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Artisti all’Opera – Francesco Hayez, Verdi e I vespri siciliani

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Come già evidenziato in due appuntamenti precedenti della nostra rubrica Artisti all’Opera, stringenti sono i legami tra la pittura storico-romantica di Francesco Hayez (1791-1882) e il mondo del melodramma, in particolare quello donizettiano (qui il link) e quello verdiano (qui il link).

Tra i quadri di storia più noti del veneziano, si annovera la grande tela della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma I vespri siciliani. Il dipinto, firmato e datato 1846, dallo spiccato gusto teatrale, raffigura un celebre episodio della Sicilia medievale, avvenuto durante le festività pasquali del 1282. La scena ha una marcata impostazione melodrammatica; in secondo piano, coperta dalla vegetazione, si staglia l’architettura della chiesa normanna del Santo Spirito a Palermo, che prelude all’ampio spaccato di paesaggio immerso in un’atmosfera tersa e limpida. Al proscenio giganteggiano i protagonisti della vicenda, tutti colti in atteggiamenti enfatici, come se fossero su di un palcoscenico. La giovane nobildonna oltraggiata, con il seno niveo leggermente scoperto, vestita di giallo e bianco, svenuta tra le braccia dei fratelli a seguito dell’irriguardosa perquisizione subita; il soldato angioino responsabile del misfatto, Drouet, abbigliato di blu, accasciato a terra dopo essere stato disarmato e mortalmente ferito da Ruggero Mastrangelo, sposo della donna, effigiato in calzamaglia rossa e con in mano una spada. Nonostante l’opera sia attraversata da una attendibile filologia certosina (Hayez, difatti, nel novembre 1844 si recò a Palermo per rendere con scrupolo veritiero la topografia del luogo), fu accusata dal critico e storico dell’arte Giulio Carlo Argan, nel suo scritto del 1938 L’arte italiana dal Seicento all’Ottocento, di esasperata “falsità teatrale”: “Muore trafitto il baritono, cantando; cantando risponde il tenore, che dopo averlo ferito si ritrae con mossa aggraziata; sviene come prescritto la fanciulla; il coro commenta in sordina; le comparse ripetono i gesti di circostanza. Tutto è teatro, tutto incredibilmente falso: infine questo quadro famoso è un tipico esempio di neo-gotico albertino”.

Proprio tali caratteristiche di insistita melodrammaticità, invise ad Argan, collegano la nostra tela all’ambiente teatrale, in special modo a Giuseppe Verdi, tra i massimi fautori del patriottismo in musica, e al suo grand opéra in cinque atti del 1855 Les vêpres siciliennes. L’opera, cantata in francese e con tanto di ballabili, su libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier, debuttò a Parigi il 13 giugno di quell’anno; pochi mesi dopo, il 26 dicembre, si ebbe la prima esecuzione in traduzione ritmica italiana di Arnaldo Fusinato, al Teatro Regio di Parma: per via della censura, però, la vicenda fu spostata nella Lisbona del XVII secolo dominata dagli spagnoli, e intitolata Giovanna de Guzman. Bisognerà attendere il 1861 perché in Italia, più precisamente a Palermo, venga messa in scena l’edizione de I vespri siciliani come noi la conosciamo oggi, fedele all’originale francese.

Per la sua cocente aderenza all’attualità, il mitico episodio medievale dei moti insurrezionali contro l’invasore straniero trovò terreno fertile nel Belpaese pre-unitario: il patriota e arabista Michele Amari pubblicava, negli anni Quaranta dell’Ottocento, lo studio La guerra del vespro siciliano; in quello stesso periodo debuttava l’opera seria in tre atti Giovanni da Procida, del principe e compositore Giuseppe Poniatowski. Non dimentichiamo, poi, come Hayez realizzò molteplici versioni sull’argomento, oggi tutte in collezioni private, la prima delle quali fu commissionata nel 1821 dalla marchesa Visconti d’Aragona ed esposta a Brera: essa è immersa in un clima maggiormente movimentato e agitato rispetto alla tela del 1846; l’avvenimento è, inoltre, sovrastato dall’incombente architettura chiesastica; infine, il dipinto è contraddistinto da una tavolozza pittorica giocata perlopiù su colori freddi.

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