In scena in questi giorni al Teatro alla Scala nel ruolo di Floria Tosca, dopo essere subentrata ad Anna Netrebko (qui la recensione della recita del 7 dicembre), Saioa Hernández è il nuovo astro del teatro lirico internazionale. Il soprano madrileno ha debuttato nel segno di Bellini, con Imogene del Pirata e poi Norma, ruoli preparati con la supervisione di Montserrat Caballé. A questi si sono affiancati ben presto alcuni personaggi verdiani, fra cui Odabella nell’edizione di Attila che ha inaugurato la scorsa stagione del Piermarini. Alla Scala quest’anno, dopo Tosca, sarà Amelia del Ballo in maschera e poi la protagonista di Gioconda, l’opera di Ponchielli che ha coinciso con l’inizio della sua fama in Italia e nel resto d’Europa. L’abbiamo intervistata alla vigilia della sua seconda recita scaligera di Tosca.
Signora Hernández, in cosa la sua interpretazione di Floria Tosca differisce da quella di Anna Netrebko?
Questo lo deve dire il pubblico. Abbiamo fatto le stesse prove sotto la guida dello stesso regista, Davide Livermore, il pubblico vedrà le differenze dovute alla nostra diversa personalità. Ovviamente ciò si rifletterà anche nella realizzazione scenica, pur se la regia rimane la stessa.
La regia di Livermore è abbastanza fedele al libretto. A volte, però alcuni registi, per voler a tutti i costi attualizzare il soggetto, sconvolgono le precise indicazioni del compositore stravolgendone la drammaturgia. Lei cosa ne pensa?
Io amo che vi sia rispetto nei confronti della musica e del libretto. Questo non vuol dire che ci sia un solo modo di affrontare una regia. Ci possono essere diverse forme per esprimere il messaggio del compositore. Con Puccini è molto difficile perché lui scriveva tutto, anche le indicazioni sceniche. Credo, però, che a volte si possa trasmettere il messaggio principale di una partitura senza essere fedeli a tutti gli elementi presenti nel libretto. Spostando l’epoca, ad esempio, per concentrare l’attenzione del pubblico su qualcosa di importante e attuale. Se il regista vuole dedicarsi a un aspetto in particolare lo può anche fare, l’importante è che non vada contro la musica. Certe operazioni poco rispettose, invece, non mi piacciono.
Come definisce il suo tipo di vocalità? Soprano lirico spinto, drammatico di agilità?
Oggigiorno si è portati a etichettare tutto. Diventare specialista di un unico tipo di repertorio a me non piace. La mia estensione e il mio peso vocale mi permettono di affrontare in modo dignitoso diversi autori. L’importante è non saltare continuamente da un repertorio all’altro. Io ho cantato Gilda, Lucia di Lammermoor, Olympia, e l’ho potuto fare diversi anni fa, ma oggi non lo rifarei. Sembrerei una valchiria che canta Gilda. Scenicamente quel ruolo non mi si addice più. Tecnicamente lo potrei ancora affrontare. Ma il personaggio, il peso vocale, l’età stessa di Gilda sono tutti particolari che vanno valutati attentamente.
A suo avviso vi è compatibilità di tecnica fra i ruoli del Belcanto e quelli tardo verdiani o addirittura del Verismo?
Io penso che la tecnica sia una soltanto. Ci sono diversi metodi di canto, ma per me ne esiste solo uno: quello del Belcanto. Certo esistono diverse variabili, ad esempio quella del paese di provenienza. Che ti porta a un gusto particolare per diversi suoni. I paesi di lingua latina hanno caratteristiche che li accomunano. Io credo che con la tecnica del Belcanto si possa affrontare tutto il repertorio, poiché tutto il repertorio trae origine da lì. Anche il Verismo.
Come valuta la scelta di grandissimi cantanti, anche del recente passato quali Alfredo Kraus, Mirella Freni, di dedicarsi, nelle esecuzioni teatrali, a un ridotto numero di ruoli e a un limitato repertorio? Non crede che questo abbia conservato la loro salute vocale per molto tempo?
Non lo credo. Non penso che la scelta di limitare il proprio repertorio abbia prolungato la loro salute vocale. Abbiamo esempi di altri grandi cantanti che hanno spaziato in numerosi ruoli conservando la propria incredibile vocalità. La scelta giusta è quella di capire la propria voce. Capire i propri limiti e le proprie doti e scegliere un repertorio che si addice alle caratteristiche vocali e metta a risalto le qualità. Limitare il proprio repertorio a poche parti potrebbe essere anche uno spreco. È bello esplorare ruoli diversi. Importante è capire fin dove ci si può spingere.
Istintivamente a quale tipo di personaggi si sente più vicina?
Mi piacciono i personaggi che cantano molto nel corso dell’opera. Amo stare in scena. Gioconda, Lady Macbeth (ruolo che non volevo cantare e che ora invece amo moltissimo), Francesca da Rimini. Mi piacerebbe molto cantare Manon Lescaut. Sono ruoli protagonistici. Anche Norma mi affascina sempre. Sono parti nelle quali devi dare il massimo.
C’è un ruolo che le piacerebbe cantare, ma che sa non farà mai?
Rigoletto! (ride simpaticamente). Scherzi a parte, mi piacerebbe cantare Elvira dei Puritani, un ruolo che amo come Lucia, che canterei continuamente, ma che oggi non mi si addice più.
Ruoli da soprano drammatico di agilità dunque?
Sì, nei quali porrei l’accento più sul drammatico che sull’agilità.
Lei ha già cantato Olympia. Non l’affascinerebbe cantare le tre parti femminili dei Racconti di Hoffmann? Alla Scala, che io sappia, questo exploit è stato appannaggio della sola Virginia Zeani.
Sarebbe bellissimo. Olympia l’ho cantata, in tono e con tutte le variazioni, tanti anni fa a Barcellona. E ho accettato quella parte nella speranza di poter cantare un giorno tutti e tre i ruoli dei Racconti di Hoffmann.
Ascolta mai le incisioni dei grandi cantanti del passato?
Sì certo. Ascolto tutti i ruoli vocali. Ammiro molti cantanti del passato. E anche alcuni del presente.