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La Scala presenta Aida con il terzo atto dal “baule” verdiano

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In principio era il Baule. Siamo nell’aprile 2017. Dopo una lunga storia fatta di inchieste giornalistiche, appelli pubblici, giochi diplomatici e schermaglie legali, lo Stato italiano annuncia d’aver prelevato a Villa Verdi di Sant’Agata la collezione completa degli abbozzi autografi del compositore di Busseto. Erano conservati in un baule che fino ad allora gli eredi del Cigno avevano aperto con il contagocce, a loro totale discrezione, solo per pochissimi fortunati. Parliamo di un tuffo eccezionale nel laboratorio creativo di Verdi: circa 5000 pagine di musica, quasi del tutto sconosciute, che dall’autunno 2019 gli studiosi possono liberamente consultare in versione digitalizzata presso l’Archivio di Stato di Parma.
L’apertura del baule ha inaugurato una nuova primavera degli studi verdiani, e i primi succulentissimi frutti iniziano già a maturare. Pochi mesi fa, infatti, è apparso sulla rivista scientifica «verdiperspektiven» un saggio del musicologo Anselm Gerhard, professore all’Università di Berna e studioso (non solo) verdiano di primissima sfera, nel quale si dà conto di una pagina ignota che Verdi scrisse per Aida.

Si tratta di una prima versione dell’inizio del terzo atto, completa in tutte le sue parti, che il compositore decise di sostituire nell’agosto del 1871, a qualche mese dal debutto assoluto dell’opera al teatro del Cairo. In questa prima versione è assente la meravigliosa romanza “O cieli azzurri”, ma Aida ha in più un monologo in stile recitativo. Inoltre, sulle parole “O tu che sei d’Osiride” i sacerdoti egizi non cantano musica dal sapore esotico, bensì un coro a quattro voci in stile palestriniano. Un pezzo, quest’ultimo, scartato da Verdi ma presto riciclato. Partiture alla mano, Gerhard è infatti giunto a una scoperta davvero sorprendente: con pochissime modifiche, il coro tolto da Aida diventò, pochi anni dopo, il «Te decet Hymnus» della Messa da Requiem (1874).
Un centinaio di battute, otto minuti circa di musica, che l’autore, in piena consapevolezza, scartò. Verdi valutò questa prima stesura insoddisfacente, e la sostituì con la versione che tutti conosciamo. Anche quella volta il suo proverbiale istinto teatrale non aveva sbagliato: come rileva Gerhard, le modifiche apportarono un deciso miglioramento al testo, sia sul piano musicale che drammaturgico.

Usa da qualche anno a resuscitare versioni “inedite” di capolavori assoluti del melodramma italiano ottocentesco, La Scala ha fiutato lo scoop. Il 6 ottobre alla sala del Piermarini si alza il sipario sull’Aida e sul terzo atto riemerso dal baule. Ancora una volta, le norme sanitarie impongono un’esecuzione in forma di concerto. Togliere le scene al teatro di Verdi è come levare i colori alla Cappella Sistina, ma in tempi pandemici va bene così, volenti o nolenti. Il cast è d’eccezione: Saioa Hernández (Aida), Anita Rachvelishvili (Amneris), Francesco Meli (Radamès), Amartuvshin Enkhbat (Amonasro), Roberto Tagliavini (il Re), Dario Russo (Ramfis), Francesco Pittari (Messaggero), Chiara Isotton (Sacerdotessa). A dirigere, Riccardo Chailly.

Ulteriori informazioni: Teatro alla Scala

In copertina, un’immagine delle prove di Aida al Teatro alla Scala

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