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Addio alla grande Edita Gruberova, regina del virtuosismo espressivo

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È morta oggi a Zurigo all’età di 74 anni Edita Gruberova. Lo ha comunicato la sua famiglia tramite l’agenzia di Monaco Hilbert Artists Management. Edita Gruberova è stata definita da alcuni “l’ultima Diva”. Non è facile fare un bilancio della sua sterminata carriera, ricordare chi è stata, cosa ha rappresentato e quale eredità si appresta a lasciare. I suoi 52 anni di carriera includono un periodo aureo che va dal debutto fino a metà degli anni ’90, anche se con un picco di carriera e di bravura all’inizio degli anni ’80, e una lunga fase di discesa lenta e graduale cominciata approssimativamente a fine anni ’90 e continuata fino a poco tempo fa, anche se con intermittenti reminiscenze dell’indiscussa grandezza che fu.

Edita Gruberova è annoverata tra i soprani di coloratura per eccellenza della generazione successiva a quella di Joan Sutherland (generazione che annovera, per intenderci, anche Mariella Devia e Luciana Serra). Specialmente nel repertorio mozartiano (soprattutto di opera seria e arie da concerto), straussiano (sia operistico che liederistico) e d’operetta, Gruberova ha lasciato un segno tangibile, in alcuni casi diventando interprete di riferimento per alcuni ruoli sia per padronanza tecnica che per espressività del canto. Da molti, soprattutto all’estero, è stata anche definita “Queen of Belcanto”. Qui la questione è più controversa, non solo per questioni tecnico-stilistiche ma anche per il fatto che una buona parte di questo repertorio è stato affrontato in età avanzata. Non si può certo dire che Gruberova fosse vicinissima alla scuola di belcanto italiano, formatasi al conservatorio di Bratislava sotto una matrice musicale di stampo tedesco a colpi di Mozart e Strauss, ed essendosi poi plasmata addosso nel corso del tempo una tecnica personalissima che, pur prediligendo il legato e l’uso della coloratura a fini espressivi, era forse lontana dallo stile italiano. Tuttavia, Gruberova ha avuto un ruolo determinante nell’imporre il belcanto italiano nei paesi dell’Europa centrale di lingua germanica. Quando debutta nel 1978 in Lucia di Lammermoor alla Staatsoper di Vienna, il titolo non veniva messo in programma da molto tempo. Dal successo sensazionale di quella rappresentazione si innesca un processo di riaffermazione della popolarità di questo repertorio in Austria, Svizzera e Germania, possibile grazie alla volontà e alla fama della Gruberova, la diva capace di garantire sempre il sold-out a ogni performance. In questo senso si può affermare che Gruberova abbia re-indirizzato i gusti del pubblico di questi Paesi e in un certo qual modo abbia continuato il lavoro fatto dalla Sutherland in area anglosassone.

Parlando di strumento vocale, il timbro di Gruberova, non eccezionale per natura, era pur sempre facilmente riconoscibile e vantava una limpidezza e purezza ammirevoli; complessivamente la freschezza del timbro era rimasta più o meno intatta fino in età avanzata. La voce ha brillato per flessibilità, duttilità e morbidezza di emissione evitando forzature di ogni tipo ed esibendo un estrema facilità nel registro acuto e sopracuto, con un’estensione fino al sol sopracuto. Se il registro acuto era particolarmente brillante, i centri godevano di buona timbratura, mentre le note basse sotto il rigo erano in paragone meno consistenti. Tuttavia una piena padronanza tecnica ha consentito a Gruberova di comunicare al pubblico l’impressione di un pieno controllo dello strumento. La coloratura era virtuosa, anzi virtuosissima, ma sempre espressiva, giocosa, creativa quasi a reinventare la musica a ogni rappresentazione. La cantante, nei suoi virtuosismi, ha poi sempre evitato aspirazioni, esercizi ginnici stucchevoli o articolazioni meccaniche. A questo punto, bisogna chiarire uno degli equivoci (anzi una vera e propria distorsione del vero) in circolazione negli ultimi anni, specialmente tra le nuove generazioni. Alcuni detrattori, anche sulla scia del declino vocale degli ultimi lustri, avrebbero voluto far passare Gruberova per un sopranino leggero dalla voce modesta e poco udibile. Niente di più falso. La voce di Gruberova brillava per sonorità e risonanza in tutte le sale da concerto e teatri, anche quelli dall’acustica più ostile, proiettando perfettamente le dinamiche fino ai pianissimi, rafforzando in maniera sostenuta i suoni pure in sopracuto e gestendo le colorature anche a voce piena, con fiati lunghissimi. Basta ascoltare le sue esibizioni mozartiane degli anni ’70-’80 per rendersi conto di come la voce, al netto di qualche debolezza nel registro medio-basso, risuonasse bene, anzi benissimo. Nella sua Lucia fiorentina nel 1983 insieme a Kraus, il pubblico in sala, inizialmente freddino per l’impostazione germanica della cantante, rimase sbalordito di come Gruberova fosse capace di gestire messe di voce e rafforzare il sopracuto finale dell’aria della pazzia fino quasi ad assordare i presenti, poi caduti ai suoi piedi. Altre critiche comunemente mosse al soprano slovacco (in parte condivisibili se relativi all’ultima fase) sono un uso eccessivo di manierismi, poca maestria nel fraseggio, l’uso ricorrente di portamenti e una tendenza a glissare alcune colorature, invece che a scandirle. Anche in questo caso, si tratta di vizi rafforzatosi nel tempo e divenuti più evidenti a carriera avanzata. Eccezionali invece i trilli (di una precisione quasi disumana senza essere a macchinetta) e cristallini gli staccati in acuto e sopracuto, sempre intonatissimi e ben appoggiati, centrati e sonori.

Edita Gruberova nasce il 23 dicembre 1946 a Rača vicino Bratislava. Cresce nel secondo dopoguerra in condizioni economiche di semi-povertà, in un periodo in cui la Cecoslovacchia vive l’incubo comunista. Edita sviluppa la passione per il canto fin da bambina cantando in mezzo ai vigneti del paese. Si esibisce anche ogni domenica nella chiesa evangelica del paese ed è proprio il pastore della chiesa a farle balenare in testa l’idea di un futuro da cantante d’opera. Studia quindi al conservatorio di Bratislava dove la maestra di canto, intuendo il talento dell’allieva, ha l’ambizione di formare un soprano di coloratura mai sentito prima di allora a Bratislava. Nel 1968 arriva il debutto professionale come Rosina nel Barbiere di Siviglia all’Opera di Banska Bystrica, dove canterà per due anni in ruoli principali (tra cui Violetta) in opere cantate in lingua slovacca. Al 1968 risale uno dei primi documenti video, un recital televisivo (video) dove Gruberova esibisce già squisita musicalità e purezza timbrica. L’anno successivo passa l’audizione alla Wiener Staatsoper dove debutta nel ruolo della Regina della notte nel Flauto magico nel 1970. È l’inizio di una collaborazione stabile con quello che diventerà il suo teatro di riferimento. Nella sua carriera ultracinquantennale vi canterà 690 volte in 47 ruoli differenti. In realtà, il cammino professionale con il teatro viennese risulta frustrante e in salita nei primi anni e l’artista dovrà aspettare almeno fino al 1976, anno in cui trionferà come Zerbinetta nell’Ariadne auf Naxos sotto la direzione di Karl Böhm. È la fine di un periodo di gavetta che vede la cantante relegata a ruoli minori, intervallati a parti più importanti (sempre Zerbinetta nel 1973, Konstanze nel 1974 e nel 1975). Una gavetta che allo stesso tempo, però, le darà il tempo sufficiente per studiare e prepararsi ai grandi ruoli, senza bruciarsi in fretta.
Dopo il trionfo del 1976 le si aprono le porte dei grandi teatri internazionali e debutta al MET nel 1977 come Regina della notte. Il secondo debutto viennese che desterà un gran rumore e critiche entusiaste sarà la Lucia di Lammermoor del 1978. Nella serata di Capodanno del 1979 ottiene un altro strepitoso successo nella parte di Adele in Die Fledermaus, dove brilla per tecnica messa al servizio dell’interpretazione con un irresistibile presenza scenica e comicità. Seguono altri debutti viennesi importanti come Violetta in La traviata (1980), Manon (1983), Maria Stuarda (1985) e Donna Anna in Don Giovanni (1986). Dopo aver affrontato Lucia di Lammermoor, Don Pasquale, I puritani, I Capuleti e i Montecchi e La sonnambula negli anni ‘70 e ’80, Gruberova si concentra ancor più sul Belcanto negli anni ’90 e 2000. Arrivano quindi i debutti sul palcoscenico in produzioni di Roberto Devereux (1990), Anna Bolena (1992), Linda di Chamounix (1995), Beatrice di Tenda (2001), Norma (2006), Lucrezia Borgia (2009) e La straniera (2013).

Tra tutti i compositori, quello più indelebilmente legato a Gruberova è sicuramente Mozart, dove brilla per accuratezza, bellezza e morbidezza del suono e soprattutto per il dono di rendere facili all’ascolto le cose più complicate, il che è l’essenza stessa di un certo Mozart.
Anche qui, però, bisogna fare dei distinguo. Riteniamo che Gruberova sia stata eccezionale nel Mozart dell’opera seria e delle arie da concerto. Meno memorabile (ma a livelli pur sempre alti) è stata invece nel ciclo Da Ponte (dove ha ricoperto in realtà solamente il ruolo di Donna Anna per molti anni a Vienna a alla Scala nel 1987 con la regia di Strehler e la conduzione di Muti, mentre quello di Fiordiligi è stato interpretato solamente nella versione cinematografica di Jean Pierre Ponnelle, ma mai sulle scene). Lasciando stare il primo grande ruolo come Regina della notte (cantato un centinaio di volte fino al 1983), la padronanza tecnica è emersa con prepotenza nelle interpretazioni di Giunia in Lucio Silla e Konstanze in Die Entführung aus dem Serail. Si prendano a riferimento le arie “Ah, se il crudel periglio” (video al termine – minuto 1.11) per la prima e “Martern aller Arten” (video) per la seconda opera citate. In entrambe Gruberova da sfoggio di una precisione estrema nelle scale colme di notine, nei passaggi di coloratura accuratissimi senza aspirazioni o articolazioni meccaniche e sostenuti da fiati lunghi. Insomma, una vera regina delle arie di bravura mozartiane, comprese quelle da concerto. Si pensi a “Popoli di Tessaglia” (ascolto) una delle arie più ostiche mai scritte, dove Gruberova cesella senza alcun apparente sforzo (e qui sta la vera bravura richiesta da Mozart) colorature e salite in staccato fino al sol sopracuto.

Un aspetto importante della duttilità di Gruberova è la sua vis comica. Nel ruolo di Adele in Die Fledermaus (video) è semplicemente irresistibile grazie a un mix di fisicità, presenza scenica, mimica, leggerezza e tecnica al pieno servizio della comicità e della farsa. La sua Zerbinetta ha fatto venire giù teatri di mezzo mondo (inclusa la Scala nel 1984 dove gli applausi sembravano non finire mai). Il suo personaggio è un concentrato di bravura da vera comedienne, unito a abilità tecnica (con trilli e sopracuti sensazionali supportati da fiati lunghi) e all’interpretazione del lato femminile, erotico e più frivolo del personaggio. Gruberova ha anche cantato in sede di concerto (Monaco, 1983) la prima versione del 1912 di “Grossmächtige Prinzessin”, più lunga e tecnicamente più complicata della versione del 1916 (video al termine – minuto 11.02). Piacevole (e tecnicamente straordinaria) anche la sua Rosina nel Barbiere anche se si tratta della versione sopranile, fin troppo focalizzata sugli abbellimenti. Gruberova è stata poi Norina nel Don Pasquale cantato in tedesco all’Opera di Vienna e anche Marie ne La fille du régiment.

Come detto in precedenza, il primato di Gruberova come regina del Belcanto è invece più controverso e sicuramente divisivo. Volendo fare un bilancio, sono ottime interpretazioni di Lucia di Lammermoor (video al termine – minuto 44.37 e 56.46), I puritani (dove trionfa al MET nel 1991 sotto la direzione di Bonynge), Beatrice di Tenda, La sonnambula (vista anche a Napoli nel 1985). Più discutibile il debutto tardivo come Norma laddove la cantante, pur riuscendo ad affrontare cantabili e districandosi con le agilità, manca di peso vocale anche per affrontare le tessiture centrali o gli slanci drammatici. Un discorso analogo potrebbe essere esteso alle tre Regine Tudor (concept di performance di concerto molto popolare ai giorni nostri, ma proposto da Gruberova in tempi non sospetti già a fine anni ’90 con un concerto a Santa Cecilia per esempio, nel 1997). Nei momenti in cui è richiesto un canto elegiaco o flessibilità Gruberova è chiaramente molto efficace, ma dove è richiesta più un’agilità di forza o un’invettiva da canto drammatico, non riesce a sostenere al meglio queste parti. A ogni modo, al di là dei limiti di una vocalità magari non sempre all’altezza dei requisiti per questi ruoli donizettiani, Gruberova è riuscita comunque ad emozionare e ha detto la sua dal punto di vista interpretativo, senza fredde esecuzioni puramente incentrate sul lato tecnico. In conclusione, Edita Gruberova è stata una delle leggende della seconda metà del ‘900, una vera primadonna, un’artista completa munita di doti tecniche e interpretative fuori dal comune.

 

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