Tra le primedonne dell’opera, il soprano turco Leyla Gencer (1928-2008), meglio conosciuta come “La Diva Turca”, ha rappresentato un caso unico in quanto a curiosità intellettuale, vastità di repertorio e vocalità utilizzate, presenza scenica e scavo interpretativo. Sotto la guida di direttori illuminati e sulla scia di un percorso già incominciato con Maria Callas, Gencer ha ricoperto un ruolo pioneristico nella riscoperta di un repertorio dimenticato, dando vita alla Donizetti-Renaissance e riportando in auge le opere del primo Verdi.
Se la valenza storica del suo contributo appare oggettiva a un osservatore odierno, il processo di formazione del fenomeno Gencer è dovuto principalmente a un rapporto privilegiato instauratosi fin da subito con il pubblico, partecipe di esperienze indimenticabili a teatro. È proprio il pubblico alla base della creazione del mito, amplificato da un fervente fenomeno mai visto di registrazioni pirata (tanto da valere a Gencer anche l’appellativo di “Diva Pirata”), vista l’inspiegabile disattenzione da parte dell’industria discografica ufficiale. Fatta eccezione per due registrazioni Cetra infatti, e alcuni film operistici concepiti per la televisione (Werther, Il trovatore e Don Giovanni), il ricordo di una delle più grandi cantanti del Novecento è affidato a decine e decine di registrazioni live che rappresentano un documento eccezionale per carpirne il modo unico di usare la parola e la voce come strumenti per calarsi nel personaggio.
Prima cantante turca della storia a conquistare il palcoscenico della Scala, Gencer si è esibita nel teatro milanese in 19 titoli diversi (su 73 in repertorio) dal 1957 al 1983, oltre a essersi dedicata alla formazione delle nuove generazioni di cantanti lirici, proprio alla Scala dove nel 1997 viene chiamata da Carlo Fontana e Riccardo Muti a ridar vita all’Accademia di perfezionamento per cantanti lirici. Ma la cantante è anche un caso singolare di soprano fondamentalmente lirico-leggero per natura e formazione, cimentatosi via via con ruoli da lirico-spinto, lirico d’agilità ma anche drammatico di agilità. Tutto questo spaziare tra registri vocali, quasi ad ambire a essere soprano assoluto, suscitò non poche perplessità in una parte della critica anche a causa di alcune discontinuità vocali e una tendenza soprattutto a carriera in corso a sacrificare la bellezza del suono a favore dell’accento e del fraseggio.
Leyla Gencer (una “Giovane Notte” in turco) nasce a Istanbul nel 1928 in un contesto abbiente, da padre turco, un ricco possidente terriero dalle ampie vedute, e da madre polacca, cattolica di estrazione e molto acculturata. Leyla cresce in una casa di legno e pietra costruita su un giardino pensile che si affaccia sul Bosforo, in una Istanbul che guarda all’Occidente. Scopre di avere una voce già all’età di 9 anni: di ritorno da scuola, costringe una compagna di classe a ripetere una polifonia a due voci sotto la pioggia. Appassionata di teatro e assetata di sapere e conoscenza, Leyla divora libri su libri tanto che a 13 anni ha letto già tutti i classici francesi. Dopo aver studiato dalle suore al collegio francese, Leyla continua gli studi al Liceo Italiano di Istanbul, dove si innamora di Dante e D’Annunzio, anche se gli studi sono interrotti dalla morte del padre e l’inizio delle ristrettezze economiche della famiglia. Nel frattempo la ragazza coltiva l’amore per il canto ascoltando e riascoltando i dischi di Toti Dal Monte. Si iscrive al conservatorio in un periodo dove una moltitudine di cantanti e musicisti europei vengono chiamati a insegnare. L’incontro destinato a cambiarle la vita ha luogo nel 1949 quando il grande soprano italiano Giannina Arangi Lombardi si trova in vacanza a Istanbul. Leyla, insieme a un basso armeno, riesce ad avvicinarla e a farsi ascoltare anche se svogliatamente. Con incoscienza adolescenziale e senza saperlo, Leyla canta “Ritorna vincitor” e “Cieli azzurri” da Aida, a colei che era stata una storica interprete di questo ruolo. Arangi Lombardi rimane colpita e si offre di darle lezioni in cambio di ospitalità. Sono due settimane dove Gencer getterà fondamenta tecniche preziose, imparando a ombreggiare il canto con espressività e controllo del fiato (celebri rimarranno le mezzevoci, i pianissimo in acuto e i filati della Diva Turca) senza cedere a smanie veriste di urlo. La cantante italiana la spinge poi a seguirla al Teatro di Ankara, dove continuerà a prendere lezioni e inizierà a esibirsi come cantante d’opera. La sua fama aumenta e Gencer diventa richiestissima per concerti privati nei circoli che contano e nelle ambasciate, in un momento in cui la Turchia viene corteggiata dalle potenze dei due blocchi. Canta per capi di Stato, principesse e ambasciatori. È proprio tramite i contatti diplomatici che Gencer si procura il primo viaggio italiano, dove viene chiamata per una registrazione radiofonica RAI nel ‘53. Il giorno successivo, piombano offerte e ha la meglio il Teatro San Carlo che la fa debuttare dopo un’audizione all’Arena Flegrea in Cavalleria rusticana. Il maestro Tullio Serafin la nota alla seconda recita e la scrittura per Onegin l’anno successivo. È l’inizio di una carriera che la porterà in diversi teatri italiani, esteri e poi il tanto sognato palco della Scala per la prima volta nel 1957 con la prima mondiale dei Dialoghi delle Carmelitane di Poulenc, divenuta celebre per la determinazione della Gencer nel prendersi il palcoscenico nonostante un tentativo maldestro della regista Margherita Wallmann di estrometterla, andato a mal fine. La Gencer, accusata dalla Wallmann di essere “troppo principessa turca, poco boulangère” convince invece Poulenc del suo talento e va in scena con successo. Nel frattempo un’altra occasione da predestinata: Gencer viene chiamata a cantare nel Requiem di Verdi per i funerali di Toscanini nel ’57 e stupisce tutti con il famoso salto al si bemolle in piano filato e sostenuto a lungo. Tra i presenti, Maria Callas che, come riportato da Gianandrea Gavazzeni, si girò verso di lui facendo un segno di apprezzamento sbalordito.
Sono proprio Gianandrea Gavazzeni e Maria Callas due personaggi legati a Leyla Gencer ma per motivi completamente diversi. Il primo, ancor più di Tullio Serafin e Vittorio Gui (altri due maestri importanti per il percorso di carriera della Gencer) ha avuto un ruolo fondamentale nel formare la cantante turca e guidarla nelle scelte di repertorio. Tra i due si stabilisce un rapporto di infatuazione intellettuale che si alimenta con letture, visite a monumenti e chiese veneziane, frequentazioni di letterati e discussioni su repertorio e intenzioni dei compositori. La seconda invece ha aleggiato su Gencer come sorta di mostro sacro da rispettare ma da cui distaccarsi e ha rappresentato un’ombra sul percorso della Gencer, per lo meno all’inizio della carriera. Alla Gencer spetta infatti di sostituire la Callas in Lucia nel 1957 a San Francisco, interpretare Anna Bolena con la RAI l’anno successivo il trionfo scaligero della collega o Poliuto alla Scala, poche recite dopo la Divina. E poi la sfida più grande: Gencer interpreta Norma nel 1965 nella stessa produzione che vide la Callas infuocare dieci anni prima il teatro meneghino. Anche coloro i quali erano venuti apposta per fischiarla rimangono soggiogati dal suo modo di dominare la scena. Si tratta del suo trionfo milanese definitivo. Questo confronto tra dive (che a dir la verità ha più ragione di esistere della rivalità Callas-Tebaldi vista la somiglianza di repertorio tra la Diva Greca e la Diva Turca) si potrebbe risolvere diplomaticamente dicendo che si tratta di due modelli interpretativi e vocali differenti, e tuttavia se Callas ha fatto da apripista, Gencer ha riportato in repertorio ancora più titoli dimenticati, Donizetti in primis. Quella che veniva chiamata in maniera dispregiativo “La Callas dei poveri” ne era invece diventata l’erede in qualche modo in una maniera nuova e personalissima.
Lucia di Lammermoor, Poliuto, Anna Bolena, Roberto Devereux, Maria Stuarda, Lucrezia Borgia, Belisario, Caterina Cornaro, Les Martyrs sono alcuni dei titoli donizettiani a cui Gencer ha legato il suo nome, con una particolare inclinazione naturale a incarnare il ruolo di regina (come constatato da Rodolfo Celletti in “Il trono si addice alla Gencer” per Discoteca nel 1972). Dietro a questa Donizetti-Renaissance, il consiglio e la guida di un maestro donizettiano per eccellenza, Gianandrea Gavazzeni, ma anche la curiosità intellettuale del soprano e la voglia di ritagliarsi un repertorio senza rivali. Gencer coglie il linguaggio donizettiano al meglio giocando su accenti, messe di voce, roulades e legato. Allo stesso tempo se ne appropria e non si esime, specialmente a carriera avanzata, di corrodere il linguaggio musicale con la parola dalla dizione immacolata e una pregnanza drammatica molto romantica ma soprattutto molto personale.
Regale, autorevole e quasi intimidatoria di natura, si calava alla perfezione nei panni delle Regine donizettiane, cogliendone il lato iracondo e sentimentale. Tra i titoli sopra citati, ve ne sono alcuni che ricoprono importanza storica. Il primo è il Roberto Devereux di Napoli nel 1964, dove Gencer fornisce un ritratto impeccabile dal punto di vista interpretativo oscillando tra lirismo, sentimento, collera e allucinazione, non avendo paura di sporcare la vocalità a fine drammatico. Il recupero di Belisario nel 1969 alla Fenice, Caterina Cornaro a Napoli nel 1972 e Les Martyrs nel 1975 a Bergamo sono tutte riscoperte importanti che creano un movimento febbrile attorno alla Diva Turca di studiosi, fans e tardivamente anche di critica. Tra i titoli che non erano propriamente scomparsi dal repertorio, perlomeno nella memoria collettiva, citiamo le interpretazioni di Maria Stuarda al Maggio Musicale Fiorentino del ’67 dove “Figlia impura di Bolena” e il concertato finale con l’Elisabetta di Shirley Verrett (qui ascolto) causarono esaltazione per la teatralità spiccata, dove il canto si mette al servizio della drammaticità. Lo stesso vale per l’interpretazione di Lucrezia Borgia: Gencer riusciva a imprimere il personaggio negli spettatori in maniera indelebile facendo risuonare la parola in teatro, quasi a lasciare impietriti. Tra gli altri recuperi degni di nota citiamo l’Elisabetta regina d’Inghilterra di Rossini dove Gencer mette in luce il lato drammatico del Rossini serio, giocando sul fraseggio, declamazione e schiarendo i suoni nelle colorature. Da allora il titolo è rientrato ufficialmente in repertorio.
Classicismo e contemporaneità sono altri tasselli del vasto repertorio della Gencer e qui uno dei ruoli di riferimento è sicuramente Alceste del Maggio Musicale del ’66 (poi ripreso alla Scala nel ’72), un successo di critica e pubblico. In “Al pianto vostro” il soprano si stringe al coro fino ad averlo partecipe tra strazio e “estremo, estremo pianto”. Ma è soprattutto Verdi a essere il compositore più frequentato dalla Gencer durante la sua carriera e fin dagli studi con Giannina Arangi Lombardi. Gencer non aveva una voce verdiana in senso stretto. È stata tuttavia una raffinata interprete del ruolo Leonora nel Trovatore per la RAI del 1957. Questo è un documento prezioso della prima Gencer, più prettamente lirica, e rimarrà nell’immaginario di molti, impressionando anche un giovane Riccardo Muti che assisteva alla trasmissione. Le interpretazioni di “D’amor sull’ali rosee” e “Tacea la notte placida” colpiscono per bellezza del suono e articolazione della parola sempre consapevole del significato, senza uso di stucchevoli portamenti all’antica. Ma Gencer fu soprattutto una Lady Macbeth di riferimento, offrendo del ruolo una lettura completa e magistrale, cogliendone le giuste sonorità cupe. “Nel dì della vittoria.. Vieni t’affretta” risuona autoritario e sfrontato (qui ascolto). Gencer si concentra sul primo Verdi, recuperando i titoli degli Anni di Galera come I due Foscari, Ernani, Attila, La battaglia di Legnano e Jerusalem, ma estende poi il repertorio alla produzione della maturità (Vespri siciliani, Un ballo in maschera, La forza del destino, Don Carlo). Ricordiamo poi il Simon Boccanegra portato al Festival di Salisburgo e soprattutto la sua Aida, dove con un’esemplare interpretazione di “O cieli azzurri” applica tutti gli insegnamenti della sua celebre maestra, attenendosi allo spartito con fedeltà senza storpiature veriste, ed esibendo il famoso do pianissimo in filatura (qui ascolto).
Negli anni ’80, dopo il ritiro dal palcoscenico, si dedica all’attività concertistica, a concorsi e seminari. Viene nominata Direttore didattico e artistico dell’ AsLiCo e poi dal ’97 è alla guida della rinata Accademia di canto della Scala. Con i suoi allievi è intransigente ma anche protettiva e generosa, insegna loro a essere artisti a tutto tondo, ad avere interessi e a vivere il canto come missione. Il suo testamento artistico è racchiuso in queste parole: “Cercate le occasioni che vi arricchiscono, le persone che vi aiutino a crescere. Leggete, e siate sempre attenti, consapevoli, della parola, che è un mezzo di comunicazione straordinario. Cercate la bellezza, la perfezione nell’arte, la gioia di cantare per comunicarla”. Leyla Gencer si spegne nel 2008. Il suo Paese, che l’aveva licenziata dal Teatro di Ankara causa ripetute assenze per intraprendere la carriera italiana, aveva ripreso nel tempo i rapporti con l’artista, assunta poi a icona nazionale e celebrata in diverse occasioni. Le ceneri della Diva Turca vengono sparse nelle acque del Bosforo, in quegli stessi luoghi che videro crescere una giovane lettrice amante del recitar cantando.