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La musica mi ha divorato la vita – Intervista ad Anna Caterina Antonacci

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Artista poliedrica e intensa, Anna Caterina Antonacci sfugge alle definizioni vocali, attraversando tutto il repertorio di soprano e di mezzosoprano da Monteverdi fino al Novecento di Britten e alla contemporaneità di Tutino. Se si aggiunge il repertorio concertistico, con piano solo o con orchestra, si arriva quasi a completare l’universo creativo di una donna dedita allo studio e alla ricerca artistica e fulcro di interessanti progetti culturali, come i raffinati programmi in collaborazione con l’Accademia degli Astrusi. Il 14 ottobre inaugurerà la stagione della IUC a Roma, città in cui tornerà di nuovo in dicembre per La voix humaine di Poulenc, titolo con cui è già stata acclamata in Italia e all’estero.

Il programma del concerto con cui si inaugura la stagione della IUC è molto ricercato, richiede studio non solo vocale ma anche storico per non tradire lo spirito del tempo, senza però cadere in una fredda filologia. In che modo si è avvicinata a questo repertorio?
Con Federico Ferri e gli Astrusi collaboro già da diversi anni e nella scelta dei programmi confidiamo nel musicologo Francesco Lora, studioso e appassionato esperto della musica in Emilia nel Seicento. Grazie a loro ho conosciuto l’opera di Perti e Colonna, che ovviamente ignoravo. Questi due autori sono stati già al centro di un programma precedente, molto interessante. Questa volta l’idea gira intorno a Gerusalemme, la liturgia delle tenebre delle lamentazioni di Geremia di Colonna, poi la maga Armide coi suoi prigionieri cristiani e infine il Combattimento di Monteverdi. Tutti episodi che hanno anche in comune una grande teatralità e drammaticità espressiva.

Nella sua carriera sta attraversando la storia dell’opera, interpretando musiche di numerosi compositori, ma c’è un periodo di elezione o un compositore in particolare, che lei ritiene assolutamente adatto per la sua vocalità?
Ho sempre avuto periodi e compositori d’elezione, ma che sono cambiati seguendo la mia evoluzione vocale, personale e artistica: Rossini e Monteverdi all’inizio, Gluck e Mozart, poi il repertorio francese da Berlioz a Fauré e Poulenc in questi ultimi tredici anni e adesso Hindemith, e Britten. Pur cambiando tuttavia, continuo ad amarli tutti, come le città e le case in cui ho vissuto.

Ha sempre mantenuto un rapporto equo fra opera e concertistica o c’è una dimensione preferita?
Ho scoperto già nei primi anni della carriera che il concerto col pianoforte mi interessava non meno dell’opera, perché consisteva anche nell’invenzione del programma, nella scelta dei testi da interpretare per il pubblico e dell’ordine da dare ai pezzi, per mantenere vivi l’attenzione e l’interesse. Ma anche il repertorio dei concerti con l’orchestra mi piace immensamente, Ravel, Chausson, Poulenc, Berlioz, Martucci, Wagner. Sono tre dimensioni ugualmente gratificanti e fra le quali continuo a dividermi con gioia.

Quanto conta la drammaturgia di un ruolo rispetto alla vocalità, nelle sue scelte?
È essenziale, non accetto evidentemente un ruolo al di là delle mie possibilità vocali, né un personaggio che non mi parli o a cui non mi pare di poter dare niente.

La sua professione richiede molti sacrifici, in termini di salvaguardia personale, di difficoltà nei rapporti con la famiglia e con gli amici e anche di equilibrio emotivo: ce n’è qualcuno che ha avuto un peso maggiore di altri?
Soprattutto è stata una passione che ha divorato la mia vita e il mio tempo, che è passato in un soffio. Ne sarà valsa la pena? Non so dirlo.

Fra i suoi prossimi impegni c’è molto teatro del Novecento: La voix humaine di Poulenc e Il segreto di Susanna di Wolf-Ferrari, ma anche repertorio contemporaneo come La ciociara di Tutino. Crede che l’opera, come genere di spettacolo vivo e non semplicemente come repertorio, abbia ancora strade da seguire?
Le opere di Tutino sono giustamente uno spettacolo vivissimo e toccano il pubblico attuale molto profondamente, per la qualità “umana” della sua musica, e per la bellezza, l’attualità, la modernità delle storie che sceglie di raccontare. Sia in Vita che nella Ciociara mi sono davvero sentita di parlare un linguaggio nuovo al pubblico dell’opera. Credo che bisognerebbe accettare di affiancare questo nuovo repertorio a quello classico, come si fa nella danza, nel teatro di prosa o in letteratura.

Fra i suoi ruoli c’è quello di Elisabetta I che ha cantato sia per Rossini, sia per Donizetti e ora per Britten in Gloriana al Teatro Real di Madrid: come è maturata l’interpretazione in questo personaggio attraverso vocalità così diverse? Pensa sia un percorso esemplare anche per la storia della sua voce?
Non ci avevo pensato in questi termini, ma in effetti perché no? Con quella donizettiana e schilleriana ebbi il primo colpo di fulmine per il mestiere dell’attore, oltreché della cantante, grazie alla regia geniale di Gabriele Lavia. Ora, 30 anni dopo, fremo d’aspettativa per questa nuova Elisabetta di Britten, con David Mcvicar. L’opera è sublime di sottigliezza e intelligenza, prego di essere all’altezza delle difficoltà vocali e musicali, perché è un assoluto privilegio poterla interpretare.

Quando non è impegnata con il lavoro, come passa il suo tempo?
Ho tante passioni, neglette per mancanza di tempo, come la bicicletta, o a causa di catastrofi naturali, come l’olivicoltura stroncata dalla Xylella, che mi ha seccato tutti gli ulivi. Poi c’è la lettura: devo cominciare a selezionare seriamente perché il tempo stringe. Infine il cinema, vado a vedere tutto il possibile.

 

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