100 anni fa nasceva Renata Tebaldi: l’incanto di una voce venuta dal cielo
Il primo febbraio di quest’anno ricorre il centenario della nascita di Renata Tebaldi (Pesaro 1922 – San Marino 2004), il più grande soprano lirico-spinto del secondo dopoguerra, nonché il più bel timbro operistico del Novecento. Al di là dell’aspetto meramente celebrativo, che spesso risulta di circostanza e poco sincero, i centenari offrono l’opportunità per fare un passo indietro e trarre un bilancio di quello che una cantante lirica del calibro di Tebaldi ha potuto offrire al mondo dell’opera e all’arte in generale. In questo caso possiamo anche dire che l’anniversario in questione offra l’occasione giusta per una seria rivalutazione di una figura artistica che nonostante la fama, in vita e dopo la sua morte, non ha sempre unanimemente goduto degli onori che le spettavano, anche a causa di quel dualismo forzato Callas-Tebaldi che molto ha diviso le rispettive tifoserie e che ancora continua a dividere. Ci occuperemo della celebre “guerra dei soprani” quasi al termine di questo scritto, non perché non sia rilevante, ma perché non è necessariamente la chiave di lettura corretta per capire chi è stata Renata Tebaldi. In fondo questa è la sua ricorrenza e non è né giusto né carino tirare in ballo subito la Callas, un vizio in cui si incorre spesso parlando di Tebaldi. Ci preme prima ricordare cosa ha reso speciale questa voce, accusata da alcuni di essere puro suono o appagamento edonistico. Ebbene no, è stata molto di più. Analizzeremo poi i suoi ruoli celebri e le sue scelte di repertorio, così come alcuni aspetti della persona, fondamentali per capire pienamente il personaggio.
Un primo bilancio
Prima di addentrarci negli aspetti più puramente vocali aiuta forse citare alcuni dati, che con la loro oggettività numerica forniscono già di per sé un bilancio e in qualche modo la miglior smentita a qualche superficiale giudizio che ridurrebbe Renata Tebaldi ad artista limitata a una manciata di ruoli e poco più: 32 anni di carriera, 1.036 performance teatrali, 228 esibizioni in concerto e recital, 29 registrazioni operistiche, 53 ruoli completi e musiche di 67 autori differenti. Pur gravitando principalmente intorno al repertorio verdiano e verista, Tebaldi nei suoi concerti e registrazioni ha esplorato un ampio spettro di pagine che va dal Seicento ai compositori del Novecento, inclusa qualche raffinata rarità. Strappata troppo presto dal trono della Scala, che aveva occupato per quasi un decennio sin da quel famoso concerto di apertura del ’46 (anno in cui si colloca il celebre l’episodio dell’audizione con Toscanini e quello delle successive prove del Te Deum dove nasce il mito della “voce d’angelo” secondo un’espressione del maestro, peraltro fraintesa), è rimasta invece primadonna al vertice del MET dal 1955 al 1973. Qui viene ribattezzata “Miss sold-out” per il suo potere attrattivo al botteghino e “Miss dimples of iron” (fossette di ferro) per la sua tenacia e determinazione. Come constatato da Harold Schonberg del New York Times “She started at the top and she remained there” (Ha cominciato al vertice e lì vi è rimasta). Negli Stati Uniti la sua fama diventerà tale da conquistare di diritto – caso unico per una cantante italiana – la copertina del Time, nei panni di Tosca. Non solo, il suo appeal irresistibile in quanto a misto di bellezza, semplicità ed eleganza, conquisterà tutti, dal cittadino comune ai divi di Hollywood. In Italia viene invece venerata dal pubblico napoletano del Teatro San Carlo, dove vi torna con regolarità (1948-1967, più il recital del 23 maggio del 1975), salvo poi ripartire per gli Stati Uniti in nave. Anche il Maggio Fiorentino le presta molta attenzione, vedendola protagonista di diverse produzioni dal ’48 al ‘62. A Milano invece, dopo la dipartita del ’55, quando ormai la Divina greca si era presa tutto, compreso i favori di Ghiringhelli, le occasioni per sentirla sono state poche, anzi pochissime. Tornerà fugacemente al Teatro alla Scala nella stagione 1959/60 con Tosca e Andrea Chénier, al Teatro Manzoni per dei concerti sempre a fine anni ’50 e poi più niente fino a quei tardivi recital del ’74 alla Piccola Scala e del ‘76 alla Scala (il celebre concerto d’addio a favore dei terremotati del Friuli), resi possibili da Paolo Grassi ma che in fondo furono un magro risarcimento per anni di occasioni perse.
La voce
Molto è stato scritto sulla voce di Renata Tebaldi, che lei considerava un dono del Signore e che è stata anche specchio di un’anima sensibile, equilibrata e in pace con se stessa. Qui calza a pennello il ricordo di un’altra grandissima del Novcento, Joan Sutherland (carinamente definita dalla Tebaldi in qualche intervista come la cantante più brava del secolo e un vero fenomeno acrobatico): “Era la sua bell’anima che risplendeva attraverso la voce”. La voce di Renata Tebaldi è stata sì angelicata per purezza timbrica, ma anche maestosa, calda, squillante e ricca di armonici, soave e rasserenante negli abbandoni lirici. Una voce che sapeva essere luminosa e dolcissima ma anche torrenziale con pianissimi innestati su lunghe arcate di fiato, capaci poi di rimpolparsi in forti dallo squillo adamantino. Bellissima, a proposito, la testimonianza di Giuseppe Valdengo (Ho cantato con Toscanini): “La voce della Tebaldi è paradisiaca, è una di quelle voci che ti entrano nell’anima, che ti vanno direttamente al cuore, è una voce pura, chiara, luminosa. Quando canta la Tebaldi, tutto è sereno, splende il sole, pare che da essa si sprigioni il profumo della primavera”.
Per Rodolfo Celletti, che ha subito il fascino tebaldiano a fasi alterne e che certo non le ha risparmiato critiche ma anche giudizi lusinghieri, coglie nel segno in questa descrizione del potere evocativo del canto di Renata Tebaldi (La grana della voce): “Non era una voce estesissima, ma da preghiera, da elegia, da abbandono (e da impeto) sentimentale. Portava gli echi dello spirito contemplativo e dei raccoglimenti nelle chiese di chi è stato plasmato dalla società contadina. Voce di grandi orizzonti, da cieli stellati placidi e solenni insieme”.
Ma dove si colloca la voce di Renata Tebaldi? Una voce di vecchia scuola che si inserisce sulla scia di Claudia Muzio e Maria Caniglia e che sicuramente tiene fede ai canoni estetici della tradizione, ma che li ripulisce e dà loro nuovo gusto. Il paragone con la Muzio si fa avanti già a primi anni Cinquanta ai tempi delle esibizioni a San Francisco e Rio, trovando poi ufficialità nell’edizione del 1955 di Voci parallele, dove Lauri Volpi attribuisce sia alla divina Claudia che a Tebaldi uno strumento intermedio tra registro lirico-puro e drammatico, due voci gemelle nella tecnica e nello stile (ma non nell’interpretazione, come vedremo più tardi). Tra l’altro sarà proprio in onore alla Muzio che Tebaldi riprenderà Cecilia di Refice (si ascolti l’aria “Grazie Sorelle”, dal minuto 4.45 c’è tutto l’incanto della voce tebaldiana: qui il link per l’ascolto).
Eugenio Montale commentando il ritorno di Tebaldi alla Scala per la Tosca del 1959: “…ed ora dobbiamo scusarci con la signora Renata Tebaldi se abbiamo un poco tardato a rendere l’onore che è dovuto alle sue qualità di cantante e di interprete… La signora Tebaldi è il tipico soprano italiano del genere che suol dirsi lirico spinto: genere che esclude la ‘coloritura’ e quasi sempre (non sempre) gli sconfinamenti nel campo espressionistico, ma che ha a disposizione un assai vasto repertorio di opere tradizionali. Voce bellissima, tale voce, tale il temperamento di Renata Tebaldi: qualità rare oggi. E qualità alle quali soccorre un talento di attrice che sa riempire autorevolmente la scena e imporsi come una ‘presenza’ ”.
Pagando sempre il prezzo del paragone con la cantante-attrice Maria Callas, considerata dai più come rivoluzionaria e spartiacque della prassi esecutiva del Novecento, alla Tebaldi è stato spesso negato dai detrattori ogni merito in termini di contributo all’evoluzione della vocalità in relazione al repertorio. Nell’analizzare invece i meriti, ci viene in aiuto ancora una volta Celletti (La grana della voce): “La Tebaldi restituì al tardo Verdi, a Puccini e anche a qualche autore verista una proprietà che era praticamente scomparsa nel ventennio precedente e riportò i relativi personaggi alle loro giuste dimensioni. Che non erano quelle di furenti emule dei soprani drammatici wagneriani, ma di eroine i cui scatti passionali erano momenti d’eccezione, non stato d’animo permanente. In sostanza Renata Tebaldi ripristinò il lirismo, l’abbandono patetico, la linea vocale vincolata al canto legato, il fraseggio nel quale le smorzature e i pianissimi avevano lo stesso peso espressivo dello scoppio di voce tonitruante. Tutto questo fu a volte scambiato per edonismo ed è probabilmente la più grave ingiustizia subita dalla Tebaldi durante la querelle (Callas-Tebaldi)”.
I maestri
La voce di Renata Tebaldi è stata sì un dono del cielo, ma è stata anche forgiata da maestri importanti. Dopo aver studiato pianoforte si indirizza al canto sotto la guida di Ettore Campogalliani al conservatorio di Parma, ma l’incontro chiave da lì a breve è stato quello con Carmen Melis, prima donna del primo Novecento dalla carriera internazionale e poi chiamata da Zandonai a occupare la cattedra di canto al conservatorio di Pesaro. È durante una vacanza estiva nella sua città natale che la giovane Renata riesce a farsi sentire dalla Melis, la quale, colpita dal dono naturale della ragazza, la prende sotto il suo manto protettivo. Tebaldi rimarrà molto affezionata alla sua maestra e le riserverà sempre una grande gratitudine, persino aiutandola economicamente negli ultimi anni. La Melis, dal canto suo, ci sarà sempre nei momenti importanti: c’era al famoso debutto di Rovigo nel ’44 a guerra ancora in corso e ci sarà nel ritorno in scena a Barcellona nel ’58 con Madama Butterfly dopo la morte della amatissima madre di Renata, Giuseppina. Negli anni americani invece, quando Tebaldi si deve fermare per circa un anno tra il ’63 e il ’64 dopo un periodo di stress psicologico e personale che si era inevitabilmente riflesso sulla voce, bisognosa di una reimpostazione, si rivolge al Maestro Ugo de Caro, rinomato esperto di problematiche vocali. De Caro, pur preservando la qualità timbrica della Tebaldi, aiuterà la cantante a dare nuovo slancio agli acuti e nuovo spessore drammatico al registro di petto.
La vicenda personale
A parte gli incontri fondamentali con i maestri, ci sono altri aspetti della vita personale di Renata Tebaldi che vanno presi in considerazione per capire pienamente il personaggio e, perché no, anche alcune pieghe del suo canto. Non si intende qui ripercorrere la biografia per cui vi sono numerose pubblicazioni. Ci sono alcune parole chiave che emergono chiaramente dalla vita di Renata Tebaldi e che aiutano tantissimo a capire il segreto del suo successo: forza interiore, fede, consapevolezza e una estrema chiarezza di quale sia la priorità nella vita, nel suo caso quella di salvaguardare i propri affetti, la sua voce e il proprio benessere psicologico. La forza interiore è quella che in fondo le ha consentito di superare la menomazione fisica della poliomielite da bambina che la colpì a soli tre anni, le sofferenze per l’abbandono paterno e la conseguente depressione della madre. La sfortuna in amore è stata poi un altro elemento di sofferenza nella vita di Renata Tebaldi, una solitudine alleviata solo dalla presenza costante della madre Giuseppina e poi, dal momento della sua scomparsa, da Ernestina Viganò (“la Tina”), divenuta assistente a tempo pieno e una sorta di angelo custode per la “Signorina” Renata. Breve e sfortunato il flirt con Nicola Rossi Lemeni, osteggiato dalla madre di lui. Più lungo, ma altrettanto sfortunato, il rapporto con il direttore Arturo Basile, archiviato dalla Tebaldi nel ’62. Basile morirà poi in un incidente stradale nel ’68 a soli 54 anni. Avrebbe potuto benissimo sopportare rapporti a suo sfavore e sottomettersi, invece – se vogliamo – c’è in Renata Tebaldi una moderna affermazione delle proprie necessità di donna. Decide infatti di non voler soffrire e di non permettere a nessuno di rompere il proprio equilibrio. Tutte le storie vengono accantonate per andare avanti, perché la sua carriera e il suo benessere psicologico contavano più di tutto. Quando si conoscono questi particolari si capisce bene come la voce in fondo sia stato solo un ingrediente del successo di Tebaldi, ma che alla base ci sia stata una stabilità di approccio alla professione e alla vita, un’integrità e senso di sacrificio oggi spesso sconosciuti. Ci sarà anche spazio per il perdono cristiano, come quello riservato al padre Teobaldo, violoncellista e granatiere nella grande Guerra, da cui ereditò l’alta postura (ma non certo l’indole da conquistatore). Nonostante le sofferenze riservate a lei e alla madre, Renata si riappacificherà con lui a inizio anni ’60.
Negli anni americani conquisterà una patina di eleganza dal glamour hollywoodiano ma rimarrà fedele a se stessa, evitando uno stile di vita fatto di feste e conversazioni vacue, per cui non provava un reale interesse, e anche potenzialmente dannoso per il suo strumento.
Carriera, ruoli e repertori
La carriera trentennale di Renata Tebaldi viene comunamente divisa in tre periodi. Il primo va dal debutto nel Mefistofile a Rovigo del 1944 fino all’approdo al 1955 al MET dopo la decisione sofferta di lasciare La Scala e accettare finalmente la corte pressante di Bing. Il secondo va dal 1955 al 1963 e comprende tutti i successi americani che precedono il ritiro temporaneo di quasi un anno dopo una fase di enorme stress anche legato all’infelicità personale per la storia non a lieto fine con Basile. L’ultimo va fino al 1973, anno in cui decide di interrompere le performance operistiche e la lunga collaborazione con il MET, a cui seguono altri tre anni di concerti prima del ritiro definitivo nel 1976.
Non intendiamo qui ripercorrere tutti i debutti e numerose riprese in ordine cronologico lungo la trentennale carriera di Tebaldi e per questo facciamo riferimento alle numerose biografie disponibili. Vale la pena però soffermarsi sui principali ruoli e scelte di repertorio del celebre soprano. Incominciamo con La bohème e con la sua dolcissima Mimì dal fraseggio curato, nobiltà d’accento, pianissimi e legati di pregio (qui il video di “Sì, mi chiamano Mimì” ) – forse la migliore in questo ruolo almeno fino all’avvento di Mirella Freni e comunque una delle migliori del Novecento. Aida ha visto impegnata Renata Tebaldi per circa un decennio dal ’50 al ’59, un ruolo per il quale all’inizio non si sentiva consona per voce e temperamento, salvo poi farsi convincere da Toscanini di cui segue il consiglio di dare vita a un canto nostalgico dalla nobile levigatezza. Nonostante le ritrosie iniziali, Aida diventerà uno dei suoi ruoli più riusciti (si ricordi anche il film in cui diede voce a una giovanissima Sophia Loren). Desdemona in Otello rimane forse il suo capolavoro più grande, personaggio nobile e dall’innocenza che non conosce male alcuno. La sua “Ave Maria” (video al termine) dal legato prezioso come un filo d’oro rimane tra le vette del canto del ‘900.
Appassionata, vibrante, patetica e dolente Leonora di Vargas in La forza del destino dove brilla nella spirituale “La Vergine degli Angeli”, un trionfo del legato, e nello sfarzo di armonici del finale di “Pace, pace mio Dio” (qui il link all’ascolto). È stata poi una sognante e sentimentale Tat’jana nella scena della lettera della versione italiana di Onegin. Più controverso il giudizio sulla Violetta tebaldiana in Traviata, ruolo per altro cantato molto e con successo (e non poche volte e in maniera fallimentare come vorrebbero alcuni detrattori), salvo quel famoso episodio scaligero nella Traviata del ’51 con De Sabata di stanchezza vocale dovuta alle estenuanti prove in voce che causò una frattura sul “Gioir” del primo atto e nell’ultima filatura di “Addio del passato” nell’ultimo atto. È rimasto questo un ricordo molto amaro nella memoria della cantante. Tebaldi è stata una Violetta che dava il meglio nelle effusioni liriche e nella sofferta “Addio del passato” con le sue mezze tinte e i suoi pianissimi, e che invece non si addiceva troppo a quel convulso nervosismo psicologico (e relativa coloratura) del finale del primo atto. Tosca è un ruolo che si può dire sia cresciuto sulla pelle della Tebaldi nel corso del tempo, d’altronde molti soprani hanno affermato come si sia capaci di entrare in questo personaggio solo nella maturità della vita di donna. Madama Butterfly incisa già nel ’51 ma portata in scena solo nel ’58 a Barcellona, vede Tebaldi dare vita ad una Cio-Cio-San innamorata e innocente evolversi in donna e madre delusa, senza eccessi veristi. Indimenticabile la sua Maddalena di Coigny in Andrea Chénier, un ruolo perfetto per la sua voce capace di produrre suoni passionali e taglienti ma anche puri e amorosi (qui il link all’ascolto di “Eravate possente, Ora soave sublime ora” con Mario del Monaco). Nel Mefistofele è stata Elena al suo debutto a Rovigo e poi finalmente Margherita. Sarà poi una Wally orgogliosa dal fraseggio curato e dagli slanci imperiosi. Per Adriana Lecouvreur Tebaldi riceve nel ’48 la benedizione delle stesso Cilea (“conto molto sulla Tebaldi, artista che per figura, voce e temperamento, può rendere appieno il complesso personaggio di Adriana”) e sarà forse l’unica a tenere testa al primato dell’Olivero in questo ruolo. Tra i debutti dell’ultima fase di carriera spiccano La Giocanda e La fanciulla del West. Il primo è stato temibilissimo per difficoltà di tessitura e per interpretazione richiesta, nonché per il confronto indiretto con la Callas giovanile. Tebaldi arriva al debutto preparatissima, con un inaspettato talento d’attrice e con una voce dove gli acuti erano al loro posto e dove i gravi bruniti di petto venivano impiegati con efficacia drammatica in “Suicidio”. Come Minnie in Fanciulla ha dovuto invece vincere la sua fobia dei cavalli e il suo debutto del 1970, in giacca dalle frange di pelle e pistola alla mano, viene accolto in maniera entusiastica da pubblico e critica.
Bisogna citare anche i trascorsi wagneriani dei primi anni dove Tebaldi canta i ruoli di Elsa nel Lohengrin, Eva nei Cantori di Norimberga ed Elisabetta nel Tannhäuser, tutti personaggi dalla dimensione lirica e resi con gusto sempre “italiano”. Nella prima fase della sua carriera l’interprete colleziona anche esperienze con il Rossini serio (Assedio di Corinto, Guglielmo Tell) e coltiva una potenziale vocazione mozartiana (Don Giovanni, Le nozze di Figaro), purtroppo interrotta troppo presto. Tebaldi riporta poi in scena anche la Giovanna d’Arco di Verdi dandole nuovo lustro (sarà anche Amelia Grimaldi in Simon Boccanegra) e si cimenta in titoli meno noti come la Cecilia di Refice e il Fernando Cortez di Spontini. Approccia di sfuggita pure il repertorio del Settecento cantando il ruolo di Cleopatra nel Giulio Cesare in Egitto a Pompei nel 1950 con i complessi del San Carlo. Il repertorio sacro della cantante annovera il Requiem e il Te Deum di Verdi, il Requiem di Mozart, lo Stabat Mater di Rossini, la Passione secondo Matteo di Bach e anche lo Stabat Mater di Pergolesi con una giovane Lucia Valentini Terrani (Rimini, 1974). In concerto poi amava portare la canzone d’arte italiana, la musica da salotto, le arie antiche. Insomma, che ne dicano, non era poi un’artista così tanto limitata.
Compagni di scena e direttori
Numerosi e illustri i partner di scena tra cui Corelli, Del Monaco, Domingo, Di Stefano, Bergonzi, Corelli, Tucker, Kraus, Björling, Gobbi, Bastianini, Siepi. Tra i direttori citiamo Toscanini, De Sabata, Serafin, Giulini, Erede, Pradelli, Capuana, Votto, Böhm, Mitropoulos, Gavazzeni, Mehta, Solti, Bernstein. La lista non è chiaramente esaustiva. Alla Scala ha dato vita a un sodalizio con De Sabata dal ’49 al ‘53, personaggio difficile sì, ma che in fondo le ha permesso di dare il meglio. Lo ricorderà con tanta ammirazione negli anni a venire.
La discografia
Quale è il lascito discografico di Renata Tebaldi, artista che la Decca ha spesso opposto, in coppia con Del Monaco, al duo Callas-Di Stefano per EMI? All’interno dei titoli operistici non possiamo non citare le incisioni di Otello (1954) e Aida (1952), entrambe dirette da Erede, con l’orchestra di Santa Cecilia, così come il Mefistofele (1957) con Serafin e La forza del destino (1955). Vanno citate anche la Manon Lescaut (1954) diretta da Pradelli, Andrea Chénier (1957) con Del Monaco e Bastianini diretti da Gavazzeni, la seconda incisione di Tosca (1959) sempre con Pradelli, La fanciulla del West (1958) con Capuana e La bohème con Bergonzi, Bastianini e Serafin (1959). Negli anni della maturità si distinguono poi l’edizione del Don Carlo diretta da Solti e di Giocanda (1967) con Gardelli. È giunta troppo tardi invece la registrazione del 1970 con Pavarotti di Un ballo in maschera, quando la voce ormai non più fresca non era in grado di reggere determinate tessiture. Non troppo riuscita neanche l’incisione di Adriana Lecouvreur (1962) con Capuana e la Simionato, per la fase di stanchezza psicologica e stress vissuta dalla Tebaldi in quel periodo, a cui seguì da lì a breve il ritiro di circa un anno. Rinuncerà invece a incidere Fedora, per cui suggerirà a Decca il nome dell’amica Oliviero. Ci sono poi le incisioni degli ultimi anni con Bonynge con molta della musica cantata nei recital dal vivo e anche i recital dal vivo con Favaretto degli anni 50, un’incisione di arie antiche. Durante la vecchiaia, ripensando alla sua carriera rimpiangerà di essere stata troppo prudente e di non essersi buttata su alcuni ruoli (Serafin ad esempio aveva insistito per farle cantare Norma, di cui inciderà più tardi solamente “Casta Diva”).
La guerra dei soprani: Callas o Tebaldi?
Ora che abbiamo fornito un quadro della Tebaldi come cantante, artista e persona, è opportuno passare alla tanto discussa “guerra dei soprani”, ovvero l’annosa querelle che ha opposto le due primedonne Maria Callas e Renata Tebaldi e le relative tifoserie. Tebaldi ha spesso ricondotto questa guerra a una invenzione della stampa, poi fomentata dalle rispettivi fan e in numerose interviste ha ammesso con fair play che in fondo la contrapposizione ha beneficiato la fama e la carriera di entrambe, anche se a dire la verità alla lunga la memoria della Tebaldi ne è stata più intaccata (basti vedere quante pubblicazioni siano state riservate alla Callas e quante invece alla Tebaldi). Era inevitabile che in un Paese come l’Italia storicamente abituato a dividersi su tutto, si creassero due schieramenti opposti. Le prime ostilità, come noto, sono scoppiate in America Latina a inizio anni ‘50 a causa di numerosi episodi fonti di incomprensioni e rancori tra le due: qualche frase di troppo della Callas sulla Traviata di Tebaldi a una cena con presenti Renata e la madre, l’episodio del bis dell’Ave Maria dell’Otello concesso dalla Tebaldi a un galà operistico a Rio e una sostituzione (sempre a Rio) della Callas protestata, da parte della Tebaldi (casualità, ma considerata pura slealtà dalla Callas). La guerra si consolida poi a metà anni ’50. Ecco che si crea la retorica dell’Angelo contrapposto al Diavolo alimentata dalla stampa, ma anche da quel detto e non detto da parte di entrambe per alimentare questa retorica in fondo distruttiva e che a volte si ritorcerà contro entrambe (basti pensare alla cattiveria riservata dalla stampa alla Callas dopo l’episodio increscioso della Norma romana o agli stravolgimenti di alcuni episodi della carriera tebaldiana).
Musicalmente, a livello di repertorio e di modo di concepire l’interpretazione erano agli antipodi. Da un lato la bellezza apollinea, l’abbandono, la purezza di suono più compatibile con quello che il pubblico si aspettava da una cantante, dall’altro il dionisiaco, lo scavo drammaturgico, l’intelligenza e l’intuito teatrali, la capacità di trascendere i limiti di una voce di fatto tripartita ma elevata da una forza di volontà suprema. Da una parte una voce rasserenante ma anche totalizzante nella sua bellezza, dall’altra una voce che ti mette sempre in discussione e che ti sconvolge fino a turbarti, una voce che molte “finte Callas” hanno provato a imitare negli anni a venire con risultati spesso disastrosi.
La contrapposizione in realtà non sarebbe mai dovuta esserci nel senso che Tebaldi e Callas, salvo alcuni ruoli di confronto diretto (Aida, Tosca, Traviata come territorio di scontro diretto nei primi anni di carriera di entrambe più altri titoli cantati dalla Callas solo occasionalmente o non contemporaneamente) hanno gravitato su repertori e vocalità molto differenti. Da un lato (la Callas) un drammatico di agilità (anche se con vocazione d’assoluta) che a sua stessa detta trovava in Bellini-Rossini-Donizetti la sua zona di elezione e che ridava nuova linfa drammatica e virtuosistica al Belcanto, dall’altro una voce da lirico-spinto innamorata di Puccini e che ridava nuova nobiltà stilistica al repertorio verista e verdiano.
La riconciliazione tra le due, come risaputo, avviene alla prima del ’68 di Adriana Lecouvreur al MET con quel celebre abbraccio immortalato dai fotografi sotto la benedizione di Bing. Le due donne ormai mature ed entrambe deluse dagli uomini (la Callas era reduce dalla fine della storia tormentata con Onassis e già lontana dai palcoscenici da qualche anno) non avevano ormai nessun motivo per continuare le ostilità. La Tebaldi è felicissima di rivedere “la Maria” e la Callas, che durante la recita si era emozionata per il canto della collega, le dice con ammirazione: “Ti auguro un migliaio di questi successi e tanta felicità”. Seguono telefonate e carteggi di cortesia tra le due, su cui Renata ha tenuto sempre un grande riserbo, ma le due non si rivedranno mai più. Come riportato nella biografia di Ramón Bisogni, quel triste 16 settembre del 1977, informata dalla Tina della morte “della Maria”, Renata si chiude in camera e si raccoglie in preghiera. Il giorno dopo la morte della Callas sul Corriere della Sera, Tebaldi fa pubblicare un necrologio con poche ma sentite parole: “Renata Tebaldi partecipa profondamente commossa al lutto del mondo per la tragica scomparsa di MARIA CALLAS ricordando l’assoluta dedizione alla Musica di un’artista immensa”.
È normale avere preferenze ma bisogna schierarsi per forza? Ci deve essere per forza una vincitrice? Oppure si può arrivare a una pacificazione anche di stupidi fanatismi all’insegna dell’oggettività, visto che pure le due primedonne si riconciliarono e ammisero la grandezza reciproca? Chi scrive, ritiene che l’amore per le due possa benissimo coesistere: si può rimanere folgorati dalla Medea, Armida o Amina callassiana così come ci si può abbandonare nelle estatiche effusioni e dolcezze della Mimì o nella nobile spiritualità della Desdemona della Tebaldi. Perché bisogna privarsi di una o dell’altra? Molti fan muniti di buon senso e intelligenza, sono approdati a questa consapevolezza.
Le critiche
Ora, tutti i mostri sacri, così come tutti i cantanti hanno dei limiti, anche Tebaldi. Quali sono le critiche che le sono state mosse? Sicuramente la principale risiede nell’approccio interpretativo dalla scarsa forza drammatica, evidente dal confronto con la Callas. Ci sono stati giudizi abbastanza tranchant come quelli di Lauri Volpi che nell’edizione di Voci parallele del 1955 parlò di una Tebaldi “che sulla scena rappresenta unicamente se stessa e non manifesta alcuna intenzione a immedesimarsi nel personaggio” (nell’edizione del 1960, parzialmente rivista, sparirà la frase sull’immedesimazione). Certo Tebaldi non ha posseduto quella proprietà di scavare la parola nel marmo e quella presenza magnetica sulla scena che aveva invece la Divina Greca, ma la sua era comunque una presenza scenica, maestosa e con un senso del patetico reso in perfetta armonia con la voce. Inoltre, in quegli anni di “belle voci” ce n’erano tantissime. Se effettivamente fosse stata solo “una bella voce”, la Tebaldi sarebbe stata probabilmente una meteora di qualche stagione e non avrebbe esercitato quel fascino sugli spettatori per più di un trentennio, facendo il tutto esaurito per anni e rimanendo stabilmente al vertice al MET, primato che nemmeno le sporadiche comparse americane della Callas sono riuscite a scalfire. Certo, Tebaldi non ha mai permesso all’interpretazione di compromettere il canto, mentre Callas era convinta che l’espressione stessa richiedesse di sporcare il canto in alcuni frangenti per rendere tutti i colori dell’espressione. A proposito di questa storica accusa alla Tebaldi di ricerca del bel suono a discapito dell’espressione, Paolo Isotta ha scritto (Omaggio a Renata Tebaldi): “l’incanto, che si identifica con la perfezione della melodia cantata, è così forte da contenere in sé la cosiddetta “espressione”…il bel suono è il presupposto del canto, qualsiasi cosa si abbia a cantare, qualsiasi personaggio si abbia a interpretare”.
Vocalmente, poi, le si è rimproverato un eccesso di portamenti, qualche difficoltà a raggiungere gli acuti e non troppa facilità nelle agilità, per altro non contemplate nel suo repertorio da lirico spinto, anche se nei suoi anni giovanili uno stupito Celletti commentava a proposito della Cleopatra del ’50 a Pompei: “(Tebaldi) rivela una notevole predisposizione al canto d’agilità e lascia udire alcuni picchiettati che sembrano bolidi, come volume, rispetto a quelli normalmente eseguiti dai soprani di coloratura”. Certo, le critiche di cui sopra sono poca cosa nel complesso rispetto a uno strumento che, salvo le difficoltà che l’hanno costretta al temporaneo ritiro nel ’63 e qualche comprensibile perdita di freschezza negli ultimi anni, rimase in salute e saldo per lungo tempo, senza maggiori traballamenti.
Gli ultimi anni
Il ritiro vero e proprio dalla carriera avviene nel 1976, mentre quello dalle scene operistiche era già avvenuto nel 1973, dopo l’Otello al MET. Negli ultimi tre anni aveva girato il mondo in concerto con Franco Corelli. Durante l’attività concertistica degli ultimi anni era solita concludere i suoi recital cantando “Non ti scordar di me” di De Curtis, quasi volesse saldare un legame strettissimo con il suo pubblico, fissando per sempre la memoria del suo canto. In molti che hanno avuto la fortuna di essere presenti a quei recital di addio al San Carlo e alla Scala si ricordano ancora quello scambio di calore tra artista e il suo pubblico. Numerosi sono i riconoscimenti internazionali ricevuti da Tebaldi nel corso del tempo. Nel 1995 ritornerà al MET questa volta tra il pubblico, con un’accoglienza da vera primadonna. Renata Tebaldi scompare il 19 dicembre del 2004 dopo una lunga malattia che le aveva causato non poche sofferenze. Non molti colleghi hanno partecipato ai funerali di Milano e Langhirano (tra i presenti l’amica Magda Olivero), che sono stati nel complesso sottotono; probabilmente negli Stati Uniti che l’hanno vista stabilmente al vertice, ma anche in altri Paesi, avrebbero avuto una risonanza ben maggiore. Di lei rimane, oltre alla voce splendida che è passata alla storia, anche il suo sorriso, emblematico e in qualche modo pienamente esplicativo di un canto soave che ti accarezza e che ti lascia in armonia con te stesso e con il mondo.
Le celebrazioni
Come già riportato da Connessi all’Opera, durante l’intero 2022 il Comitato Tabaldi100 promosso dalla Renata Tebaldi Fondazione Museo di Busseto ha organizzato una serie di convegni, concerti, spettacoli, eventi e presentazioni in occasione del centenario (qui l’articolo). Il 2022 è quindi l’anno di Renata Tebaldi e tutto il mondo si unisce nel suo ricordo.