Di tempra intensa quanto adamantina per intonazione e linea del canto, poeticissima per la rara nobiltà del fraseggio, mirabilmente a segno fra talento e tecnica, dizione, legati, fiati e filati. In pratica una voce “baciata dagli dèi”, come è stato giustamente scritto parlando del giovane e già celebre tenore Antonio Poli, fra i talenti di punta notati da Riccardo Muti e vantati in doppia battuta dalla prossima stagione del Teatro San Carlo di Napoli. Infatti, voce eccellente scelta tanto per l’apertura della programmazione concertistica (accanto a Eleonora Buratto, Veronica Simeoni e a Riccardo Zanellato) con il Requiem di Verdi diretto da Juraj Valčuha il 19 e 20 ottobre 2018, quanto in locandina lirica per il ruolo di Alfredo nella Traviata con la regia di Lorenzo Amato, nell’autunno 2019.
Nato a Viterbo trentadue anni fa, formatosi a Roma con Romualdo Savastano ma attualmente in fase di ulteriore perfezionamento con Paola Leolini, Antonio Poli inizia il proprio percorso artistico vincendo nel 2010 il primo premio e il premio del pubblico al prestigioso Concorso Internazionale “Hans Gabor Belvedere” di Vienna, distinguendosi al contempo entro il Progetto “Young Singers” del Festival di Salisburgo. È dunque del 2011 l’ampia acclamazione per il suo Conte di Almaviva nell’opera I due Figaro di Mercadante diretta (e anche incisa) da Riccardo Muti al Festival di Pentecoste con riprese al Ravenna Festival e al Teatro Real di Madrid. Quindi, nel giro di pochi anni, una brillante ascesa fra i massimi palcoscenici del mondo quali Staatsoper di Berlino, di Amburgo e Bayerische Staatsoper di Monaco, Royal Opera House Covent Garden e Festival di Glyndebourne, Opera di Graz e di Lipsia, New National Theatre di Tokyo, Chicago Lyric Opera. Inoltre, in Italia, Scala di Milano, San Carlo di Napoli, Fenice di Venezia, Opera di Roma, Comunale di Bologna, Filarmonico di Verona e Petruzzelli di Bari interpretando Alfredo, Nemorino, Edgardo, Fenton, Don Ottavio, Ferrando, Tamino, Rinuccio, Cassio, Ismaele, Malcom e Macduff. Non meno interessanti, poi, i suoi impegni in concerto, compresi fra il Magnificat di Bach alla Chicago Symphony e il Polish Requiem del polacco Krzysztof Penderecki ad Amburgo diretto dallo stesso compositore, passando per Stravinskij (Rossignol) e Čajkovskij (Iolanta) al Festival di Salisburgo, Gounod (Messe solennelle de Sainte-Cécile) al Musikverein di Vienna, Schubert (Messa in Fa maggiore) a Chicago, Rossini (Stabat Mater) al Festival Schleswig-Holstein, al Rheingau Festival, in Vaticano e al Duomo di Orvieto più un Mozart sacro (Requiem) diretto da Pappano al Parco della Musica di Roma.
In questi giorni, intanto, Antonio Poli sta preparando due nuovi, importanti debutti – il Duca di Mantova per il Rigoletto diretto da Daniel Oren in dicembre al “Verdi” di Salerno e, per il marzo 2019, Tito Vespasiano nella mozartiana Clemenza diretta da Federico Maria Sardelli al Maggio Musicale Fiorentino mentre, in prima linea nell’agenda fra agosto e settembre, svettano rispettivamente alla Konzerthaus di Berlino e a Tokyo i due titoli (Requiem e la Traviata ma nell’edizione romana di Sofia Coppola griffata Valentino) che a seguire anche il Lirico napoletano ospiterà.
A proposito di Verdi e del Teatro San Carlo, Lirico nel quale ha debuttato nel marzo 2016 cesellando un meraviglioso Fenton nel Falstaff firmato dall’ultimo Ronconi, quali saranno le peculiarità interpretative per il suo nuovo, duplice impegno?
Fenton ha consacrato il mio debutto a Napoli, esordio di cui sento ancora oggi la fortissima emozione per la bellezza del teatro, oltre che per l’estrema qualità della regia e del cast scelti per l’occasione. A maggiore ragione oggi, tornarvi con titoli così importanti, mi riempie di grande gioia. Amo Napoli, il pubblico napoletano e amo cantare il Requiem di Verdi, capolavoro a me fra i più vicini riuscendo a esprimere la potenza lirica accompagnata al contempo da tutti i piani e i pianissimi che la partitura richiede. È un capolavoro dalla forza incredibile. Con l’Alfredo per il San Carlo avrò invece la fortuna di toccare nel ruolo le circa 80 recite. Cerco sempre di evitare la routine ma di comprendere come la mia sensibilità attuale si adatta alle parole e alle emozioni. Ritengo infatti sia un’esperienza speciale poter interpretare amore, possesso, gelosia, innamoramento, rabbia, vergogna e paura sapendo che nel momento presente puoi viverle in modo diverso rispetto al passato e con intensità completamente nuova.
Facciamo qualche passo indietro: come ha conosciuto la lirica?
Attraverso un disco di Placido Domingo regalatomi da mio padre e che ho letteralmente consumato ascoltandolo dalla mattina alla sera. Non avevo nessuna idea di cosa fosse l’opera lirica, ma m’impressionò subito la qualità vocale e la musicalità di un simile, immenso artista, con il quale poi avrei avuto l’onore e il piacere di cantare.
Quindi come è iniziato il suo itinerario di formazione?
In realtà ho cominciato dalla musica leggera e studiando pianoforte in Conservatorio. Solo successivamente ho intrapreso lo studio del canto, privatamente e con vari insegnanti: ognuno di loro mi ha dato qualcosa, tante e diverse ricchezze che costituiscono un importante bagaglio didattico e umano. Da lì a poco tempo ho vinto concorsi nazionali, internazionali e, dopo un anno di formazione all’Opera di Dresda e al Festival di Salisburgo, è iniziata la mia carriera nei maggiori teatri del mondo.
Come definirebbe la sua voce?
Non amo molto definirla, nel senso che so che è di bella qualità e di bel colore, ma non ho mai pensato di fermarmi a tali dati per non limitare la possibilità di andare oltre, cioè di plasmarla per quello che si va a cantare e a interpretare, secondo me traguardo ancora più importante. Solo quando riesci a unire il tuo strumento con lo studio approfondito dello spartito e le emozioni del cuore allora, a parere mio, la voce diventa bella, nel senso più completo del termine.
Qual è attualmente la sua estensione?
Lavoro sempre da un sol basso a un re bemolle acuto. Anche se poi nel repertorio lirico non serve, comunque dà la possibilità alla muscolatura di abituarsi a uno stress maggiore e quindi di non avere problemi per dare il massimo in palcoscenico.
Quanto è importante “le physique du rôle” per un tenore che in genere ha la parte di “amoroso” in scena?
Oggi nel bene e nel male molto, forse troppo, direi. Nel senso che si sceglie un cantante quasi più per questo che per come canta. Certo, è importante, ma credo sia giusto non passare da un eccesso all’altro, il che vuol dire che naturalmente fa piacere vedere un bell’artista in palco, ma poi bisogna saper cantare. A ogni modo, diciamo pure che è una fortuna averlo questo benedetto phisique du rôle. Alfredo, per fare un esempio che mi riguarda molto da vicino, se c’è l’ha è teatralmente avvantaggiato.
Dai massimi autori del belcanto al Romanticismo ma anche Bach, Mozart e il Novecento storico e contemporaneo: quali sono i criteri con cui sceglie il repertorio?
Non credo esista una regola. Molti ti fanno iniziare cantando solo Mozart, sottovalutando, a mio parere, che per cantare bene un autore del genere bisogna avere una tecnica strabiliante, altrimenti si chiude la gola e la voce non cresce. Il repertorio dipende in ogni caso dalla voce che uno ha: è chiaro che un soprano drammatico non può subito cantare Turandot, ma neanche un repertorio super leggero. In assoluto, credo che il belcanto sia un’ottima scuola. Personalmente ho iniziato con tale stile e ogni tanto ho studiato un repertorio più lirico che mi dava la possibilità di espandere la mia vocalità. Oggi prediligo il repertorio lirico pieno, come in Rigoletto, Bohème, Traviata. E ancora, nel mio futuro, vedo un Verdi ulteriormente pieno, come per Luisa Miller o Ballo in maschera.
Quale compositore, attraverso il canto in partitura, le ha insegnato di più?
Sicuramente Verdi. È incredibile come questo immenso musicista riesca a collegare la parola scenica alla musica. Per questo, per eseguire Verdi, non bisogna fermarsi ai principi fondamentali del canto, e cioè il legato e il fraseggio, ma tenere presente il significato profondo della parola. Non a caso, Verdi odiava i “bravi cantanti”, perché esigeva gli artisti. Ed è proprio a Verdi che devo il lancio vero della mia carriera: prima Malcom diretto da Muti a Salisburgo, subito dopo Ismaele e Macduff. Infine Alfredo, in assoluto il ruolo che canto di più. Quindi diciamo pure… “Viva Verdi!”.
Quali sono i nomi, i titoli e i palcoscenici che hanno segnato per lei una svolta importante?
Il Maestro Riccardo Muti è stato il mio mentore assoluto. Mi ha insegnato a studiare veramente uno spartito, a fare Musica e Arte. Devo tanto a questo meraviglioso musicista con il quale spero di collaborare di nuovo presto. Quanto ai titoli, Traviata, Macbeth e Lucia di Lammermoor sono stati i titoli che mi hanno insegnato e segnato di più. Ogni scena, invece, ti insegna qualcosa. E ringrazio ogni teatro che mi ha invitato perché ciascun palcoscenico rappresenta un luogo unico, dove puoi provare te stesso.
Ci sono colleghi nel canto e direttori sul podio con i quali sente un feeling artistico speciale?
Sono molto amico di tanti artisti e direttori, in modi diversi. Mi piace soprattutto conoscere gli aspetti umani dei miei colleghi: condividiamo settimane, a volte più di un mese, un tempo importante durante il quale si ha il dovere di creare un legame per ottenere sinergia. È così che l’ambiente diventa magico come unica è l’arte che si crea insieme.
Ha regole per il canto e per la scena?
Studio, studio e studio! Mentre, in scena, dare il cuore e divertirsi. Se ti diverti, anche chi ti ascolta lo fa. E sprecare questa opportunità è pari a un oltraggio alla vita.
E modelli del passato o anche coevi di riferimento?
Placido Domingo è uno degli artisti ai quali mi sono ispirato, oltre a Gigli e a Tito Schipa. Gliene potrei elencare tantissimi perché ognuno ti dà quel qualcosa che ti consente di migliorare, ed ciò che lo contraddistingue.
Cosa ne apprezza in particolare?
Di Domingo, il colore brunito e l’immensa musicalità; di Gigli, la purezza vocale e allo stesso tempo la potenza quando serve mentre, di Schipa, la perfezione vocale.
Come definirebbe il suo carattere?
Sensibile. E molto curioso, perché adoro esplorare la parte umana delle persone, sia mia che degli altri.
Quando non canta cosa fa?
Mi piace leggere, meditare e conoscere me stesso. Anche se non canto, comunque studio molto.
E se non avesse fatto il cantante?
Avrei comunque fatto qualcosa che so avrei amato.
Chiudiamo con i suoi impegni futuri.
Oltre al Requiem di Verdi a Berlino e a Napoli, sarò in tournée in Giappone con La traviata, quindi Nabucco a Parigi, Lione e Vichy, i due debutti che ho tanto desiderato (Duca di Mantova e Tito), la citata Traviata a Napoli, ancora il Requiem a Dublino con il Maestro Mariotti e tante altre cose.
Ha desideri?
Essere felice.
Photo credit immagine di copertina: Schneider Photography