Il mito ancestrale sul potere della musica in una delle sue metamorfosi napoletane. Orfeo di Nicola Antonio Porpora è uno dei titoli del 45° Festival della Valle d’Itria di Martina Franca, dedicato al tema “Napoli e l’Europa”, e andrà in scena in prima moderna venerdì 2 agosto, alle 21, nel cortile di Palazzo Ducale. La nuova produzione per la regia di Massimo Gasparon, con la direzione di George Petrou, ha come protagonista il controtenore Raffaele Pe. Secondo le abitudini dell’epoca, quello di Porpora in realtà è un pasticcio, ossia un insieme di brani di autori diversi, cuciti insieme da Porpora, che compose i recitativi e alcune arie, scegliendo anche le pagine di altri compositori (Hasse, Vinci, Araja, Veracini e Giacomelli). Andò in scena il 2 marzo 1736 al King’s Theatre Haymarket di Londra con un cast eccezionale, dove brillava la stella di Farinelli nei panni del protagonista. Lo spartito dell’opera è stato ricostruito dal giovane musicologo Giovanni Andrea Sechi, che già lo scorso anno curò per Martina Franca un altro pasticcio, il Rinaldo di Händel/Leo. Lo abbiamo intervistato.
Come nasce l’idea di studiare e poi mettere in scena l’Orfeo di Porpora?
Mi piace occuparmi di opere multiautoriali, quelle che in gergo definiamo pasticci, come per esempio Orfeo di Porpora. Le opere a più mani sono ricche di insidie. Risolvere le loro problematiche testuali ha quasi il sapore di una sfida. Nel caso di Orfeo mi ha spronato la scoperta di una nuova fonte musicale a Zurigo (grazie all’aiuto del collezionista Nicola Schneider), nonché l’identificazione dei compositori coinvolti nell’Orfeo. Aldilà del lavoro filologico, quando abbiamo pagine incantevoli come Orfeo, non è difficile trovare gli interpreti e i teatri interessati. Ho avuto la fortuna di incontrare degli interlocutori appassionati alla ricerca musicologica, come il controtenore Raffaele Pe.
Il mito di Orfeo è all’origine della storia della musica e dell’opera lirica. quali sono le caratteristiche e le maggiori qualità di questo lavoro? Come si differenzia rispetto ad altre più celebri versioni operistiche dello stesso mito?
Un punto di forza dell’Orfeo è la varietà stilistica: nella musica ritroveremo il calore della scuola napoletana, l’energia di Giacomelli e Veracini… Porpora assemblò una partitura dagli equilibri perfetti. Non si percepisce alcun calo di ispirazione nell’alternarsi tra brani scritti ex novo e “arie di baule” (quei cavalli di battaglia che gli interpreti portavano con sé da un’opera all’altra). Nel libretto, Paolo Antonio Rolli si ispirò alla versione più collaudata del mito di Orfeo, quella col finale lieto. Dopo esser sceso nell’Oltretomba, e aver ammansito Proserpina e Plutone col proprio canto, Orfeo ottiene Euridice e le nozze vengono finalmente celebrate. L’infedeltà di Aristeo (invaghito di Euridice), e l’ostinazione della sua promessa sposa Autonoe condiscono ulteriormente la vicenda.
Cosa significa la figura di Nicolò Porpora nella scuola napoletana e, più in generale, nella storia dell’opera barocca?
Porpora è una figura fondamentale nella storia della musica del Settecento. Non dimentichiamoci che fu il maestro di cantanti e compositori tra i più illustri di quel secolo come Carlo Broschi Farinelli, Franz Joseph Haydn. Tralasciando la didattica, ciò che ci resta di Porpora è un enorme corpus di composizioni, soprattutto musica operistica. Le sue opere influenzarono il gusto del pubblico e degli interpreti, le idee di compositori e teorici. Per comprendere la civiltà musicale del Settecento europeo dobbiamo necessariamente passare dalla riscoperta di Porpora.
Perché, secondo lei, assistiamo oggi a un revival del Barocco musicale?
In ambito italiano, fino a pochi decenni fa solo i musicologi e pochissimi interpreti erano impegnati nel recupero di questo repertorio. Il grande pubblico si è accostato nel tempo, grazie alla discografia e grazie al coraggio di tanti enti culturali. Il Festival della Valle d’Itria ha il merito di essere stato uno dei primi ad abbracciare questa missione. Vista la risposta positiva del pubblico, spero che anche altri teatri aprano al più presto la loro programmazione al repertorio barocco.
Questa per lei non è la prima collaborazione con il Festival della valle d’Itria: lo scorso anno ha curato la versione di Rinaldo di Händel/Leo. Ci sono altri progetti in programma? A cos’altro sta lavorando?
Il Te Deum di Giovanni Bononcini, che sarà riproposto per la prima volta in tempi moderni al Festival di Ambronay il prossimo 6 ottobre (Coro e Orchestra Ghislieri, diretti da Giulio Prandi). A novembre invece avrò un nuovo progetto concertistico con Kammerorchester Basel, Addio Amore! (arie e duetti sul tema della partenza). Con le voci di Olena Tokar e Terry Wey riscopriremo pagine di pregio di Nicolò Porpora, Johann Adolf Hasse, Tomaso Albinoni e Giovanni Porta. I primi concerti saranno a Basilea e ad Halle (Händel-Festspiele).