Riccardo Muti compie ottant’anni. Forse il più celebre direttore d’orchestra del mondo tra quelli in attività (solo Zubin Mehta e Daniel Barenboim hanno una fama paragonabile), nasce a Napoli il 28 luglio 1941. Trascorre tuttavia l’infanzia e l’adolescenza in Puglia, a Molfetta, dove il padre, medico, insiste perché tutti i figli ricevano un’istruzione anche musicale. Riccardo, dopo alcune titubanze iniziali, comincia a manifestare il proprio talento, tanto da scegliere la musica come propria ragione di vita. A Napoli si diploma in pianoforte con Vincenzo Vitale e poi si trasferisce a Milano per studiare composizione con Bruno Bettinelli e direzione d’orchestra con Antonino Votto, già assistente di Arturo Toscanini al Teatro alla Scala. Nel 1965, quando è ancora studente al Conservatorio di Milano, il ventiquattrenne Muti si reca a Venezia per seguire i corsi estivi di Franco Ferrara, nell’ambito delle Vacanze Musicali ideate da Renato Fasano. Nel suo primo saggio-concerto dirige la Sinfonia della Norma di Vincenzo Bellini, destando l’interesse di quanti fin d’allora intuiscono che quel giovane farà certamente parlare di sé. Il gesto è deciso, volitivo, il fraseggio melodico di sorprendente naturalezza. In quell’occasione, nell’aura romantica veneziana, conosce Cristina Mazzavillani, allieva dei corsi di canto. Si sposano nel 1969. Hanno già festeggiato oltre cinquant’anni di matrimonio e hanno avuto tre figli.
A portare Riccardo Muti all’attenzione del pubblico e della critica è certamente la vittoria al Concorso Cantelli di Milano nel 1967. L’anno seguente è nominato direttore musicale del Maggio Musicale Fiorentino, incarico che mantiene fino al 1980. Fin dal 1971, però, Muti viene invitato da Herbert von Karajan al Festival di Salisburgo, iniziando così una felice consuetudine che si ripete oramai da cinquant’anni. Dal 1972 al 1982 è alla guida della Philharmonia Orchestra di Londra, succedendo a Otto Klemperer, mentre da Eugene Ormandy eredita la Philadelphia Orchestra (1980-1992). Dal 1986 al 2005 è direttore musicale del Teatro alla Scala: da Mozart a Wagner, da Gluck a Cherubini, da Salieri a Spontini, da Rossini fino a Poulenc, prendono forma progetti di respiro internazionale. Il contributo al repertorio verdiano è quantomeno straordinario. Del Cigno di Busseto Muti è certamente il massimo interprete. Sul solco toscaniniano, certo, per quanto riguarda rigore e rispetto del testo, contro ogni capriccio dei cantanti, ma con una propensione agli aspetti lirici, intimi e cantabili che, come su detto, si erano rivelati fin dalla prova d’esordio veneziana. In fondo, Bellini e la ricerca costante del melos sono la chiave di lettura con cui Muti affronta tutto il repertorio operistico, la cifra stilistica della sua poetica interpretativa.
In ambito sinfonico potremmo dire che Schubert è il punto di riferimento imprescindibile del nostro Maestro. Proprio qualche settimana fa, in occasione del suo ritorno al Teatro La Fenice dopo diciotto anni di assenza, ci ha detto: «Schubert è difficile da eseguire per lo stile, la trasparenza e soprattutto lo spirito viennese che pervade la sua anima. Da liederista, ci insegna come condurre la frase, senza eccessi ed esagerazioni». La felice collaborazione tra Riccardo Muti e i Wiener Philharmoniker nasce proprio sotto il segno di Schubert. Dopo aver registrato con il prestigioso complesso le sinfonie del compositore viennese, è stato chiamato a dirigere il Concerto di Capodanno nella prestigiosa sala del Musikverein nel 1993. L’appuntamento con Muti e le musiche della famiglia Strauss si è rinnovato per la sesta volta lo scorso gennaio. Il grande direttore italiano non solo sa infondere nei Filarmonici una fluente cantabilità, ma sembra suggerirci che quel compiacersi e, al tempo stesso, prendere le distanze da un mondo che non sarà più (la Vienna imperiale ormai al tramonto e celebrata dall’onnipresente valzer) ha molto in comune con la distaccata ironia dell’ultimo Verdi, quello del Falstaff. Da Beethoven a Čajkovskij, da Brahms fino agli autori contemporanei, con vigore ed entusiasmo Muti, comunque, raggiunge sempre esiti poetici.
Attualmente, è direttore della Chicago Symphony Orchestra, si dedica con fervore all’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, fondata nel 2004, ed è impegnato a trasmettere la propria esperienza come didatta dell’Accademia che porta il suo nome e che prepara le nuove generazioni di direttori d’orchestra, maestri collaboratori e cantanti. L’entusiasmo non lo abbandona certo e a proposito della dichiarazione “sono stanco della vita”, ripresa da molti quotidiani, ecco cosa ci ha detto: «È stato solo il titolo di un giornale. Non sono stanco della vita. Ho precisi obblighi verso i miei cari e i musicisti. Volevo dire che non mi riconosco in molte cose di oggi. Il nostro Paese e tutta l’Europa stanno perdendo la propria identità trascurando i fondamentali valori culturali di riferimento». Impegnato in questi giorni con lo studio della Messa solenne di Beethoven che eseguirà a Salisburgo con i Wiener Philharmoniker, Muti trascorrerà il suo compleanno a casa con gli amici, i figli, i nipoti e tutti gli animali che allietano i suoi momenti di riposo.