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Mariella Devia – L’intervista

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Carriera di grande prestigio e apparentemente interminabile, il soprano ligure Mariella Devia calca professionalmente le scene internazionali da oltre quarant’anni, da quando vinse a Treviso nel 1973 il concorso “Toti Dal Monte” per debuttare come protagonista nella Lucia di Lammermoor di Donizetti, opera d’elezione alla quale il suo nome è strettamente legato. Da allora ha lasciato per strada molte celebrate colleghe che hanno invece conosciuto un precoce logoramento vocale, continuando ad aggiungere nuove eroine alle tante, cui ha dato il suo inconfondibile timbro, morbido e vellutato, con un controllo rigoroso del fiato.

A cosa si deve una così ammirevole longevità vocale?

Il segreto è lo studio costante. Non si può vivere di rendita, ma come un atleta ci si deve esercitare quasi ogni giorno.

E la fortuna?

Sì, ci vuole anche un po’ di fortuna. Ho avuto un’unica insegnante con la quale ho cominciato a prendere lezioni a Milano, seguendola poi al conservatorio di Roma. Non ho avuto bisogno di cambiare, come capita a molti giovani, che nel loro percorso incontrano tante persone dalle quali magari prendono solo i difetti. Mai dar retta a tutti! Certo, poi ho continuato a lavorare su me stessa. Fondamentale è stato l’incontro con mio marito (il trombettista Sandro Verzari, prematuramente scomparso, ndr): abbiamo studiato assieme, con il rigore tipico degli strumentisti. È stato importante avere un orecchio esterno, ascoltarsi a vicenda e ricevere un consiglio disinteressato e sincero.

Decisiva è la scelta del repertorio.

È fondamentale. Mai fare scelte premature. La mia prima Traviata completa l’ho cantata a Genova nel 1995, mentre per Norma ho atteso fino al 2013. Ci ho pensato a lungo. Si tratta di opere per le quali ci sono molte pietre di paragone e ho aspettato pertanto che la voce fosse matura. Per quanto riguarda il personaggio di Norma, che in questi giorni sto proponendo al Teatro La Fenice, prima di accettare ho voluto essere sicura che i duetti fossero cantati in tono, senza abbassamenti. Bisogna anche aggiungere che i gusti cambiano e si possono proporre nel tempo letture diverse.

Lei vive a Roma. Qual è il suo rapporto con Chiusavecchia, suo luogo d’origine?

Le mie radici sono liguri e appena posso torno sempre nella mia terra. Poi per motivi professionali mi sono trasferita a Roma. Lì lavorava anche mio marito, che era però viterbese. L’unica vera romana è mia figlia, che lavora in Rai come regista.

Nella sua lunga carriera ha visto tante colleghe affermarsi velocemente, magari poi per declinare in fretta. C’è mai stata rivalità o competizione tra prime donne?

Non so. Chi sono? Non ho avuto mai il tempo di pensare al confronto. C’è spazio per tutti.

Che cosa c’è ancora nel suo futuro artistico?

Di sicuro canterò ancora un anno. Ho preso degli impegni. Poi si vedrà.

Dobbiamo aspettarci nuovi debutti?

No. Adesso non aggiungo più nuovi personaggi. Ho lasciato opere come Lucia di Lammermoor, Puritani o Sonnambula. Ora ci sono Norma, Lucrezia Borgia e Roberto Devereux. Il personaggio di Elisabetta I, protagonista di quest’ultimo titolo, mi è molto caro. Quando fa giustiziare Devereux, Elisabetta è una donna della mia età.

Ha un ricordo personale di Daniela Dessì, purtroppo precocemente scomparsa?

Oltre ad aver preso parte insieme a lei ad alcuni concerti, negli anni ottanta abbiamo cantato nella stessa opera, Adriano in Siria di Pergolesi. Daniela era Sabina mentre io avevo un ruolo en travesti, l’unico della mia carriera, quello di Farnaspe. La ricordo come una persona buona, una grande artista con una voce straordinaria.

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