Incontro Rosa Feola sotto i pini di Roma, fra le rovine delle antiche Terme di Caracalla, immersi in uno dei rari momenti di frescura di un luglio torrido, al tramonto. Rosa, sorridente, scherzosa e amichevolissima, mi racconta la sua vita fatta di musica, tenacia e dedizione, in attesa di truccarsi per interpretare Micaela nella Carmen.
Qual è stata la prima esperienza emotivamente coinvolgente della sua carriera?
Il viaggio a Reims che ho cantato a Santa Cecilia diretta da Kent Nagano. È stata la prima esperienza importante che mi ha permesso di lavorare con colleghi affermati ed eccezionalmente bravi. Avevo preparato il ruolo – Corinna – mentre frequentavo i corsi dell’Opera Studio e lo avevo cantato talmente tante volte che avrei potuto eseguirlo anche a testa in giù. Condividere il palco con Daniela Barcellona, Paolo Bordogna e tutti gli altri eccellenti interpreti era elettrizzante, mi rendevo conto del grande privilegio che avevo e ne ero felice.
Evidentemente lo aveva conquistato, non crede?
Ho un carattere tenace e non mollo facilmente, per cui sì, da questo punto di vista possiamo considerarlo una conquista, ma credo che sia giusto e corretto sempre ringraziare chi ci permette di arrivare a questi traguardi. In quel caso è stato grazie a Renata Scotto, ad Anna Vandi e a Cesare Scarton che erano allora i docenti dei corsi Opera Studio di Santa Cecilia e quindi, naturalmente, anche a Bruno Cagli che ne era il sostenitore. Mi hanno permesso di arrivare alla produzione molto preparata e questo metodo non mi abbandona.
Come è iniziata l’avventura con l’Opera Studio?
Allora ero appena diplomata e ancora indecisa sul mio futuro universitario, così Sergio, che oggi è mio marito (il baritono Sergio Vitale, ndr), mi ha suggerito questi corsi. Mi sono presentata all’audizione con l’aria della Semiramide. La signora Scotto mi ha accolto con grande simpatia e abbiamo lavorato sodo. Grazie a questi corsi ho avuto l’occasione di cantare al Parco della Musica, in diverse occasioni, e poi al Reate Festival e in altri ambiti sempre a ottimi livelli: è stato un bell’inizio per la mia carriera.
Come prepara i suoi ruoli?
Con tanto studio. Come ho detto, bisogna essere pronti al 100% per poi rendere magari all’80%. È naturale, ci sono delle incognite quando si affronta una nuova produzione, perché un regista o un direttore può mettere in crisi la visione che un interprete ha del personaggio. Tanto più è necessario essere preparati. Ma mai rigidi, mai respingenti. L’opera è uno spettacolo in cui si collabora tutti insieme per la resa migliore, musicale e scenica. Siamo tutti importanti: dai protagonisti agli addetti della sartoria. Penso che questa sia la chiave per lavorare sempre al meglio: rispetto per il lavoro altrui, comprensione dell’altro, collaborazione e tanta preparazione.
Quali momenti del suo percorso le sono rimasti più nella memoria?
Ho avuto la fortuna di lavorare con artisti incredibili e dovrei citarne tanti. Anche se due mi hanno segnato in maniera particolare: l’incontro con Riccardo Muti e quello con Damiano Michieletto. Con il primo abbiamo collaborato più volte insieme. L’opera più interessante è stata I due Figaro di Mercadante: l’abbiamo preparata, portata in teatro e anche incisa. È nata subito una grande intesa musicale e ho imparato naturalmente moltissimo dallo studio con il Maestro Muti. E poi un incontro altrettanto incisivo è stato quello con Damiano Michieletto nelle Nozze di Figaro, che ho cantato in molte altre occasioni, ma lì, alla Fenice, la produzione era impegnativa. Non riuscivo a capire bene come sviluppare il personaggio, non ero soddisfatta del mio lavoro. In recita tutto è andato per il meglio, ma avevo ancora dei conti in sospeso con quella particolare interpretazione del ruolo di Susanna, fuori dai soliti schemi. Quando ho ripreso la produzione successivamente, era passato un po’ di tempo, mi sono accorta che tutte le domande che ancora mi rincorrevano avevano trovato le risposte giuste, i nodi si erano sciolti e sono riuscita a concludere le recite pienamente appagata e grata per quella esperienza.
È stato emozionante debuttare in Scala con La gazza ladra?
La Scala è un teatro importante per un cantante lirico, un simbolo. Durante la prima prova in palco, era una prova di regia, dovevo arrivare dal fondo mentre l’orchestra avrebbe eseguito l’introduzione e mi mi sono venute le lacrime agli occhi per l’emozione. Poi però è passata. Se no non si va in scena.
Che debutti l’aspettano?
Qui a Caracalla porto Micaela per la prima volta in questa produzione nuova, ma il ruolo lo avevo già debuttato a Berlino. Invece debutti importanti saranno Sonnambula e Lucia di Lammermoor. La prima la canterò in Oman con l’Arena di Verona e la regia di Hugo de Ana, l’altra a Basilea. Poi porterò Gilda in nuovi teatri: prima a Chicago, a Monaco e infine, ma guardiamo lontano, al Met. E poi chissà…
Come passa il tempo libero?
Fra lo studio, gli spostamenti e le produzioni non c’è mai tantissimo tempo libero. Ma quello che riusciamo a ritagliarci con Sergio, anche lui come me impegnato in produzioni spesso in altre città, è dedicato ai viaggi, alla famiglia, cui entrambi siamo molto legati, e agli amici.
Ha una passione che non riguarda il teatro?
Adoro cucinare. L’altro ieri ho fatto delle confetture fantastiche.
Il tempo a disposizione è finito, la chiamano in sala trucco. Mi sorride e ci avviamo, parlando di India, di lezioni di cucina, del Gange e delle cerimonie indù.