Nato a Palermo nel 1985, dopo aver preso parte ad alcune produzioni del Teatro Massimo come danzatore e mimo, Roberto Catalano inizia a muovere i primi passi nel mondo della regia dal 2002, scrivendo e dirigendo i propri spettacoli, quali Ad occhi chiusi, Noel, Il paradiso di pietra e La quarta notte. Nel corso degli anni, in veste di assistente, affianca registi come Daniele Abbado, Francesco Micheli, Saverio Marconi e, soprattutto, Andrea Cigni, lavorando a diverse produzioni. Nel 2012 firma la regia di Pollicino di Hans Werner Henze al Massimo di Palermo; nel 2014 vince il concorso indetto dal festival “Orizzonti d’Arte” di Chiusi, curando l’allestimento del dittico Pierrot Lunaire di Arnold Schönberg e Gianni Schicchi di Puccini. Seguono, nel 2016, L’elisir d’amore a Beirut e Il barbiere di Siviglia a Parma, nel 2017 Madama Butterfly per AsLiCo e, al Festival Monteverdi di Cremona, Il ballo delle ingrate e Il combattimento di Tancredi e Clorinda. In questi giorni è al lavoro al Teatro Sociale di Bergamo, come regista al Donizetti Opera di un dittico insolito, la farsa per musica di Giovanni Simone Mayr Che originali! e la scena lirica in un atto di Donizetti Pigmalione, (recite il 25 novembre, l’1 e il 3 dicembre).
Una bella sfida debuttare al Donizetti Opera con due rarità come Che originali! e Pigmalione. Come sta vivendo quest’esperienza?
Una sfida che ci ha portati a metterci in discussione ad ogni passo, dialogando con un teatro che ci ha permesso di sentirci “a casa”: questo festival ti accoglie, ti accompagna al debutto con discrezione e immensa professionalità.Si è trattato di un lavoro di squadra e solo in parte riguarda me. Ho l’onore di poter collaborare con due giovani talenti come Emanuele Sinisi e Ilaria Ariemme, rispettivamente scenografo e costumista. Non ci sarebbe spettacolo senza un dialogo continuo con entrambi. Scene e costumi raccontano esattamente tanto quanto il gesto di un cantante: è per questo che il percorso, dalle prime intuizioni alla fase esecutiva, lo si affronta insieme.In questi giorni piuttosto intensi sono stato circondato da un cast di eccellenze che ha sposato il nostro progetto con entusiasmo, per noi è stata una continua scoperta. Lavorare condividendo le idee e arricchendole col contributo degli altri ti consente di crescere e di imparare le infinite sfaccettature di questo lavoro. Che originali! e Pigmalione sono due titoli desueti ma sorprendenti sotto tanti aspetti. La sfida, oltre che misurarsi con una realtà prestigiosa come il Donizetti Festival, è stata quella di affondare in queste due storie in parte sconosciute per ascoltare cosa avevano da dirci.
Musicalmente e drammaturgicamente parlando, cosa deve aspettarsi il pubblico da questi due titoli desueti?
Le trame appaiono semplici ma, in realtà, nascondono dinamiche sorprendenti. I personaggi sono attualissimi, ci parlano come se queste storie pulsassero ancora oggi. Che originali! è la storia di una famiglia arricchita capeggiata da Don Febeo, uomo affetto da un amore maniacale per la musica. La sua ossessione costringe le figlie a ripiegare le loro vite in altrettante “ossessioni” che possano in parte liberarle dall’ingombrante presenza del padre. Pigmalione, invece, racconta la vicenda dell’uomo/artista che forgia la propria idea di amore, modellando la statua di una donna che sarà destinata a diventare “umana” grazie all’intervento di Venere. Stupisce pensare che Donizetti l’abbia composta a 19 anni. La partitura, sebbene pensata non per una messa in scena, si presenta intrisa di spunti drammaturgici potenti che ci hanno aiutato sia in fase progettuale, che in fase esecutiva, a cercare la rotondità di un personaggio che potesse esprimere al meglio questi 30 minuti di musica intensa e affascinante.
Che chiave di lettura ha scelto per affrontarli?
Ciò che mi interessa raccontare sono gli uomini e i sentimenti. Al di là delle trame e degli intrecci, i sentimenti resistono e sono riconoscibili sempre, in qualunque tempo.Ecco perché abbiamo deciso di legare intimamente queste due storie concentrandoci su Febeo e Pigmalione, immaginandoli l’uno il superamento dell’altro. Febeo è un novello Narciso, antepone se stesso e le proprie ossessioni alle esigenze degli altri, non sa ascoltare gli affetti familiari ed è incapace di reagire alle sofferenze delle figlie. Pigmalione, invece, è un artista solitario disilluso nei confronti del genere umano, non può trovare negli uomini un’ispirazione al fine di rintracciare la vera autenticità. Nello spettacolo si vedranno rimandi a Lucio Fontana, ai suoi celeberrimi tagli e, per quanto riguarda i costumi, a Wes Anderson ed Elsa Schiaparelli.
Lei ha già curato la regia de L’elisir d’amore a Beirut, nel 2016. Che cosa si prova ad allestire un titolo donizettiano proprio nella città natale del compositore?
Lusinga e riempie di responsabilità; Pigmalione, poi, è la sua prima composizione. Da lì, la sua storia ha avuto inizio ed è interessante immaginare che il soggetto, anche rispetto a Mayr e al valore che questi ha avuto per lui, sia stato proprio il mito di Pigmalione. La combinazione con Che originali! non poteva dunque prescindere da un legame, da un filo che attraversasse entrambe le storie facendole diventare una soltanto: secondo il nostro obiettivo, Mayr e Donizetti dovevano ritrovarsi. Allestire un titolo donizettiano a pochi metri dalla casa dove Donizetti è nato fa un bellissimo effetto: ti senti più vicino a questa musica, la vivi nel profondo, entri in rapporto simbiotico con ciò che racconti e questo aiuta a muoversi fra ciò che di “vivo” si nasconde fra le note stesse.Beirut è stata un’esperienza indimenticabile. Ricordo perfettamente gli occhi dei giovani ragazzi del coro, pieni di tutta quella meraviglia che tutti noi che abbiamo la fortuna di fare questo lavoro dovremmo sempre avere. Ogni storia, a suo modo, racconta dei sentimenti. E i sentimenti non passano. Le idee sì. Ma i sentimenti mai. L’Opera è portatrice sana di sentimenti. Sono quelli che la rendono immortale. Sono quelli che ci permettono di poterla raccontare a chiunque e di poterla fare amare ovunque.
C’è un’opera che vorrebbe più di tutte mettere in scena? Se sì, per quale motivo?
La bohème. È stata la prima opera che ho visto. Quando ero piccolo, avrò avuto più o meno 6 anni, passavo i pomeriggi a casa di mia nonna. Lei aveva una boutique dove le cantanti che nei primi anni Novanta transitavano dal Teatro Politeama (erano i tempi della lunga chiusura del teatro Massimo) acquistavano abiti in vista delle “prime”. Succedeva spesso di ricevere in regalo qualche biglietto: uno di questi fu proprio La bohème. Non dimenticherò mai quel pomeriggio e anche oggi, se ne parlo o la ascolto, ritorno a quel momento, con gli occhi pieni di meraviglia, pronto a farmi investire ancora un volta dal buio, dal profumo di velluto, da quella musica che mi ha poi portato a non poterne più fare a meno. La fascinazione che tutt’ora mi porta a meravigliarmi del buio della sala e dell’orchestra che accorda, nasce da lì: dalla prima impressione avuta da bambino. Bohème per me è questo: meraviglia autentica, la prima sorpresa legata alla bellezza. Nel 2016 ho avuto la fortuna di poterla ripensare e raccontare a un pubblico di adolescenti, con il progetto OperaIt voluto da AsLiCo: i ragazzi sono stati incredibili, quella musica è capace davvero di grandi cose. Il sogno ora è di poterla raccontare integralmente. Nel frattempo, di tanto in tanto, torno ad ascoltarla, per ricordarmi di tutta quella meraviglia che muove il lavoro che faccio.
Ci parli dei suoi impegni futuri.
Dopo Madama Butterfly, tornerò a Como per la XIII Edizione di Pocket Opera: quest’anno faremo La traviata. AsLiCo è una realtà meravigliosa che ti permette di sperimentarti e di conoscerti, siamo felicissimi di ritornare. Successivamente sarò al Teatro Massimo di Palermo per La serva padrona “reinventata” e “riscritta”. Un’operazione che mi diverte e mi porta ad entrare ancora di più in contatto coi personaggi “vivi” di questa signora apparentemente anziana chiamata Opera.