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Mercadante a 150 anni dalla morte: successi e oblio di un grande compositore

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Successi e allori in vita, buio e oblìo lungo l’intero Novecento e fino ai nostri giorni, a partire dalla morte avvenuta a Napoli nel blasonato Palazzo Filangieri il 17 dicembre di centocinquant’anni fa. Sulle sue oltre sessanta opere composte per i maggiori palcoscenici d’Italia e d’Europa è calato infatti, da più di un secolo, un silenzio inspiegabile. Diciamo pure imbarazzante a fronte del valore e del peso dei suoi titoli entro il tessuto della nostra stagione operistica ottocentesca. Bastino, a tal merito, gli approfondimenti restituiti in alcuni recenti saggi o l’ampia rete scientifica attivata grazie all’imponente Convegno Internazionale di Studi realizzato fra ottobre e novembre dal Conservatorio “San Pietro a Majella” entro i poli d’elezione di Napoli, Vienna, Milano e la sua cittadina pugliese d’origine. Per non parlare di quel Coro “Chi per la gloria muor / Vissuto è assai” tratto dalla sua Caritea, regina di Spagna e intonato come inno del patrio orgoglio dai fratelli Bandiera dinanzi al plotone d’esecuzione, il 25 luglio 1844.

Strana storia, al riscontro delle fonti e dei fatti, è dunque quella di Saverio Mercadante (Altamura, 17 settembre 1795 – Napoli, 17 dicembre 1870), compositore centrale dell’opera romantica italiana, figura cardine e di raccordo fra la Scuola musicale napoletana e la produzione melodrammatica fra l’ultimo Settecento e l’intero Ottocento. Tra l’altro attivo negli stessi giorni, con gli stessi librettisti (Romani, Cammarano, un Piave), per i medesimi interpreti e con soluzioni lessicali non dissimili dai nomi a tutt’oggi apicali di Rossini, Bellini, Donizetti e Verdi, con un corpus importante e numericamente superiore di titoli creati per le principali piazze italiane – Napoli (Reali Teatri San Carlo, del Fondo e Nuovo), Roma (Teatri Valle, Argentina), Milano (Scala), Venezia (La Fenice), Torino (Regio), Bologna (Comunale) – ed estere come Parigi (Théâtre Italien su invito di Rossini), Vienna (Teatro di Porta Carinzia, su invito dell’impresario Barbaja), Madrid (Teatro del principe) e Lisbona (Sāo Carlos e Teatro privato del barone Quintella). Per trent’anni e fino al termine della propria esistenza fu direttore del Real Collegio di Musica nella propria città di formazione e sempre a Napoli maestro concertatore e direttore della musica dei Reali Teatri, in elenco negli appalti teatrali con relative onorificenze (Cavaliere prima, Commendatore poi), nonché, dal 1852, ispettore e direttore delle bande musicali di tutte le fanfare dell’Esercito del Regno delle Due Sicilie.

Compositore centrale i cui melodrammi però, per lo più di soggetto storico neoclassico o d’ispirazione romantica (c’è persino una Didone abbandonata su libretto del Tottola da Metastasio, per il Regio di Torino nel 1823) e la sua speciale attenzione per i fiati in un’orchestrazione riconosciuta come miliare del primo Ottocento napoletano, sono praticamente spariti dai cartelloni lirici italiani e sancarliani in primis, considerato che sulle assi partenopee gli unici titoli rappresentati nell’intero Novecento sono stati due successi scaligeri (Il giuramento ed Elisa e Claudio) nelle stagioni 1954/1955 e 1970/71. Pertanto, neanche uno dei suoi tanti capolavori scritti per Napoli (pensiamo, su tutti, al dramma tragico Elena da Feltre su libretto di Salvatore Cammarano, in prima al San Carlo il 26 dicembre 1838 ma in assenza dell’autore, come da lettere autografe, e con un cast di primissimo livello capitanato da Giuseppina Ronzi De Begnis nel ruolo eponimo accanto al tenore francese Adolphe Nourrit e al basso Paolo Barrhoilet) per lasciar spazio, piuttosto, alle varie Traviata, Bohème, Tosca e Cavalleria declinate e reiterate ad libitum.
All’alba dell’era in cui avrebbero poi trionfato Rossini, Bellini e Donizetti e il primo Verdi il nome dell’altamurano di scuola partenopea Saverio Mercadante era invece, stando già solo all’opulenza delle cronache, altisonante e onnipresente. Con una velocità creativa impressionante. Un esempio: nel Prospetto di appalto per il Real Teatro di San Carlo relativo alla stagione 1849/50 l’Impresa si obbligava a dare nel corso delle 132 rappresentazioni in programma tre opere nuove scritte espressamente per Napoli. Ossia, “una del Maestro Cavalier Don Saverio Mercadante Direttore del Real Collegio di Musica napolitano, e Direttore della Musica de’ Reali Teatri (si presume La schiava saracena, ndr), un’altra del Maestro signor Giuseppe Verdi (Luisa Miller, ndr), ed una terza da altro reputato Maestro da destinarsi previa approvazione del Regio Governo, e similmente fra le più applaudite de’ Maestri Mayerbeer (!), Donizetti, Mercadante, Verdi e Pacini”. Il tutto sotto la direzione e concertazione dello stesso Mercadante.

Figlio illegittimo del nobile Giuseppe Orazio Mercadante e di Rosa Bia, riconosciuto soltanto nel 1808 dal padre e fino ad anni recenti rimasto in sospeso per luogo e data di nascita (battezzato sia ad Altamura il 17 settembre e, di nuovo, a Napoli il 26 giugno 1797 per favorirne l’ingresso al Collegio di Musica di San Sebastiano), il piccolo Saverio giunge nella città del Golfo nel 1806 con la famiglia entrando, grazie al sostegno ricevuto dall’arcidiacono Cagnazzi, nel prestigioso istituto di musica partenopeo, nell’autunno 1808. Inizia a leggere la musica, a solfeggiare e intraprende lo studio di diversi strumenti, in qualità di primo alunno maestrino diviene violino solista e concertatore d’orchestra. Segue inoltre le lezioni di “Partimenti e Contropunti” con Giovanni Furno e Giacomo Tritto. Una “Nota dell’Infermaria” dell’Istituzione, datata 1° agosto 1812 e conservata presso l’Archivio Storico del “San Pietro a Majella”, lo vede in lista con il poi prematuramente scomparso Nicola Manfroce per ricevere, il primo, “erba acrimonia, fiore di malva, inguento, manteca e fogliemolle, vino; il secondo, “limone”.
Nel 1813 passa nella classe di composizione del Direttore, Antonio Zingarelli, divenendone allievo prediletto. Compone i primi brani strumentali. “Nel primo periodo de’ suoi studi – scriveva nella Scuola Musicale di Napoli Francesco Florimo, musicista formatosi al pari del Mercadante presso il Collegio di San Sebastiano, amico di Bellini e direttore di rara dedizione dell’Archivio del Real Collegio – esercitossi pure a suonare il violoncello, il fagotto, il clarinetto ed il flauto, strumenti che gli venivano prestati da’ compiacenti compagni”. Si distinse tra l’altro nello studio del violino, divenendo presto solista e concertatore d’orchestra, per poi cimentarsi nelle prime esperienze creative legate alle occasioni concertistiche interne alla stessa istituzione, così come riportato dal Giornale del Regno delle Due Sicilie nell’anno 1817. Celebre resta a tal merito il commento di Gioachino Rossini che, all’epoca fresco autore del Barbiere di Siviglia e della Cenerentola, dopo averne ascoltato due Sinfonie nel corso di un’accademia vocale e strumentale organizzata nel 1818 in suo onore, volle conoscerlo e abbracciarlo personalmente. “Caro maestro – avrebbe detto infatti a Zingarelli – vi faccio i miei complimenti per questo vostro caro allievo. Le sue due composizioni mi danno seriamente a pensare, e vedo bene che i vostri alunni cominciano dove noi terminiamo”.

Nel 1820 la sua formazione musicale, a un anno dal debutto teatrale segnato dall’Apoteosi di Ercole al Real Teatro San Carlo (il 19 agosto 1819 e a battesimo con un super cast guidato dal tenore Andrea Nozzari e dalla spagnola Isabella Colbran, soprano, compositrice e prima moglie di Rossini), poteva dirsi compiuta. Dopo altri cinque successi messi a segno fra la stessa Napoli, Roma e Bologna, il 30 ottobre 1821 esordisce felicemente alla Scala di Milano con il melodramma serio Elisa e Claudio, in scena per trenta sere consecutive e, sei mesi dopo, ripresa per altre ventotto rappresentazioni. Un successo che al giovane Mercadante schiude immediatamente le porte del migliore circuito internazionale, vale a dire quello dei teatri di Parigi (Les noches de Gamache, 1825), Vienna (Doralice, Telemaco e Antiope, Il podestà di Burgos), Lisbona (Pietro il Grande, La testa di bronzo, Gabriella di Vergy), Madrid (Francesca da Rimini, I due Figaro) e di Cadice (La rappresaglia). Dal 1826 al 1829 è quindi in Spagna (firma un contratto come direttore della musica dell’opera italiana a Madrid) e Portogallo mentre nel 1836, dopo la nomina ricevuta nel 1833 come maestro di cappella presso la cattedrale di Novara, è direttamente invitato da Rossini a Parigi per rappresentare I briganti al Théâtre Italien. Sono gli anni della svolta decisiva, siglati da ulteriori, fortunatissimi titoli quali Caritea, regina di Spagna (La Fenice, 1826), Il Giuramento, Elena da Feltre e Il Bravo, unitamente a una rosa di saggi strumentali originalmente di sintesi fra la genuina eredità della più alta scuola napoletana, il rigore dei modelli del Classicismo viennese, spesso in programma in quelle accademie dirette proprio da Mercadante nel suo Conservatorio, e l’esempio dello stile dei maggiori operisti italiani a lui contemporanei. Sintesi evidente nella regolarità dell’orditura formale, nell’attenta valorizzazione delle risorse della tessitura o del timbro in esame, nella convergenza teatrale fra i linguaggi strumentale e canoro.

A parte gli esiti posti in luce attraverso gli studi più o meno recenti, il posto assegnatoli dalla storiografia a partire dal Florimo della seconda edizione è stato quello del “primo fra i minori”. Etichetta corrispondente a una sorta di fascia-limbo coperta dalla polvere dei destini politici postunitari toccati in blocco a un Meridione d’Italia i cui splendori al tramonto furono cantati proprio dal Mercadante, così come resta scolpito fra i pentagrammi e i costumi di scena della Danza augurale composta “Per L’Avvenimento al Trono | Del Regno delle Due Sicilie | DI S. M. R. | Francesco II. | E per le Auguste sue Nozze | Con S. M. R. | Maria Sofia Amalia di Baviera”, rappresentata al Teatro San Carlo il 26 luglio 1859. Un Mercadante nostalgico e antico fu l’opinione in merito. Noi diremmo invece orgoglioso e lungimirante nella valorizzazione di un tessuto storico-identitario di cui i teatri odierni hanno perso il filo. Un’etichetta, a maggior ragione, ingenerosa: e a dircelo sono le stesse fonti primarie e le documentazioni coeve che, al netto degli esiti talvolta giudicati perfettibili in termini di lunghezze (la prima versione di Violetta durò 4 ore e mezza) e clamori sonori (timbriche bandistiche), presentano aspetti di estremo interesse in termini d’impatto drammaturgico-musicale sia per la forma (sperimentazioni sugli equilibri fra gli schemi melodrammatici della solita forma) che per articolazione espressiva, per le torniture melodiche, per lo scavo in declamato, per la peculiare attenzione ai colori e alla sostanza dei fiati (una matrice legata senz’altro all’infanzia altamurana). Ma, anche, per l’apertura verso un ventaglio librettistico (dai soggetti neoclassici ai temi cari ai romantici) riconoscibile nella parallela fruizione di Balli e addirittura nelle opere degli autori più moderni, in Italia ci viene da pensare alla Giovane Scuola.

Cosa è stato fatto intanto quest’anno per ricordare Saverio Mercadante? Escluso il grande Convegno progettato e diretto dai professori Antonio Caroccia e Paologiovanni Maione, rispettivamente titolari delle cattedre di Storia della Musica nei Conservatori di “Santa Cecilia” e “San Pietro a Majella”, poco o nulla, vista la cancellazione (causa Covid) sia di un paio di capitoli programmati in autunno per la concertistica al San Carlo, sia dell’opera comica La rappresaglia (su libretto, si badi, di Cesare Sterbini) prevista per l’estate 2020 di Martina Franca. In compenso, oggi alle ore 20.30 sarà eseguito un concerto lirico-sinfonico dal Teatro di Altamura gratuitamente fruibile in streaming al link su https://mercadante.ktg.it. Alle spalle restano comunque alcuni saggi di base (La triade melodrammatica altamurana di Gennaro De Napoli, Bravo Mercadante di Matteo Summa, Saverio Mercadante, il cigno d’Altamura a cura di Michele Saponaro e di Vito Ventricelli con tavola da gioco, tipo quello dell’oca, per aiutare a memorizzarne le opere). E restano, soprattutto, sporadiche iniziative discografiche, con orchestre comunque straniere, o per prime rappresentazioni in tempi moderni grazie alla lodevole sensibilità dei maestri che hanno voluto darvi forma e suono dal podio: Maurizio Benini (Elena da Feltre incisa per la Marco Polo e Virginia per Opera Rara), Riccardo Muti (I due Figaro, nel 2011 al Festival di Salisburgo) e Fabio Luisi (Francesca da Rimini, nel 2016 per il Festival della Valle d’Itria).

Infine, un’occhiata ai principali luoghi, monumenti e cimeli dedicati a Mercadante: a lui sono stati intitolati il ristrutturato Teatro di Altamura, il Teatro di Cerignola e, a Napoli, l’ex Teatro del Fondo a piazza Municipio; restano inoltre i busti degli scultori Tito Angelini e Arnaldo Zocchi parimenti esposti ad Altamura, una statua nel foyer del Petruzzelli, alcune medaglie con la sua effigie nel museo del Teatro alla Scala, il ritratto a olio su tela a firma di Filippo Palizzi e da lui donato nel 1874 al “San Pietro a Majella”. E ancora a Napoli, un’intera piazza con giardini e statua al Corso Vittorio Emanuele mentre, in zona Chiaia, una lapide in marmo all’esterno di Palazzo Filangieri (all’epoca Largo Garofano n. 49) ne ricorda, per quanto a stento visibile per l’ingombro di un’edicola di giornali, il luogo in cui il compositore dopo aver abitato nei pressi di Capodimonte trascorse gli ultimi anni, ormai non più vedente, nella città del sole.

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