Il 21 gennaio Plácido Domingo compie 80 anni. Un anniversario importante che giunge dopo un paio di anni turbolenti per il gran leone dell’opera rimasto, nonostante tutto, sempre sulla cresta dell’onda, come dimostrato dai recenti gala celebrativi e dalla partecipazione all’ultima prima di Sant’Ambrogio, che lo hanno visto – ancora una volta – sotto i riflettori in quello che è sempre stato il suo habitat naturale, il palcoscenico. Non essendo ancora giunto al capolinea della sua sterminata carriera, pare ancora prematuro fare un bilancio definitivo ma, a ogni modo, la ricorrenza fornisce l’opportunità per ripercorrere un percorso professionale, le cui statistiche hanno dell’incredibile: 60 anni di carriera, 151 titoli in repertorio cantati in 6 lingue diverse, circa 200 incisioni alle spalle, 9 premi Grammy e innumerevoli compagni di palcoscenico – da Lily Pons a tutte le stelle della lirica di oggi. Figlio d’arte, tenore lirico-spinto approdato poi a ruoli da baritono, direttore d’orchestra, uomo di teatro, direttore artistico, talent scout e uomo influente, idolatrato ma anche molto discusso: Domingo è tutto questo e non solo.
Nato a Madrid nel 1941 da due cantanti professionisti di zarzuela, Plácido Domingo respira musica e teatro fin da bambino. Raggiunge i genitori in Messico per poi studiare al conservatorio armonia, pianoforte, composizione e direzione d’orchestra. Anche se i primi passi professionali sono nell’operetta e nella zarzuela, il debutto operistico vero e proprio arriva nel 1961 quando interpreta il ruolo di Alfredo in La traviata a Monterrey e, nello stesso anno, è Arturo nella Lucia di Lammermoor a Dallas con Joan Sutherland nel ruolo del titolo. Dopo qualche anno di gavetta a Tel Aviv, approda a New York dove tra il 1965 e il 1966 debutta per la New York City Opera in Madama Butterfly e nell’opera moderna Don Rodrigo di Alberto Ginastera. Nel 1968 arriva il debutto ufficiale al MET quando sostituisce Franco Corelli in Adriana Lecouvrer a fianco di Renata Tebaldi. Nel 1969 canta all’Arena di Verona in Don Carlo con Montserrat Caballé, a cui fa seguito il debutto in Ernani il 7 dicembre per l’apertura della stagione ’69-70 della Scala. Contando la recente apparizione al Gala dello scorso dicembre, Domingo aprirà 9 stagioni scaligere (Un ballo in maschera nel 1972, Otello nel 1976, ancora Ernani nel 1982, Carmen nel 1984, Parsifal nel 1991, Die Walküre nel 1994 e Otello nel 2001). Dopo l’approdo alla Scala seguono altri debutti internazionali importanti: nel ’74 all’Opera Garnier di Parigi, nel ’75 a Salisburgo con Don Carlo e nello stesso anno debutta ad Amburgo in quello che diventerà il suo ruolo di riferimento, Otello. Domingo ha legato il suo nome principalmente al repertorio italiano e francese, salvo poi approdare al repertorio tedesco e wagneriano. Aveva già affrontato Lohengrin sul finire degli anni ’60 ma tornerà ai ruoli wagneriani a inizio anni ’90 affrontando Parsifal e Die Walküre, ed esibendosi in quattro stagioni al Bayreuth Festival. Nel corso della carriera il repertorio si è esteso anche a Mozart e al Barocco (Hippolyte et Aricie di Rameau e Tamerlano di Händel). Domingo è apparso anche in versioni cinematografiche di opere celebri: La traviata (1983), con la regia di Franco Zeffirelli, Carmen, diretta da Francesco Rosi (1984) e Otello (1986) sempre con Zeffirelli.
Don José, Hoffmann, Andrea Chénier, Don Carlo, Cavaradossi, Samson ma soprattutto Otello sono stati i suoi ruoli tenorili di riferimento. Nel 2007 arriva la svolta con l’annuncio del debutto a Berlino nel ruolo baritonale di Simon Boccanegra, ripreso poi in altri teatri. È l’inizio di un riposizionamento professionale confermato dai seguenti debutti: Rigoletto (2010) nel ruolo del titolo, Thaïs nel ruolo di Athanaël (2012), I due Foscari nel ruolo del Doge Francesco (2012), La traviata nel ruolo di Giorgio Germont (2013), Nabucco nel ruolo del titolo (2013), Giovanna d’Arco nel ruolo di Giacomo (2014), Il trovatore nel ruolo del Conte di Luna (2014) – dopo aver affrontato in passato il ruolo tenorile di Manrico.
Come molti grandi artisti del passato, Domingo è stato e continua a essere un personaggio divisivo. In tempi recenti la querelle se Domingo sia a oggi un tenore o un baritono, ha scaldato gli animi di tutti i melomani. La tesi prevalente è che Domingo non sia mai veramente diventato un baritono vero e proprio ma che rimanga un tenore fondamentalmente corto (in difficoltà già da fine anni ‘70 con gli acuti, spesso ingolati o forzati) che per assecondare l’invecchiamento naturale della voce si sia prestato – con alterne fortune – a ruoli baritonali. Altro terreno di discussione è stato il giudizio sulla tecnica di Domingo, fallace e non canonica secondo molti esperti di voci (celebri le critiche mosse da Celletti) ma comunque personalizzata e in qualche modo supportata dalla natura, vista in fin dei conti una longevità vocale che una tecnica complessivamente scorretta o veramente pericolosa non avrebbe certo consentito (tenuto anche conto degli sterminati viaggi intercontinentali e numero di recite che avrebbero messo in difficoltà qualsiasi strumento). Al di là di queste considerazioni, cosa ha reso Domingo l’artista che è? Il timbro (che negli anni migliori era vellutato, brunito e suadente), la grande musicalità, la prestanza e avvenenza fisica, la versatilità, l’attenzione al testo, il senso stilistico e le capacità attoriali a servizio del ruolo sono sicuramente alcuni dei punti di forza che vengono riconosciuti al tenore spagnolo.
Nel corso della sua lunga carriera, Domingo ha esteso i suoi orizzonti musicali al cross-over, alla musica latina e al pop. Il fenomeno mainstream dei “Tre Tenori” negli anni ’90 a fianco di Pavarotti e Carreras ha fatto storcere il naso alla critica ma ha anche avvicinato le grandi masse all’opera più commerciale, come testimoniato dal seguito stratosferico di telespettatori e dati di vendita mai visti prima (oltre dieci milioni di cd e video venduti). Ma già a inizio anni ’80, Domingo aveva cercato il consenso del grande pubblico – ormai all’apice della fama – con l’album Perhaps Love, dove duettava con John Denver. Numerosi anche gli album di musica latina che gli sono valsi quattro premi Latin Grammy.
Attraverso tutta la sua carriera Domingo non ha mai abbandonato la sua passione giovanile per la direzione orchestrale, impegno che si è rinnovato nel tempo tra concerti di Gala, concorsi ma anche opere. Da metà degli anni ’90 approda anche all’amministrazione teatrale come direttore artistico e generale dell’Opera di Washington fino al 2011 e dell’Opera di Los Angeles dal 2017 al 2019. Domingo si è poi speso attivamente per aiutare lo sviluppo di giovani cantanti: la sua competizione internazionale Operalia, fondata nel 1993, si è rivelata una vera e propria fucina di talenti (DiDonato, Schrott, Cura, Yende, Yoncheva, Feola e Garifullina solo per citarne alcuni) e una sorta di X-Factor del mondo dell’opera. Ricordiamo poi gli impegni benefici e caritatevoli, tra cui è giusto ricordare l’ingente sforzo di raccolta fondi – attraverso una serie di concerti – per le vittime del terremoto messicano del 1985 a causa del quale Domingo perse alcuni parenti.
Il 2019 – sicuramente un annus horribilis per Domingo – ha visto il tenore finire sotto il ciclone del “Me too” con accuse provenienti da più parti e relative ad abusi e molestie sessuali che – secondo le accusatrici – si sarebbero perpetrati dagli anni ’80 a oggi. Hanno fatto seguito cancellazioni di impegni professionali e la rescissione di importanti contratti tra cui quello con il MET e le dimissioni dalla direzione della Los Angeles Opera. Domingo ha respinto le accuse e dalla sua parte si sono schierati numerosi artisti oltre che i fedelissimi fan. Senza sminuire in alcun modo la vicenda, va anche detto che, a oggi, Domingo non ha subito alcuna condanna e non è stato coinvolto in nessun procedimento penale. Tenendo bene in mente la distinzione tra persona e artista, in questa sede ci limitiamo a osservare che i meriti artistici rimangono intaccabili e, a giudicare dagli impegni professionali degli ultimi tempi, sembrerebbe che Domingo stia pian piano uscendo da questa bufera (anche se il condizionale è d’obbligo in questi casi). Neppure un ricovero per Covid a marzo 2020 è riuscito a fermare l’artista che in passato è anche uscito indenne da un tumore al colon e da un’embolia polmonare.
A questo punto, rimane da chiedersi quali sfide professionali riserverà il futuro per un’artista ultra-ottantenne. Nonostante sia auspicato da molti, per lasciare spazio al nuovo che avanza, il ritiro non è ancora in agenda. Senza aprire una sterile (anche se lecita) polemica, in questo caso vista l’importante ricorrenza è giusto celebrare il passato e il presente (professionale) di una vera superstar che, pur tra alti e bassi, ha lasciato un segno importante nel mondo dell’opera con record mai raggiunti prima, che hanno – al di là dei giudizi individuali – del fenomenale.
Photo credit: Rudy Amisano