Si definisce un soprano drammatico di agilità. Silvia Dalla Benetta si prepara a debuttare in un’opera rara di Giacomo Mayerbeer al Rossini Festival di Wildbad, in Germania, e in autunno sarà Lady Macbeth nell’allestimento del capolavoro verdiano in scena nel circuito Opera Lombardia.
“Come drammatico d’agilità – ci spiega – ho un repertorio che comprende principalmente Verdi e Rossini: si tratta di un registro vocale particolarmente adatto al Rossini serio e al primo Verdi. Attualmente, ho in repertorio 15 titoli verdiani e altrettanti rossiniani. Rossini mi ha dato tante soddisfazioni in questi anni, persino nel ruolo che ho meno amato, la Faraona in Mosè in Egitto, che ho cantato anche nel rifacimento francese. Più studio Rossini e più lo amo, in particolare quello serio. Con Verdi sembra già tutto dichiarato: analizzando lo spartito, trovi tutto scritto, l’indicazione musicale sulla parola è perfetta. Una cosa meravigliosa. Rossini invece è meno scontato, più laborioso, mi stimola a scavare di più. Le agilità, ad esempio, che sono l’esplosione di un sentimento, ti spinge a farle non a macchinetta, ma a trovare la velocità giusta per esprimere la parola e l’intenzione”.
Come ha incontrato l’opera?
Per caso: nessuno, nella mia famiglia, amava l’opera. Vengo da studi artistici. È stato l’ascolto casuale, un giorno alla radio, di “Vissi d’arte” che mi ha fatto innamorare della lirica. E devo dire che mi sono innamorata prima di tutto delle parole, poi ho cominciato a cantarci sopra e un po’ alla volta è nata questa passione. Quell’aria mi parlava di una persona speciale della mia vita. Dicevo a me stessa: chi ha composto questo pezzo, lo ha fatto per lui.
Parliamo del suo percorso artistico.
Sono nata come soprano di coloratura e ho cantato tante volte Amina, Lucia, Adina e gli altri ruoli. Avvertivo tuttavia che quel repertorio mi stava un po’ stretto: possedevo l’agilità, gli acuti e i gravi, ma non sentivo di dare sfogo pieno alla mia voce. Ho così deciso di seguire l’andamento normale del mio strumento, senza mai forzare: ho lasciato passare qualche anno e ho preso in mano nuovi ruoli con una maggiore maturità tecnica. Così, nel 2005 ho debuttato Semiramide e poi, a seguire, opere come Faust, Ernani, Norma, fino a Nabucco e Aida.
Cosa significa per lei “soprano drammatico d’agilità”?
Rispondo con ciò che dice Leo Nucci a proposito della voce verdiana, ossia che non è altro che quella capace di restituire la famosa parola scenica: quell’accento drammatico che esprime sentimenti, emozioni, con un’interpretazione e un fraseggio che sono importantissimi. Lo stesso vale per il Rossini serio, che non è una gara di agilità, come spesso si pensa. Attraverso le agilità si definiscono le intenzioni del personaggio e le variazioni servono a chiarire o modificare tali intenzioni.
Parliamo dei suoi impegni al Festival di Wildbad.
Anzitutto, devo dire che questo Festival interamente dedicato al Cigno di Pesaro è stata in questi ultimi anni la vetrina principale delle mie interpretazioni rossiniane. Poi, proprio qui, nel 2017, in occasione di Zelmira ho incontrato il maestro Gianluigi Gelmetti, col quale mi trovo benissimo. Sarà lui a dirigere il Macbeth che canterò in autunno nei teatri del Circuito lombardo. Tornando a Wildbad, sono tra gli interpreti di Romilda e Costanza, la prima opera italiana di Meyerbeer, composta nel 1817 alla maniera rossiniana, dopo l’ascolto di Tancredi. Si tratta di un lavoro che presenta un tessuto musicale e strutturale piuttosto semplice, quindi c’è molto da lavorare sulle variazioni. Dal punto di vista vocale, è abbastanza impegnativa perché scritta sul passaggio e in acuto, con una tessitura un po’ scomoda. L’idea che mi sono fatta è che non sia all’altezza del modello. In realtà, finora di Meyerbeer ho cantato solo Gli Ugonotti che, sinceramente, non mi hanno fatto innamorare. A Wildbad canterò poi un concerto di arie alternative rossiniane, alcune delle quali mai eseguite in pubblico.
Il debutto successivo la vede alle prese con uno dei personaggi più affascinanti del repertorio verdiano, Lady Macbeth.
Ho già iniziato a studiarla. Sto facendo quello che il maestro Gelmetti mi ha consigliato di fare, ossia leggere Shakespeare per cogliere a fondo questo personaggio particolarissimo. Sto anche ascoltando tutte le grandi interpreti del ruolo, da Maria Callas ad Anna Netrebko, e ho studiato un po’ la figura della prima interprete, Marianna Barbieri-Nini. La considero una sorta di mia antenata perché mi ritrovo nel suo percorso artistico: anche lei, come me, proveniva dal Belcanto, ma poi ha affrontato opere come Nabucco, Ernani, Mosè in Egitto… Dal punto di vista vocale, la Lady richiede una tenuta notevole nel registro grave, ma poi anche una capacità di svettare in acuto: si pensi solo al re bemolle finale nella scena del sonnambulismo, emesso con un fil di voce.
Mi pare di capire che l’incontro con Gelmetti sia stato molto importante.
Sì. Mi ha insegnato a vivere il personaggio attraverso la musica in toto, rispettando alla lettera quello che Rossini voleva, ma rispettando anche le mie tempistiche. Soprattutto, ho imparato ad approfondire il fraseggio.
Come procede allo studio di nuove opere?
Mi piace leggere l’intera partitura perché è bello vedere cosa fanno tutti gli strumenti: non esiste solo la voce. Nella parte dell’orchestra trovi tantissime indicazioni, anche espressive, sulla strumentazione. Lo studio è fondamentale. Bisogna trovarne tanto, di tempo, perché quando si affronta un’opera bisogna guardarla sotto tutti gli aspetti. Cerco di trasmettere questo metodo anche ai miei allievi. Un cantante deve essere espressivo visivamente e poi rendere la parola cantata con il suono e il colore giusti, anche a costo di imbruttire i suoni. La perfezione, alla lunga, annoia. A mio avviso, c’è poi un forte legame tra arte e vita: ogni volta che interpreti un personaggio diverso, tiri fuori qualcosa del tuo vissuto o del tuo carattere. In un certo senso, metti la tua vita in piazza.
Lei ha studiato Norma con Renata Scotto. Cosa le ha lasciato questa cantante?
Sono arrivata da lei con in mano il suo cd di Norma. Dopo avermi ascoltata, ha detto: “Si sente che hai studiato sulla mia interpretazione. Cosa vuoi che ti dica? Se fai come facevo io, sei bravissima!”. Anche lei lavora tanto sulla pronuncia della parola, sulla pulizia, la chiarezza della parola, senza schiacciare i suoni per far arrivare piena la drammaticità.
C’è un ruolo che vorrebbe cantare e non ha ancora affrontato?
Più di uno: le regine donizettiane e Lucrezia Borgia. Con la vocalità che ho oggi, sono ruoli perfetti per la mia voce.