava restituire all’opera il valore di collante di una comunità che ha perso le tracce di questa arte. Restituire all’opera questo valore politico in un’ottica di esperimento didattico e di pedagogia musicale come è opera education mi è parso doveroso. Penso che l’opera sia strumento privilegiato per lavorare in modo interdisciplinare e creare anche importanti sinergie sul territorio tra scuola e associazioni culturali e musicali. L’opera viene così fruita dai cittadini non solo come spettacolo ma anche come occasione di lavoro comune, di riflessione che attraversa la vita quotidiana della comunità partendo dalla scuola e arrivando alle famiglie. Il teatro d’opera diventa cartina di tornasole per leggere la contemporaneità. Il tema dell’amore, scelto quest’anno e sfociato nell’Elisir d’amore, è così declinato in vari modi: amore per le persone, per i luoghi, per la comunità. Ecco, “fare comunità” è il motto che guida la mia azione con l’amministrazione comunale di Rosignano Marittimo.
Perché oggi è necessario ricorrere a un progetto interattivo per presentare un’opera lirica? Non è più sufficiente la fruizione “tradizionale”?
Oggi è cambiato il contesto perché intere generazioni non sono state educate e avvicinate all’opera. Oggi le persone hanno bisogno di vivere sulla propria pelle le esperienze creative e culturali. Dobbiamo restituire il piacere di essere spettatori passando però da esperienze che facciano da ponte attraverso un lavoro nella quotidianità. L’opera lirica talvolta è vissuta come un luogo distante. Attraverso la progettazione culturale dobbiamo invece riaffermare che esiste un livello di fruizione che parte dalla sensibilità umana e che, se allenata, porta al riconoscimento di una forma di bellezza che esiste a prescindere dalle competenze individuali. Chi opera in campo culturale ha oggi a che fare con mutamenti antropologici e sociali profondi: per questo modi efficaci in passato ora non funzionano più.
Lungo questa linea di condivisione progettuale con la città, si muoverà anche la sua regia di Aida, in scena la prossima estate a Como. Ci presenta questo progetto?
Comunità è la parola chiave attorno a cui ruota il progetto comasco dove più di 250 cittadini saranno il coro di Aida. Mi è parsa subito evidente la necessità di progettare uno spettacolo visivamente capace di rivitalizzare un’opera importante, molto rappresentata, ma spesso poco compresa nella complessità dei personaggi e dei conflitti. Sarà uno spettacolo dove le dinamiche di chi muove alla guerra si oppongono alla fragilità e al punto di vista di Aida, che è un punto di vista pacifico. Il mondo attorno a lei è diviso fra potere religioso e militare, la storia individuale del singolo si scontra con la grande storia collettiva. È un tema caro a Verdi e alla sua visione storica di opposizione tra desideri privati e collettivi. Aida si muove in un ambiente geograficamente collocabile in area africana, qui il mondo occidentale trascolora. Siamo in un mondo dove l’origine si è persa e dove la stessa Aida si è in qualche modo dimenticata della sua provenienza. Lo scontro che avviene lontano dai nostri occhi di spettatore ha riverberi nel presente. Certo, sarà una Aida lontana dai bozzetti, ma vicina al testo del libretto capace di leggere le contraddizioni dei protagonisti e capace di porre domande. Una storia quindi antica e che pone il tema tragico dei vincitori e dei vinti e che accomuna nel sentimento amoroso gli uni e gli altri in una visione umanistica in cui Verdi comprende tutti gli individui in un unico sentimento amoroso che supera le barriere di identità e che si oppone alla legge dello scontro. In questo senso rifletto sull’attualità di Aida: quante Aide innamorate dei loro stessi carnefici solo perché appartenenti a culture diverse, a popoli diversi? Interessante quindi sarà lavorare con la comunità del coro comasco per costruire queste dinamiche e aiutarli a comprendere questa rappresentazione alla luce di un’analisi del presente. In fondo, penso che fare regia sia questo: costruire ponti fra il tempo e lo spazio, fra gli interpreti di oggi e gli autori di ieri, tentando di “sedurre” il pubblico del domani.
Partendo dal lavoro che sta facendo a Cecina, dove è direttore artistico del Teatro De Filippo, ci spiega cosa intende per teatro come mezzo di coesione sociale e dialogo fra le generazioni? Qual è la sua idea di teatro?
In questo risiede la mia idea di un teatro che costruisce ponti fra persone. Un teatro capace di abitare il cuore e la vita delle persone, allo stesso tempo anche luogo fisico accessibile ai servizi per i cittadini. Dirigere artisticamente un teatro significa porre contenuti e attivare processi culturali di condivisione e di superamento della marginalizzazione. Per me il teatro è uno straordinario strumento di miglioramento della vita, di educazione alla bellezza, di attivazione di una cittadinanza capace di leggere il tempo in cui vive. Il teatro non è il fine ma il mezzo per un’indagine dell’umano, una straordinaria strada per la costruzione di comunità più civili. Il lavoro a Cecina, il progetto “InOpera” a Rosignano, Aida a Como sono piccole utopie di bellezza che si muovono e che seminano attorno a loro altra bellezza.
Cosa significa fare la regia di un’opera lirica? Quali sono le fasi del suo lavoro quando si approccia a un’opera lirica?
Fare la regia di un’opera lirica è la straordinaria possibilità di coniugare, armonizzare e conoscere tanti segni che trovano una sintesi profonda nel momento della messa in scena. Lavorare e concepire la messa in scena di uno spettacolo mi dà la straordinaria percezione di essere al centro d’una macchina meravigliosa cui concorre il lavoro di tante persone, dagli interpreti ai tecnici, dall’orchestra al coro. Dirigere un’opera lirica è così entrare in una bottega magica piena di meravigliosi giochi che determinano l’esito finale. Il regista deve dominare i singoli linguaggi, conoscerne tempistiche e modalità esecutive. Studiare l’opera, il contesto in cui è nata, arricchirmi con letture critiche su di essa non solo teatrali ma anche musicologiche è per me fondamentale. Così come entrare nel merito dello studio della partitura della drammaturgia musicale. Essere in simbiosi col team per costruire la lettura dello spazio, dei costumi, delle luci. Si deve fare in modo di trovare una quadra matematica, come in un processo filosofico dove tutto occorre che torni.
Quale compositore si presta meglio ad essere declinato in chiave teatrale? C’è un’opera della quale le piacerebbe fare la regia e perché?
Non so dire se ci sia un compositore che più si presta a essere declinato in chiave teatrale. Ogni compositore ha una sua specificità. Ecco, questo imputo alle regie di oggi, la poca umiltà. Non siamo abbastanza umili da comprendere cosa ci chiede l’opera e il suo compositore. A me pare utile chiedermi oggi se sto interpretando quel compositore in una dialettica utile per me, se quel preciso libretto o compositore mi farà scoprire qualcosa di nuovo. Questa è una magnifica avventura che ti muta e cambia ogni volta. Allora mi concentro sulla forza dell’ascoltare, perché solo lì, nell’esperienza dell’ascolto, si arriva alla commozione e alla verità. Spero, prima o poi, di avvicinarmi ad Alban Berg e alla sua Lulu: per farmi percuotere dalla musica operistica di quel mondo che percepiva la fine di una epoca e sentiva un orizzonte di fuoco e armi che avrebbe caratterizzato interi decenni successivi.
Photo credit copertina: Barbara Rigon