Esiste una tradizione di soprani di origine bulgara che nel tempo si sono affermati a livello internazionale: da Ljuba Welitsch, rinomata interprete straussiana attiva fra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento, a una diva dei nostri giorni come Sonya Yoncheva, passando attraverso Raina Kabaivanska e Anna Tomova-Sintow per restare ai nomi più noti. Fra questi c’è anche quello di Ghena Dimitrova (1941-2005), che tra gli anni Ottanta e Novanta si impone come un fenomeno vocale dalle possibilità esorbitanti. La sua affermazione ha permesso agli appassionati italiani di ritrovare in un certo senso la vera tipologia del soprano drammatico che, all’epoca, si riteneva praticamente estinta con il ritiro dalle scene di Anita Cerquetti.
Bulgara di nascita (la città di origine è Begley, distretto di Pleven), ma italiana per formazione professionale, Ghena Dimitrova entra in carriera grazie alla vittoria, nel 1972, al Concorso “Toti Dal Monte” di Treviso per il ruolo di Amelia nel Ballo in maschera di Verdi. Da adolescente, aveva scoperto il melodramma nelle sale cinematografiche del suo Paese, guardando i film italiani dedicati ai grandi compositori d’opera e alla storia di Casa Ricordi. Dopo il liceo, inizia a studiare canto come mezzosoprano al conservatorio di Sofia con il baritono Christo Brambarov, insegnante anche di Nicolaj Ghiaurov e Nicola Ghiuselev, scoprendo dopo un paio d’anni la sua tessitura naturale di soprano drammatico. Il debutto ufficiale sulle scene risale al 1967, quando viene chiamata dal Teatro di Stato di Sofia come migliore allieva del Conservatorio a sostenere il ruolo di Abigaille nel Nabucco di Verdi. Un esordio avventuroso: dopo il forfait di due primedonne, la giovane Ghena prepara la parte in nove giorni e ottiene un clamoroso successo. Nel 1970 vince il primo premio al Concorso internazionale di Sofia che le permette di completare gli studi in Italia: frequenta l’Accademia del Teatro alla Scala e si perfeziona con Gina Cigna. Dopo l’affermazione nel Ballo in maschera di Treviso, viene chiamata a cantare la stessa opera al Regio di Parma, dove inaugura la stagione al fianco di José Carreras, e poi alla Scala in una recita con Placido Domingo. Emigra quindi in America latina e qui resta sei anni, cantando regolarmente al Colon di Buenos Aires e mettendo a punto tutto il repertorio che, dall’inizio degli anni Ottanta, le darà la fama di fenomeno vocale in Europa e soprattutto in Italia.
Una voce effettivamente importante, quella di Ghena Dimitrova, per molti aspetti eccezionale: estesa (fino al re bemolle sopracuto), robusta come l’acciaio, ricca di armonici e di squillo, dal timbro compatto e di sontuoso color scuro. Nel corso della carriera, Dimitrova saprà piegare questo dono della natura alle esigenze tecniche ed espressive del soprano lirico spinto (Elisabetta del Don Carlo, Amelia del Ballo in maschera, Maddalena di Coigny dell’Andrea Chénier), del drammatico puro (Turandot, Gioconda) e del soprano drammatico di agilità (Abigaille, Lady Macbeth, Odabella dell’Attila e Giselda dei Lombardi alla prima crociata). Nel confronto con la terza delle tipologie citate, le doti naturali della cantante, le intenzioni interpretative e la tenuta stilistica non sempre basteranno a forgiare delle interpretazioni realmente rifinite, essendo l’accento e il fraseggio un po’ uniformi, e le agilità carenti del mordente e dello scatto desiderabili.
Per quanto l’opera più frequentata (dal 1967 al 2000) sia Nabucco, a conti fatti sono le parti di Gioconda e Turandot a dare a Ghena Dimitrova il marchio del soprano drammatico di origine controllata. Il personaggio pucciniano, in particolare, può essere considerato la sua creazione più riuscita e acclamata. Fin dall’edizione all’Arena di Verona del 1983, che la segnala all’attenzione della critica e del pubblico italiani, Dimitrova fa di Turandot un’eroina poderosa, che si impone “di forza”, con squilli iperbolici e fraseggi declamatori aggressivi, ma sa anche piegarsi a efficaci smarrimenti lirici. Nelle recite areniane, la sua voce era veramente impressionante, riusciva a sovrastare coro e orchestra quasi fosse amplificata, come una canna d’organo capace di spiccare su tutto e su tutti.
Resta il rammarico che questa voce sensazionale sia stata trascurata dal mercato discografico. Che della Turandot di riferimento degli anni Ottanta e Novanta non esista una incisione ufficiale è piuttosto sorprendente. La discografia di Ghena Dimitrova si riduce in pratica al Nabucco diretto da Sinopoli (Deutsche Grammophon, 1982), all’Oberto, Conte di San Bonifacio con la direzione di Gardelli (Orfeo, 1983), all’Aida diretta da Maazel, dove sostiene – senza convincere appieno – la parte di Amneris (Decca, 1985) e a tre recital operistici (uno di arie verdiane, uno dedicato a Puccini e uno a Čajkovskij). Come nel caso di altre celebri interpreti acclamate nei teatri ma pressoché ignorate dalle case discografiche, Ghena Dimitrova – donna peraltro sensibile e di grande umanità, con tratti caratteriali in netto contrasto con l’immagine di tigre della scena – è stata risarcita da numerose registrazioni live, audio e video, che ne documentano compiutamente la strapotenza vocale e le peculiarità interpretative.