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Ho una casa nell’Oman – Intervista a Umberto Fanni

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“Ho una casa nell’Oman…”. Parafrasando Turandot, possiamo dire che Umberto Fanni, bresciano, già direttore artistico del Teatro Verdi di Trieste e dell’Arena di Verona, ha una gran bella “casa” in Oman. Si tratta della Rohm – Royal Opera House di Muscat, capitale del Sultanato sito nella penisola arabica, teatro del quale dal 2014 è direttore artistico e dall’anno successivo anche direttore generale. Una “casa”, questa, che per molti melomani è più un luogo mitico che geografico: inaugurata nel 2011 con la sontuosa Turandot firmata da Franco Zeffirelli per l’Arena di Verona, la Royal Opera House è un teatro moderno e funzionale, con un’acustica perfetta, oltre che un complesso architettonico di indiscutibile fascino per quel suo originale modo di coniugare le linee della tradizione araba con la creatività del design contemporaneo. Un teatro nato da una passione, quella del Sultano Qabus Bin Al Said, amatissimo dai suoi sudditi, educato in Europa e, a quanto pare, innamorato del melodramma. Non solo: cosa singolare e fondamentale, il sovrano è fermamente convinto del valore assoluto della cultura (e quindi della musica) nell’educazione del suo popolo. Proprio per questo ha voluto un teatro d’opera che ambisse ad essere annoverato tra i migliori nel mondo e ha chiamato a dirigerlo Umberto Fanni. Che ha messo in campo stagioni davvero importanti per il prestigio degli interpreti e degli allestimenti, con un pubblico sempre numeroso ed entusiasta.

Com’è lavorare in Oman?
Sono estremamente soddisfatto di questo mio impegno. Non si tratta solo di programmare grandi stagioni musicali, ma c’è anche un lavoro quotidiano di training che svolgo con il nostro personale omanita. Abbiamo 227 impiegati qui alla Rohm, il 73 per cento dei quali sono dell’Oman, un Paese giovane e dinamico, che ha una età media di 28 anni. Tutti coloro che lavorano qui sono giovani desiderosi di imparare questo mestiere. Per me lavorare e un po’ come essere a scuola: far crescere le persone nelle loro diverse professionalità è davvero stimolante. Un altro aspetto importante del mio lavoro risiede nel processo che ci porterà ad essere in pochi anni un vero e proprio teatro di produzione: a tale scopo, da due anni abbiamo avviato delle coproduzioni con importanti teatri nel mondo.

Come si articola questo impegno per arrivare ad essere teatro di produzione?
Il processo di produzione è complesso e riguarda tutti i generi dello spettacolo, anche perché il concerto o il balletto di musica araba presentano le stesse difficoltà organizzative di un concerto o di un balletto occidentale. L’impegno più grande è formare il personale. Stanno prendendo forma proprio in questi mesi i vari settori della produzione: costumi, attrezzeria e abbiamo avviato anche il settore scenografie. I nostri dipendenti lavorano con colleghi già esperti e partecipano a stage in teatri internazionali. La novità più importante per noi è che tutto questo processo verrà strutturato in modo sistematico con l’apertura del nuovo teatro che sarà inaugurato entro il 2020, anno in cui l’Oman festeggia il suo 50 compleanno. Sarà un centro culturale, un teatro della comunità, con 560 posti, la buca per l’orchestra e costituirà un hub culturale importantissimo con la Rohm e con Opera galleria (il centro commerciale collegato all’Opera, ndr).

Cosa succederà in questo nuovo complesso?
Molto più di quanto facciamo oggi: ci saranno spazi per grandi mostre temporanee legate al tema della stagione, un’esposizione permanente sulla musica del mondo, da est a ovest, nonché una biblioteca musicale interattiva internazionale. Un ulteriore sviluppo del progetto è legato alla programmazione: in questa nuova sala, anche in ragione delle sue dimensioni, faremo le opere del barocco e del primo classicismo mozartiano, musica da camera, musica araba. Produrremo tanti eventi per le famiglie e le scuole.
Infine, investiremo di più sulla formazione in tre settori: il canto, lo studio degli strumenti e i mestieri dello spettacolo. Qui, in particolare, intendiamo spendere le professionalità acquisite dai nostri dipendenti in questi anni.

Com’è la risposta del pubblico alla programmazione della Rohm?
In quasi quattro anni, da quando sono direttore artistico, la sala è passata dal 52 per cento di occupazione al 94 per cento dell’ultima stagione. Nel pubblico, ci sono persone provenienti da 82 nazioni diverse; abbiamo incrementata del 21 per cento il pubblico arabo che viene all’opera: si tratta di persone che provengono da tutti i Paesi del Golfo, qui appositamente qui per l’opera, un fatto per certi versi sorprendente. Questo, forse grazie anche alla nostra politica sul costo dei biglietti, che sono decisamente accessibili, dal momento che vanno dai 10 ai 160 euro.

Cosa significa per lei, italiano, portare un genere musicale come l’opera lirica in un Paese e in un contesto culturale così diversi dal nostro?
Una grande sfida, dalla quale sto imparando moltissimo. Portare l’opera in un luogo dove cinquant’anni fa c’era solo deserto, in un teatro come la Rohm, tra i più belli al mondo esteticamente e acusticamente, è qualcosa che ti fa dimenticare cosa sia l’abitudine, come se scoprissi qualcosa di nuovo ogni giorno. Ci sono sempre novità, stimoli e un grande interesse.

Lo ha sottolineato bene alla conferenza stampa di presentazione della nuova stagione anche il principe Sayyd Kamil Mahmood Al-Said, che siede nel Cda del teatro in rappresentanza del Sultano.
Le sue parole appassionate sul valore della musica e della cultura mi trovano assolutamente d’accordo.

Parliamo della nuova stagione. Quali le linee guida della programmazione artistica?
I pilastri della nostra programmazione sono due: la musica occidentale e la musica araba. Questo perché siamo comunque un teatro situato in un contesto arabo e vogliamo diventare un riferimento per tale importante tradizione musicale e culturale. Il tema di questa stagione sarà il viaggio nel mondo, grazie alla musica. Come si nota, la nostra è una programmazione varia. C’è anche il pop di qualità: fa parte sempre della visione di cui sopra. Questo teatro nasce certamente per l’opera e la classica, ma il concetto è di aprire le braccia per raccogliere quello che accade al di fuori dei nostri confini, mettendo a confronto diversi generi musicali, creando quei famosi ponti essenziali per comunicare tra mondi differenti e lontani, usando forse l’unico linguaggio comprensibile a tutti, la musica. Sono sempre più convinto che se c’è un problema di grandi conflitti nel mondo, molto parte dalla incomprensione del linguaggio parlato: la fisicità e la musica sono importanti elementi di partenza per la comunicazione. Dovremmo forse stare più in silenzio.

Entriamo nel merito della stagione 2018 – 2019.
Inauguriamo in settembre con il ritorno di un amico, Placido Domingo, impegnato in un concerto dedicato alla Zarzuelas. Non mancano altre stelle del Belcanto in recital: Juan Diego Flórez con il giovane e brillante soprano egiziano Fatma Said, Vittorio Grigolo, Kristine Opolais con la European Union Youth Orchestra. Sul fronte operistico, abbiamo sei titoli in cartellone, tre dei quali in coproduzione con importanti istituzioni internazionali (in conferenza stampa c’erano Cecilia Gasdia per la Fondazione Arena di Verona e Ernesto Palacio per il Rossini Opera Festival, ndr). Tra questi, ricordo in particolare la nuova produzione di Lakmé di Delibes, per la regia di Davide Livermore (anche lui presente a Muscat per la conferenza stampa, ndr) che nasce con la Rohm capofila e la collaborazione dei teatri di Roma, Los Angeles, Genova, Verona, Astana, Cairo, Shangai, Sidney, Pechino: una rappresentazione plastica dell’idea del viaggio intorno al mondo. Questa Lakmé, che debutta qui a Muscat nel marzo 2019, farà poi una tournée nel mondo che finirà solo nel 2026.

Non mancano altri nomi importanti della sinfonica e del balletto.
Si: ricordo Valery Gergiev con l’orchestra del Mariinsky per Principe Igor di Borodin un concerto dedicato a Prokofiev e Stravinskji. Poi, la Terza Sinfonia di Mahler con la Slovak Philarmonic Orchestra. Tanti i balletti e tante anche le stelle di altri generi musicali, dal jazz (ci sono, tra gli altri, Chuco Valdes e Sarah Jane Morris) al fado, passando per un concerto di Zucchero, sino ai tanti progetti per i più piccoli: lo scorso anno, hanno partecipato oltre 7800 bambini e ragazzi.

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