Cantore di un universo onirico e fiabesco, popolato di poesia visionaria, avvolgenti effetti di luce, rimandi alla cultura giudaica, animali e personaggi magici: stiamo parlando di Marc Chagall (1887-1985), poliedrico pittore russo di origini ebraiche, naturalizzato francese. Un linguaggio, quello dell’artista nativo di Vitebsk (odierna Bielorussia), che ben si concilia con la temperie lirica del mondo teatrale; basti pensare alle scene dominate da un blu intenso (colore tanto caro a Chagall) da lui firmate per il balletto Daphnis et Chloé proposto, tra dicembre 1975 e gennaio 1976, al Teatro alla Scala, in un trittico su musiche di Maurice Ravel diretto da Georges Prêtre. Oppure, alle scenografie policrome e ai costumi eccentrici per Die Zauberflöte al Metropolitan Opera di New York, nel 1967, protagonisti Nicolai Gedda, Hermann Prey e Lucia Popp.
Qui vogliamo occuparci di una delle sue opere pittoriche forse più suggestive e grandiose, la rutilante decorazione della cupola dell’Opéra Garnier di Parigi (Opéra national de Paris). Commissionata a inizio anni Sessanta del XX secolo dall’amico André Malraux, all’epoca Ministro degli Affari Culturali, viene inaugurata il 23 settembre 1964 durante una festa di gala, attirando non poche critiche da parte dell’ala più tradizionalista dell’intellighenzia francese, che la definì “una nota stonata”. L’imponente lavoro di oltre 220 metri quadrati di pittura sostituisce il precedente affresco di Jules Eugène Lenepveu del 1869-1871 circa. Dominato da cromie accese quali il bianco, il rosso, il giallo, il blu, l’azzurro e il verde, in esso è riconoscibile lo stile inconfondibile e profondo di Chagall, improntato alla grazia e alla leggerezza, al surreale e allo spirituale, tra immateriali figure volanti, poetici animali variopinti e immagini naïf e bambinesche di forte vitalità. Nel soffitto dell’Opéra l’artista russo-francese omaggia i grandi compositori di melodrammi e balletti: rappresenta i sogni e le creazioni di artisti e musicisti, rievocando una “ruota della vita” tra gioie e dolori, nascita e morte, canti e danze.
Vediamo così scorrere via via, davanti ai nostri occhi, nel pannello centrale, la passionalità di Carmen di Bizet in rosso (con l’immancabile toro che suona una chitarra), il verde speranza di Orphée et Eurydice di Gluck, Fidelio di Beethoven (verde e blu) con Leonore che corre incontro a una figura a cavallo, e la solarità di Verdi con, probabilmente, La traviata (giallo). Proseguendo verso l’esterno, ecco la maestosità in blu di Boris Godunov di Musorgskij; la leggiadria fluttuante di Giselle di Adam e de Il lago dei cigni di Čajkovskij, entrambi in giallo dorato, tra donne-cigno, fiori e balli paesani; la dirompenza dionisiaca di Stravinskij (L’Oiseau de feu, in rosso, verde e blu) e Ravel (Daphnis et Chloé, in rosso); il simbolismo misterioso di Pelléas et Mélisande di Debussy (in blu); il bianco abbacinante delle composizioni di Rameau; l’abbraccio tra i due amanti galleggianti nel verde (Roméo et Juliette di Berlioz); Tristan und Isolde di Wagner, anch’essa in verde, con i due innamorati, l’Arc de Triomphe e Place de la Concorde; l’azzurro etereo di Mozart e Die Zauberflöte, con un angelo gigantesco e un gallo che suona un flauto.
La decorazione della cupola del teatro parigino è, in conclusione, un vero e proprio caleidoscopio di figure, colori, emozioni, animato dalla fervida immaginazione personale di Chagall, che ben si sposa con i cristalli, gli ori e gli stucchi ottocenteschi del Palais Garnier.