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Artisti all’Opera – Giuseppe Molteni e il ritratto di Giuditta Pasta

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Artista dallo spiccato temperamento drammatico e interpretativo, una delle voci più popolari e acclamate del XIX secolo, la saronnese Giuditta Pasta nata Negri (1798-1865), dopo la formazione al Conservatorio di Milano e l’esordio tra 1815 e 1816, divenne una delle cantanti più in voga dell’epoca, calcando prestigiosi palcoscenici italiani e internazionali. Nel corso della sua intensa e brillante carriera, durata circa trent’anni, interpretò opere di svariati compositori, quali Bellini (Norma, Il pirata, La sonnambula, I Capuleti e i Montecchi), Donizetti (Anna Bolena), Pacini, Mayr, Rossini (Tancredi, Otello, Semiramide, Il viaggio a Reims, Zelmira), cantando spesso in prime esecuzioni assolute, da Milano a Parigi, da Londra a San Pietroburgo.

Tra i ruoli a lei più cari, si annovera quello della protagonista della commedia per musica Nina o sia La pazza per amore, composta dal tarantino Giovanni Paisiello e andata in scena nel 1789 a Caserta, al Belvedere di San Leucio, di fronte ai reali di Napoli. La Pasta si fece ritrarre proprio nei panni della nobile fanciulla, innamorata di Lindoro, commissionando un dipinto nell’estate del 1829 al giovane pittore lombardo Giuseppe Molteni (1800-1867), esordiente a Brera nel 1828, già noto all’epoca per la sua attività di restauratore e di fine conoscitore d’arte antica. Sin da subito Molteni si affermò come autore di “ritratti istoriati” o “ritratti ambientati”, caratterizzati da una resa dettagliata e puntuale dell’ambientazione di contorno e degli abiti dei personaggi effigiati. Tale specializzazione trovò ampia diffusione tra l’aristocrazia e la classe colta ed elegante della Milano romantica, ponendo l’artista nativo di Affori in competizione con un altro mostro sacro della pittura del XIX secolo, Francesco Hayez. Tra le personalità da lui riprodotte, ricordiamo almeno Gioachino Rossini, Alessandro Manzoni, Massimo d’Azeglio, i genitori del collezionista Gian Giacomo Poldi Pezzoli.

Questo importante olio su tela, proveniente dalla collezione Cavallari e inizialmente attribuito erroneamente al neoclassico Jean-Auguste-Dominique Ingres, è oggi esposto in una sala della Pinacoteca di Brera di Milano. La diva Pasta è raffigurata a mezza figura, con indosso un ricercato costume dai riflessi cangianti e giocato sui toni sfumati del rosa perlaceo e del violetto, la mano sinistra adagiata sulle gambe con un mazzo di fiori variopinti, lo sguardo velato di lacrime assorto e perso nel vuoto, le labbra semiaperte e i lunghi capelli scuri sciolti in una coda che le cade sulla spalla. La donna è immersa in un rigoglioso paesaggio naturale, seduta su di un pendio fiorito; alle sue spalle vediamo un pastorello che suona placidamente una zampogna e, in lontananza, un terso specchio d’acqua tra i monti. Con abile maestria, Molteni coglie appieno lo stato di abbandono e di compostezza di Nina, rappresentata mesta e sopra pensiero, inserita armoniosamente nell’ambiente circostante. Da notare, poi, l’attenzione minuziosa per alcuni particolari quali, per esempio, il prezioso orecchino a pendente o l’anello di fidanzamento alla mano della fanciulla, la varietà dei fiori del bouquet, il nastro a fiocco legato attorno alla vita del soprano, l’incarnato eburneo del collo e del décolleté, i delicati fiori rosa tra i capelli della pazza per amore.
Contraddistinta da una tavolozza cromatica luminosa e limpida, secondo i documenti e le cronache dell’epoca la tela si accompagnava a un secondo ritratto oggi irrintracciabile, quello di un’altra celebre cantante, il soprano Stefania Favelli, rinomata interprete di titoli di Giovanni Pacini, effigiata “che sta toccando le corde di una cetra desta le memorie di Saffo o di una musa cui s’addice l’attributo”.

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